Cervelli in fuga, 134 miliardi in fumo e il Sud ne paga le conseguenze

  • Postato il 18 novembre 2024
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Cervelli in fuga, 134 miliardi in fumo e il Sud ne paga le conseguenze

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Costi economici, sociali, culturali. Eppure i cervelli in fuga si formano nella maggior parte dei casi in università d’eccellenza a Sud


C’è chi li chiama cervelli in fuga, chi preferisce l’espressione “emigrazione qualificata”, il fatto è che quelle proverbiali lacrime che la famiglia piangeva davanti al bastimento, quando il figlio più sano e robusto partiva per Nuova York o Buenos Aires, sono sempre più salate. E ancor oggi l’Italia del Sud piange più di tutti. Parliamo dei laureati che, intascato il diploma in queste regioni, decidono di andarsene al Nord o all’estero, per trovare lavoro: un’emigrazione massiccia, in crescita, e molto costosa per tutta l’Italia.

Sì, perché l’istruzione è costosa: il corso di studi di un ragazzo, dalla prima elementare al quinto anno delle superiori, vale 200mila euro circa di soldi pubblici (e ci siamo fermati alla maturità): è stato calcolato che, fra il 2010 e il 2023 questo tipo di emigrazione ci è costata, in termini di capitale umano, ben 134 miliardi.

CERVELLI IN FUGA, EMORRAGIA A SUD

Ma perché il Sud paga di più? Ripartiamo dai numeri: un recente rapporto di Migrantes, istituto che si occupa degli Italiani che vivono all’estero, ci racconta che la tendenza degli Italiani ad andarsene cresce ininterrottamente da anni: oggi gli italiani all’estero sono più di sei milioni (nel 2000 erano esattamente la metà). Poco meno, per capirsi, della somma degli abitanti di Calabria, Puglia, e Basilicata. Ma la popolazione del Nord Italia trova compensazione nel flusso interno: chi dal Sud si muove verso Nord aiuta il Settentrione a pareggiare il conto, ma a Sud di Roma c’è solo una continua emorragia. Sui laureati il Meridione registra una perdita secca: fra il 2013 e il 2022 sono andati via in 168mila.
Intanto gli atenei del Sud crescono, in termini di iscrizioni e qualità. Ogni anno il Censis pubblica un rapporto sulle università italiane, che in base a diversi fattori esprime una classifica di merito: ebbene per il 2024/25 il primo grande ateneo italiano (fra quelli con più di 20mila e meno di 40mila iscritti) è risultato quello di Cosenza. L’Università della Calabria è davanti a Pavia, Perugia, Parma ma, sempre in termini di punteggio assoluto, precede anche i cosiddetti mega atenei, come Padova, Bologna, Roma.


NON SOLO CERVELLI IN FUGA DAL SUD, UNICAL ATENEO D’ECCELLENZA

Il mondo accademico può fare qualcosa per evitare la diaspora dei laureati? «L’Università della Calabria ha posto tra i suoi obiettivi strategici iniziative per invertire questa tendenza, come le call aperte per attrarre studiosi di alto profilo». Lo dice al Quotidiano del Sud il rettore dell’Unical, Nicola Leone: «La presenza di ricercatori internazionali di prestigio non solo contribuisce ad accrescere il livello di ricerca e didattica, ma funge anche da stimolo per lo sviluppo di un ambiente più dinamico». Il dialogo con il mondo del lavoro è un elemento chiave: si producono “collaborazioni con enti di ricerca e aziende che possano supportare il trasferimento tecnologico e l’innovazione, e offrire opportunità maggiori agli studenti. Grazie a questo meccanismo virtuoso abbiamo, da un paio di anni, iniziato a riportare in Italia personalità di rilievo”.

Cervelli di ritorno, insomma, e il rettore non è avaro di storie esemplari: «Il professor Enrico Natalizio, ribattezzato ‘il mago dei droni’, un calabrese esperto di sistemi multirobot che ha scelto di tornare dopo un’importante carriera in Francia e ad Abu Dhabi». O ancora «la dottoressa Franca Melfi, punto di riferimento internazionale per la chirurgia toracica, che da pochi giorni ha lasciato la direzione del Centro di Chirurgia robotica di Pisa per prendere servizio all’Unical e all’ospedale di Cosenza». C’è anche chi, per Cosenza, lascia Oxford, «come il professor Georg Gottlob, luminare dell’informatica». Chi insegna ai giovani non può permettersi il pessimismo, come raccomandava Luca Serianni. E il rettore dell’Unical rammenta che già esiste qualche misura di incoraggiamento a questo lavoro: «Una è il cofinanziamento al 50% degli stipendi dei professori che rientrano, e un’altra offre notevoli benefici fiscali per chi dall’estero arriva in Italia, trasferendo la propria residenza».


NON SOLO CERVELLI IN FUGA DAL SUD, IL RUOLO DEL POLITECNICO DI BARI

Quello calabrese non è il solo polo universitario eccellente del nostro meridione. Ci sono tante realtà, grandi e piccole, la maggior parte in crescita. Come il Politecnico di Bari: «Lo scorso anno abbiamo avuto un aumento delle immatricolazioni», ci conferma Francesco Cupertino, rettore dell’Ateneo pugliese: «Ma per evitare flussi migratori in uscita, bisogna rendere attrattivo tutto il territorio. Più che trattenere, dobbiamo puntare ad attrarre i talenti».

Cosa serve? »Servono infrastrutture adeguate, materiali e immateriali, servono nuove politiche di mobilità urbana che riconnettano le sedi di studio e di ricerca con le città e i loro hinterland; servono alloggi per studenti moderni e funzionali. Serve un sistema di incentivazione dell’impresa innovativa». Anche Cupertino parla con slancio della questione: «Devo dire che in Puglia abbiamo fatto passi in avanti in questo ambito, con importanti misure di sostegno alle startup, alle piccole e medie imprese e che hanno molto valorizzato anche il ruolo delle università».

TROPPA INCERTEZZA PER I GIOVANI STUDIOSI

Ma lo Stato può fare molto: «Una partita importante si sta giocando in questo momento, con il tentativo di revisionare la legge Gelmini sull’Università. Uno dei punti centrali riguarda il percorso preruolo. Oggi, infatti, solo una piccola percentuale di ricercatori precari ha la possibilità di accedere a posizioni di professore associato e ordinario, lasciando molti giovani studiosi in una condizione di incertezza per lunghi periodi».

La prospettiva incoraggiante, dal Politecnico, parte dalla constatazione che di recente «c’è stato un aumento della domanda di laureati in ingegneria nelle regioni centro-meridionali, al contrario un calo nel Nord Italia, in particolare nel Nord-Est». Il rettore connette il fenomeno al Pnrr: «È nel Sud Italia che si concentrano in misura maggiore gli investimenti, tanto che il numero di assunzioni di ingegneri civili e architetti è aumentato in queste regioni del 28,6% in un solo anno. Adesso abbiamo il dovere di guardare oltre il Pnrr».


NON SOLO CERVELLI IN FUGA DAL SUD, IL CASO DELL’UNIVERSITÀ DELLA BASILICATA

Guadagnare di più è solo una delle spinte, per chi lascia l’Italia del Sud: fra le ambizioni che portano a emigrare c’è il desiderio, per esempio, di stabilità, ma c’è anche un altro fattore, ovvero una diffusa e generica scontentezza, soprattutto fra i più giovani, circa il contorno politico e sociale italiano, scontentezza per un sistema sanitario che si sta atrofizzando, una previdenza sociale zoppa, una classe dirigente troppo vecchia, un’offerta culturale e di intrattenimento meno seducente di quella che di altri paesi.

Una risposta arriva dalle università di dimensioni più piccole: «Alla sua fondazione, nel 1982, l’Università degli Studi della Basilicata è stata concepita come un Ateneo di prossimità, con un’offerta formativa calibrata sulle vocazioni primarie del territorio e incentrata su una intensa e sistematica relazione tra docenti e studenti, principio ancor oggi irrinunciabile». Ce lo racconta la professoressa Elena Esposito, prorettrice dell’Ateneo lucano: «Nel corso del tempo l’offerta formativa si è ampliata. Oggi ci sono tre poli universitari, due a Potenza e uno a Matera, e da nove siamo passati a 35 corsi di studio».

COMBATTERE SPOPOLAMENTO E DISOCCUPAZIONE GIOVANILE

Nel 2020 è stato istituito il corso di laurea in Medicina e Chirurgia: «In quel caso è stato fondamentale – rammenta Esposito – il sostegno della Regione». Ma serve di più: «Politiche che guardino all’interesse complessivo del Paese, che prendano concretamente atto che questo è fatto di aree forti, aree deboli, aree marginali, di territori che crescono e di altri per i quali lo spopolamento e la disoccupazione giovanile rappresentano una piaga sociale».

Studiare in Basilicata costa meno che altrove: «La tassazione media è inferiore a 900 euro: gli studenti esonerati superano il 70 percento degli iscritti, e il 30 percento usufruiscono di borse di studio». E il contorno culturale migliora di anno in anno: «La vittoria della candidatura di Potenza a ‘Città italiana dei Giovani 2024’, e Matera che sarà Capitale Mediterranea della cultura e del dialogo 2026, tutte cose che portano risorse, circolazione di idee, connessioni». E qualità della vita, anche perché i giovani non sono solo i laureati, ma anche tutti quelli che si laureano e devono decidere se andare o restare.


L’offerta formativa del Sud migliora, la situazione del lavoro no. Approfittare di un mondo, come quello di università e ricerca, migliore di tanti altri, rischia di determinare un sistema di cattedrali nel deserto in cui si viene a studiare latino, architettura, medicina, per poi mettere tutto in valigia e portarsi il prezioso bagaglio a Londra, Berlino o Milano. O in qualche altro paese che riesce a valorizzare, in generale, la cultura come un patrimonio, oltre la triste retorica del fai da te che da anni ormai affligge una parte troppo larga del nostro mondo politico e adulto.

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