C'era una volta Napoli
- Postato il 28 febbraio 2025
- Di Agi.it
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C'era una volta Napoli
AGI - Guappi e sciantose, politicanti ed eroi, l'onore del coltello e la viltà della pistola, narrati da un poeta/alter ego che cerca per le strade il mistero nascosto nell'anima di una città. Riappare sugli scaffali per Colonnese Editore, dopo la storica prima edizione Mondadori del 2012, ‘Il libro napoletano dei morti' di Francesco Palmieri e con esso l'epica controversa di una stagione buia e gloriosa di Napoli, racchiusa tra la fine del regno dei Borbone e la Grande Guerra. All'AGI lo scrittore e giornalista racconta del suo ritorno nelle librerie.
Cos'è ‘Il libro napoletano dei morti'?
Un'opera che usa gli occhi e la lingua di un poeta al tempo celebre Ferdinando Russo, per ridare vita al cruciale passaggio da capitale di regno a capoluogo di regione d'una città. Una fase storica che segna tutt'oggi diversi aspetti del rapporto di Napoli con il Paese. Da Garibaldi alla Belle Époque i partenopei hanno vissuto questo declassamento replicandogli con una fioritura artistica e culturale simile a quella degli anni '70 e '80 del ‘900, quando alle guerre di camorra fece da controcanto lo sbocciare di voci come quelle di Daniele, Troisi e Bennato, mentre Andy Warhol ritrovava similitudini con NY nella galleria di Lucio Amelio. Nei periodi oscuri la città reagisce con l'arte, in un modo che ne accentua la contraddittorietà intrinseca.
Perché nel 2012 Saviano definì questo libro il prequel di Gomorra?
Alla sua uscita il testo ebbe un riscontro trasversale, incontrando il gusto della critica più diversa. Nei fatti sono sessant'anni di storia raccontati da un'artista che amava la realtà. Mi sono servito della voce narrante di Ferdinando Russo perché rappresenta una figura singolare: tra i fondatori de Il Mattino di Serao e Scarfoglio, fu poeta, drammaturgo e paroliere di canzoni tutt'ora tra i classici napoletani. Di lui mi interessa la fascinazione per mondi come quello della malavita, che frequentò e comprese pur condannandolo. Vivendo in prima persona il passaggio tra camorra antica e novecentesca, dal coltello alla pistola, dal coraggio alla viltà, Russo conosceva eventi che spesso non poteva raccontare da cronista, per non incorrere nella censura risorgimentale. Così riscorse allo stratagemma della fiction, usando poesia e romanzo.
Perché è così importante il periodo compreso tra il 1860 e gli anni '20 del Novecento per Napoli?
Perché ha similitudini con l'attualità. Ma oggi manca una narrazione che ne comprenda tutti gli aspetti. Abbiamo il romanzo giallo di intrattenimento seriale e la narrazione ‘tremendista' di Gomorra e simili, più di recente sostituita dall'epopea della Ferrante. Ma Russo era un giornalista che viveva con empatia i fatti della strada, la amava e sapeva vedere luce nel buio. Inventò due parole finite nel nostro vocabolario:
‘scugnizzi' e ‘macchietta'.
Il libro ha richiesto molto lavoro di documentazione?
Nella ricerca mi sono posto un vincolo: tutto quello che avrei fatto raccontare a Russo doveva essergli davvero accaduto e le narrazioni sugli eroi perdenti che vennero da tutto il mondo a combattere per i Borbone trovarsi nella sua disponibilità di lettore. Ho studiato e ricostruito anche le sue vicende private, come si fa per la creazione di un personaggio.
E per quanto riguarda lo stile?
Ho letto tutto ciò che ha scritto, una produzione vastissima e variegata di cui ho cercato i rivoli anche in emeroteca. Tra tante attività fu anche direttore della rivista ‘Vela latina', dove ospitò, intercettandoli per primo, i futuristi napoletani. Inoltre frequentava Gabriele D'Annunzio, negli anni in cui questi si cimentò con il dialetto scrivendo ‘A vucchella', canzone rimasta nel repertorio tradizionale.
Il libro napoletano dei morti' racconta un momento storico di passaggio: qual è il rapporto con ‘La pelle' di Malaparte?
Premesso che le nottate napoletane sono cicliche, quello di Malaparte è un libro compiaciuto nel descrivere l'orrore, che si riannoda a quelli di chi oggi racconta la Napoli della malavita restituendo un'immagine solamente dark della città. Ma ripeto: dal punto di vista letterario, attualmente il racconto è incompleto. Mentre il cinema, con autori come Martone e Sorrentino, riesce ad avere un più ampio respiro anche attingendo ai libri, la narrativa di Napoli procede a settori: autofiction, giallo, storie d'amicizia al femminile.
Perché proporre adesso la riedizione di un romanzo del 2012?
Ho dato ascolto a quanti in questi anni hanno definito il mio libro ‘di culto'. Non torna in libreria con Mondadori perché oggi la grande editoria è in crisi di visione. Meglio una sigla storica di Napoli come Colonnese, che ha grande cura di un catalogo che vanta nomi come quello di Roberto De Simone. Da sempre certi i libri si immergono e poi riemergono; pensiamo al caso di ‘Malacqua', che negli anni '70 fu vittima dei pregiudizi politici legati alla testata per cui scriveva il suo autore, Nicola Pugliese. Sul romanzo cadde dapprima il silenzio, poi ricominciò a circolare in fotocopia restando clandestino per decenni, finché Pironti lo ripubblicò nel 2013 ed infine Bompiani gli diede ancora nuova vita nel 2022, con una mia introduzione.
Cosa si aspetta per il suo testo?
So che non è un'opera facile, me l'ha detto l'altro giorno una libraia, perché purtroppo anche il lettore medio è in crisi, così come l'autore medio e lo stesso sistema editoriale. Ormai i cataloghi sembrano un casting del burlesque: prima del libro si guarda al personaggio e se questo non ricorre a qualche tatuaggio strano, vero o metaforico, per darsi una statura, rischia di venire deprezzato. Una volta contava solo il valore letterario: Ungaretti, Montale o Pugliese non avevano altro segno distintivo che quello di essere degli autori. Il mio romanzo racconta un'epoca in cui la gente non si piangeva addosso come la Finta Tartaruga de ‘Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie', ma lo faceva per ragioni che davvero richiedevano lacrime. Racconta di eroi che combatterono per i Borbone pur sapendo che avevano già perso. Vuole rendere l'onore delle armi a un mondo che non c'è più.
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