Centri sociali, in Italia sono 200. Ecco la mappa dell’illegalità tollerata

  • Postato il 21 settembre 2025
  • Di Panorama
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Accanto agli slogan della sinistra radicale, ai murales arcobaleno e ai poster di Che Guevara dilaga una narrazione da fucina culturale che raggiunge l’apice della propaganda negli sportelli per migranti, nelle mense popolari e negli spazi per chi non ha un tetto. Qui resistono le ideologie più dure, si alimentano le posizioni oltranziste mascherate da pacifismo, si diffonde la cultura woke con il suo corredo di asterischi e schwa.

Il retrobottega della militanza estrema

Non è il salotto buono della società civile: è il retrobottega in cui si forma la militanza più estrema. E, sotto la patina dell’inclusività e delle assemblee partecipate, nella maggior parte dei casi si nasconde la vena dell’anarco-insurrezionalismo: la convinzione che lo Stato sia un nemico, che il conflitto sia inevitabile e che la violenza sia uno strumento legittimo. È qui che i centri sociali diventano il crocevia di linguaggi e di pratiche oltranziste: tra i volantini contro le multinazionali e i cortei anti polizia, resta sempre lo stesso zoccolo duro, quello che non accetta dialogo o compromessi, ma coltiva la lotta come orizzonte politico permanente e un sistema basato sull’occupazione abusiva e sul rifiuto delle regole.

Milano e il caso Leoncavallo

A Milano, su una riga d’asfalto che corre verso via Watteau, il Leoncavallo ha fatto scuola: 50 anni di occupazione, 133 tentativi di sfratto mai eseguiti e milioni di euro di risarcimenti pagati dallo Stato ai proprietari. È stata la più lunga occupazione illegale tollerata d’Italia che qualcuno vorrebbe far passare per una romantica attività sociale e aggregativa. Il 21 agosto scorso camionette e transenne hanno restituito ai Cabassi, i legittimi proprietari, il loro casermone. I giornali hanno registrato la stretta del governo. Sinistra e ambientalisti si sono schierati con gli ex occupanti (un bacino elettorale) i quali grazie al Comune hanno trovato subito una nuova sede.

Il Lambretta e le occupazioni a Milano

Ma nella città in cui la tolleranza si è spesso trasformata in sostegno non ci sono solo addii: il Lambretta, dopo 12 anni in via Edolo, ha trovato casa, senza gara, in un ex supermercato da 300 metri quadri in via Rizzoli 13, grazie a un’assegnazione comunale per 18 anni all’Associazione Mutuo soccorso con la formula del subentro dopo la rinuncia del precedente aggiudicatario. Ed è ripartito ufficialmente a marzo 2025. Le 23 occupazioni censite ufficialmente nel solo capoluogo (sono 25 in tutta la Lombardia, con un caso a Bergamo e uno a Cremona) restituiscono la più nitida fotografia del fenomeno. Camminando per la città basta seguire le scritte sui muri per censire i punti caldi. Ogni edificio è un segnaposto di conflitto. Non è una mappa che si può tirare fuori con una semplice ricerca online. Per sapere quanti centri sociali ci sono in Italia bisogna scavare.

126 occupazioni anarco-antagoniste

Ben 126 occupazioni attive, che Panorama è riuscito a ricostruire, appartengono all’area anarco-antagonista, la più nutrita, e sono il risultato dell’incrocio di decine di informative delle questure, di relazioni periodiche alle prefetture, di aggiornamenti che finiscono sulle scrivanie del Viminale. È un elenco che cambia di continuo, perché ogni settimana c’è un’occupazione che muore e un’altra che nasce, un centro che si sposta da un palazzo all’altro, un’associazione che si presenta con una faccia nuova. Senza quell’incrocio di carte e relazioni, i numeri ballano. Ma non sono gli unici. Il secondo blocco è legato alla cultura suburbana. Si tratta di una trentina di strutture in tutto. Sono realtà che non nascono per il culto della barricata ma per esigenze di quartiere o di scena giovanile. Il Centro sociale occupato Forte Prenestino a Roma, ex forte militare occupato dal 1986, per esempio, è uno dei più grandi spazi autogestiti in Europa. Più culturale che ideologico: concerti, teatro, fumetti, mercatini bio.

Roma, capitale delle occupazioni

Gli attivisti si professano «anti» tutto: antifascisti, antisessiti, antirazzisti e antiproibizionisti. Come il Livello 57 a Bologna: occupato nel 1993 nell’area degli ex mercati generali, è un centro di musica elettronica. Ci sono poi una ventina di centri occupati da movimenti per la casa. Spin Time a Roma è uno degli esempi più concreti. Occupato nel 2013, è un colosso di cemento di dieci piani e 21 mila metri quadri, ex sede dell’Inpdap. Viene preso d’assalto e occupato dal movimento Action per il diritto all’abitare. Non è un gesto isolato, ma l’onda lunga di quello che in città chiamano lo «tsunami tour»: la stagione delle barricate di chi la casa non ce l’ha e di chi la rivendica come diritto. Qui nel 2019 l’elemosiniere di papa Francesco, il cardinale Konrad Krajewski, andò a riattaccare i contatori che erano stati sigillati dal fornitore, lasciando il suo biglietto da visita per firmare il gesto. Oggi lo frequenta spesso don Mattia Ferrari, cappellano della Ong Mediterranea saving humans dell’ex tuta bianca Luca Casarini. Roma è comunque il centro di gravità del fenomeno: 48 occupazioni mappate, tutte nel Comune. Molte sono riconducibili all’area anarco-antagonista. A conti fatti, quindi, includendo anche le due occupazioni di destra, CasaPound a Roma e Spazio libero Cervantes a Catania, sono circa 200 i centri sociali che si sono appropriati illegalmente di un immobile. Gli anarco-antagonisti, però, possono contare anche su un cordone protettivo che spazia dalla politica alla Chiesa. E alcuni sono considerati «storici», al pari del Leoncavallo. A Padova c’è il Pedro, intitolato al «compagno» Pietro Greco, la cui morte è stata mitizzata dai reduci di Autonomia operaia che 38 anni fa occuparono un locale magazzino in disuso di proprietà comunale in via Ticino, nella periferia Ovest della città (il Nordest è una mappa minuta, con tre occupazioni in Veneto, due a Padova e una a Venezia).

Toscana, Piemonte ed Emilia-Romagna

A Firenze c’è il Centro popolare autogestito Cpa Firenze Sud che resiste da 36 anni e continua a dire no a ogni compromesso: 24 tentativi di regolarizzazione bruciati sul tavolo delle trattative. Una coerenza granitica, che gli attivisti chiamano «resistenza» ma che in realtà somiglia a una rendita di posizione. In tutta la Toscana le occupazioni sono nove: cinque a Firenze, due a Livorno e una a Pisa. Torino tiene insieme sette occupazioni e due storie particolari: Askatasuna, con il percorso di amministrazione condivisa sull’immobile di corso Regina 47 grazie alle strizzate d’occhio municipali e nonostante i figli della tradizione dell’autonomia operaia torinese siano finiti più volte al centro di pesantissime inchieste giudiziarie, ed El Paso, di radice punk, che ha ospitato Fugazi, Youth of Today, Negazione, nomi pesanti per gli appassionati dell’hardcore internazionale. In Emilia-Romagna le garanzie sono arrivate anche per via giudiziaria. Lo sgombero di Làbas dall’ex caserma Masini (8 agosto 2017) ha partorito una giurisprudenza: Tar e Consiglio di Stato hanno annullato il tentativo di rassegnare i locali occupati. La regione sulla mappa ufficiale segna due occupazioni (entrambe a Parma). Anche questo è un dato che sorprende. Bologna resta la capitale storica dei centri sociali, ma non finisce nella conta. La Liguria presenta tre casi: due a Genova e uno a La Spezia.

Dal Sud al patto non scritto

Un solo centro sociale nelle Marche. La capitale del fenomeno al Sud è Napoli: 15 occupazioni che punteggiano porto e quartieri popolari, dalla storica Officina 99, la cattedrale laica della controcultura meridionale, ai nuovi centri giovanili che organizzano rassegne musicali e mense solidali. Palermo e Catania mettono insieme sette spazi in cui il confine tra laboratorio culturale e presidio politico è sottile. La Puglia, con i suoi tre casi, ha visto nascere centri che fanno rete con il mondo dell’università e del precariato, mentre Calabria, Abruzzo e Sardegna ospitano piccole ma agguerrite esperienze locali, una per ogni regione, che resistono agli sgomberi con una costanza che sorprende anche le questure. Molti amministratori preferiscono tollerare: gli occupanti votano, fanno numero alle primarie, spostano consensi. È un patto non scritto quello che tiene in piedi il sistema.

Autore
Panorama

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