C’è un grande ospedale che è una miniera di idee per tutta la città

  • Postato il 22 febbraio 2025
  • Di Il Foglio
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C’è un grande ospedale che è una miniera di idee per tutta la città

Si dice che la bellezza di Milano è racchiusa nei suoi cortili, senza ostentazione. Vale, e non è soltanto un si dice, anche per la capacità e la voglia di fare dei milanesi, che in città spesso alberga lontano dai riflettori. E’ il caso di Marco Giachetti, presidente della Fondazione Policlinico di Milano, che a ottobre inaugurerà il più grande investimento nel cuore della città nel settore sanitario. Un Policlinico con il nuovo grande padiglione Sforza e la riqualificazione degli altri esistenti. Un’opera extra large, portata avanti da un architetto e manager sempre lontano da giornali e telecamere, apprezzato da tutti, dalla destra e e dalla sinistra, per capacità e idee, e che qualche uccellino cinguetta, non da ieri, sarebbe un futuro buon sindaco. Anche se lui l’idea la allontana subito con la manona, perché adesso ha da fare altro. Alto, un modo di porsi sempre calmo e rassicurante, Giachetti è milanese da 55 anni. “Sono nato e vissuto a Como fino all’età di 5 anni, poi dalle elementari sono venuto a Milano ma qualcosa mi sono portato dietro. Ero vicino ad Appiano Gentile e questo mi ha lasciato in dono la fede rossonera…”, scherza con il Foglio. Il resto è da milanese puro. Classico al San Carlo dopo le scuole inferiori tra Inganni e Lorenteggio. “Erano tempi difficili, contestazioni, P38… I miei decisero per la scuola privata. Papà era un dirigente della Basf e mia mamma aveva una azienda di quello che allora si chiamava ProntoModa e che oggi si direbbe fast fashion. Lei disegnava e produceva, con le sue 15 dipendenti. Forse da lei ho ereditato la parte creativa: mi è sempre piaciuto disegnare e dipingere architetture”. Tuttavia, come in tutti i grandi amori, qualche sbandata lontano dall’architettura c’è stata. “Sì, dal San Carlo, molto rigido, finii al Politecnico pre-riforma, con classi superaffollate ed esami di gruppo… Non era per me, e allora andai a fare il magazziniere a Nottingham. Ma là un amico mi trascinò alla facoltà di architettura locale e mi sono innamorato di nuovo. Tornato a Milano, ho deciso di finire il Poli. Poi master in Disegno industriale. Infine ho fondato il mio piccolo studio: con il mio socio siamo  cresciuti, facendo anche lavori internazionali”. 

 

Intanto, la politica. “Sono sempre stato vicino alla Lega. Conosco da Matteo Salvini dall’inizio di tutto, da quando ancora non esisteva la Lega Nord ma solo la Lega Lombarda. La scoprii facendo la leva nei vigili del fuoco. Ero l’autista del comandante di Milano, e un giorno incontrai un altro autista, credo fosse del comandante di Mantova, che mi diede un po’ di giornaletti a firma Bossi e Salvadori. Mi appassionai. Per la Lega mi sono occupato dei tavoli tecnici sul Pgt, il progetto della Darsena. Al Policlinico venni nominato come unico rappresentante leghista in cda, con Giancarlo Cesana presidente. Era il 2012. Dentro il Policlinico ho portato avanti un progetto riguardante il patrimonio agricolo dell’ospedale”. 
A Giachetti brillano gli occhi. “Parliamo di 4.500 ettari: il Policlinico è il più grande proprietario agricolo d’Europa grazie alle donazioni nei secoli. Trent’anni prima avevano deciso di dare contratti trentennali a canoni bassi ai conduttori, disinteressandosi del patrimonio. In più la linea era  quella di cercare di interagire con i comuni per rendere edificabili i terreni al fine di venderli e produrre risorse per la sanità. Io ritenevo che cementificare non andava bene. Oggi non vendiamo più niente, solo i terreni che erano già stati trasformati in edificabili”. E c’è il latte. “La sanità si porta avanti a 360 gradi: si fa salute anche producendo cibo sano garantito dai nostri medici. Così è arrivato il latte del Policlinico, e poi il riso Carnaroli in purezza, e ora lo yogurt bio e stiamo lavorando a un paio di formaggelle su nostro brevetto che possono essere mangiate anche dai nefropatici dializzati che non possono mangiare formaggi”.

   

Torniamo indietro, al nuovo Policlinico. “Visto il successo del fondo immobiliare Ca’ Granda che ci ha permesso di finanziare l’ospedale, mi chiedono tutti, trasversalmente, di diventare presidente. Era il 2016 e Roberto Maroni mi nomina. Nel 2019 vengo rinnovato con Attilio Fontana, e riconfermato sempre da Fontana nel 2024. Sul tavolo la sfida più grossa rimaneva il nuovo Policlinico, fermo dal 2007 al 2015, non si trovavano forme di finanziamento. La grande intuizione di Cesana fu di autofinanziarci mettendo in gioco il patrimonio cittadino. L’Ospedale infatti oltre ad avere le campagne ha anche 1.700 appartamenti in città, quasi tutti in 43 edifici cielo terra. I conti dell’Ospedale nuovo non quadravano: la Regione metteva 30 milioni, 36 il ministero e 200 milioni dovevamo trovarli noi. Sarebbe stato facile vendere pezzi pregiati, ma avrebbe voluto dire lasciar per strada persone fragili. E allora abbiamo pensato a una cosa bella: un bando internazionale per Sgr, dove abbiamo messo dentro tutto il patrimonio. Con la leva economica, il mercato immobiliare che è schizzato, abbiamo trovato i fondi per ristrutturare edifici per l’housing sociale nei quali spostare l’inquilinato fragile, vendere alcuni pezzi, e poi rigenerare una parte della città con ristrutturazioni basate sull’efficientamento energetico e sulla socialità. E’ una bella operazione che si sposa bene con il senso del Policlinico, un ente che si occupa delle persone non solo dal punto di vista sanitario. Per me si tratta della restituzione alla città di quello che la città ha dato all’ospedale nei secoli”. Nuova visione dell’housing, apertura internazionale, socialità, restituzione: si parla di un ospedale, ma la visione è di quelle che hanno fatto il bene, e servono, a Milano.

 

Parliamo di quello che vedremo ad ottobre. “Prima di tutto l’edificio nuovo: il Padiglione Sforza. Troveranno posto le degenze, il pronto soccorso, la De Marchi e la Mangiagalli. Tutti gli altri padiglioni saranno dedicati agli ambulatori, agli studi medici e ai day hospital. Il nuovo padiglione Sforza sarà il più grande edificio dopo il Tribunale nel centro della città. E senza consumare suolo. Siamo riusciti a portare non senza sforzo la fermata della metro, visto che era prevista altrove. La chicca è che avrà sulla copertura della piastra centrale un giardino terapeutico di 8 mila metri quadri, grande come il Duomo”. Tutto bello, ma le difficoltà? “Sicuramente le bonifiche. Andando a demolire, quando pensavamo di partire a costruire, abbiamo invece dovuto fare bonifiche più costose. Ma ci siamo riusciti. Ha aiutato il fatto che fossi un architetto: riuscivo a tradurre per la politica gli ingarbugliati problemi tecnici. La seconda difficoltà è stato il bando di gara. I ricorsi avrebbero potuto allungare di molto i tempi. Il segreto è che ho coinvolto tutti i soci della fondazione, Regione, ministero, curia, comune chiedendo di darmi ognuno un tecnico esperto di bandi pubblici: nessuno ha fatto ricorso. Ne sono orgoglioso. Per un’opera di 270 milioni più le attrezzature che valgono 90 milioni non è poco”. Giachetti è un fiume in piena. “Ho creato un museo con i ritratti dei donatori con un costo pari a zero. E’ importante perché grazie al racconto della storia recuperiamo la voglia dei milanesi di donare. Per il nuovo ospedale parecchie associazioni e donatori ci hanno dato i fondi per fare qualcosa di ancora più bello”. 

 

Inevitabile parlare di città. Che cosa ne pensa di Milano? “Io ho avuto la fortuna di vivere negli anni d’oro degli anni 80 a Milano. Poi ho visto il tracollo negli anni della bolla immobiliare. Il primo Albertini e il primo Sala hanno dato impulsi e spunti. Moratti ha rilanciato tutto con Expo. Ma gli ultimi anni sono difficili”. C’entra la procura? Che cosa ne pensa delle inchieste sull’edilizia? “Mi limito a dire che c’è un brutto clima”. Altre cose che non le piacciono di Milano? “Premetto che parlo da innamorato…” , dice (li uccellini li lasciamo svolazzare altrove), “dico che Milano è una città piacevole, bella, troppo cara, insicura. Il costo della vita è altissimo, l’insicurezza diffusa. E poi c’è la viabilità che potrebbe migliorare. Io sono un ciclista: alcune piste ciclabili sono pericolose”. Torniamo alla crisi urbanistica. “Rischia di farci tornare indietro di decenni. Potremmo perdere investimenti importanti. Ci sono tanti interventi fermi, anche di housing sociale. Perdiamo l’occasione di mantenere una classe media, e andiamo verso la gentrificazione”. Si dice che la prossima città dell’oro sarà Roma. “Se gli investimenti scappano da qui, finiranno là. Milano deve conciliare la sua vocazione dinamica ed europea con i bisogni di una città moderna che convive con i suoi bellissimi contrasti di storia, di quartieri antichi e grattacieli, ma sopratutto a misura d’uomo con tanto verde, attenzione alla qualità della vita di tutti, rilanciando le periferie e facendo convivere tutto questo in armonia. Torno all’Ospedale: il nostro progetto e la sua gestione a 360 gradi ne possono  essere un micro esempio”. 

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Il Foglio

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