C'è da spostare un migrante

C'è da spostare un migrante



Mentre l’Europa critica l’accordo italiano con l’Albania per gestire il flusso degli sbarchi nel nostro Paese, Regno Unito e Francia, tramite intese comuni, usano il pugno duro verso i richiedenti asilo. Strategie che piacciono alla popolazione, ma dall’esito incerto. Intanto, la Cina sta già organizzandosi per la «conquista» politica e culturale dell’Africa...


Due Paesi, due misure. L’Unione europea e i progressisti snob storcono il naso per il progetto del governo italiano di gestire, in collaborazione con Tirana, le richieste di asilo direttamente in terra albanese, ma Inghilterra e Francia ci superano a destra e si preparano letteralmente alla guerra contro l’immigrazione clandestina. Nel silenzio complice della Commissione europea e degli apparatchik di Bruxelles. Il regno di Sua Maestà Carlo III ha annunciato un programma che si chiama «Stop the boat», e non c’è bisogno di traduzione. Dopo aver silurato la tostissima ministra dell’Interno, Suella Braverman, colpevole di aver accusato la polizia londinese di essere troppo tenera coi manifestanti scesi in piazza a favore dei terroristi di Hamas, il premier Rishi Sunak è adesso costretto a rincorrere l’elettorato conservatore con una serie di sterzate che, in Italia, avrebbero fatto accorrere i caschi blu dell’Onu.

Per prima cosa ha annullato la convenzione con 100 dei 400 alberghi che oggi ospitano i 50 mila migranti in attesa di regolarizzazione. Risparmiando non solo un bel po’ di sterline sugli otto milioni sborsati quotidianamente per vitto e alloggio riservati agli ospiti, ma andando soprattutto a pescare consensi in quell’elettorato che ormai ne ha fin sopra la bombetta dei temi della solidarietà e dell’accoglienza, soprattutto da quando la Brexit ha restituito la «perfida Albione» al suo «splendido isolamento». Gli hotel liberati si trovano tutti nelle aree dove il partito Tory sta annaspando. In seconda battuta, Downing Street ha chiuso un accordo da 480 milioni di sterline con Parigi per raddoppiare il numero di agenti alla frontiera nord della Francia e impedire l’attraversamento della Manica con i barchini che sfuggono ai radar della Marina. Gli 800 poliziotti attualmente pattugliano anche i corsi d’acqua dolce e le spiagge così da impedire che i trafficanti di esseri umani arrivino al mare direttamente dai fiumi. Risultato? I flussi si stanno drasticamente riducendo. Solo la tratta degli albanesi è crollata del 90 per cento nell’ultimo anno. E il numero complessivo di arrivi sembra aver intrapreso la curva discendente: le statistiche parlano di almeno un 30 per cento in meno rispetto ai numeri dello scorso anno (26 mila odierni rispetto ai 37 mila del 2022).

Manovre a tenaglia che servono a Sunak per prendere tempo e studiare una exit strategy dal fallimento del piano Ruanda, recentemente ridotto in brandelli dalla Corte Suprema che ha bollato la nazione africana come «non sicura» per la gestione in loco delle richieste d’asilo e, in quanto tale, non arruolabile nella crociata contro i clandestini. Per questo il ministro dell’Immigrazione, Robert Jenrick, si è messo al lavoro per varare una legislazione d’emergenza che risolva alla radice il tema della contesa disapplicando la legge sui diritti umani e ordinando ai tribunali di ignorare la Convenzione europea nell’esame dei casi più spinosi. Nel frattempo Londra firmerà nelle prossime settimane una nuova partnership riveduta e corretta con il Ruanda blindandola, giuridicamente, secondo le indicazioni della Corte; e cioè impegnandosi affinché i migranti non vengano rispediti nei Paesi d’origine ma restino a Kigali fino all’espletamento delle procedure. Una soluzione tipicamente anglosassone: un tratto di penna e si riparte daccapo. Self control.

Operazioni terrestri contro la Cedu in corso pure a Parigi ad opera del ministro dell’Interno Gérald Darmanin. Abile manovratore con ambizioni da presidente della Repubblica, Darmanin ha reso noto che la Francia violerà dichiaratamente le disposizioni dell’organo europeo al fine di tutelare la propria sicurezza. Quando si dice grandeur. I cugini d’Oltralpe hanno deciso, infatti, di cacciare i migranti pericolosi, o semplicemente segnalati dalle agenzie di intelligence, prima che la Cedu riesca ad esaminare i loro ricorsi. E qualora questi fossero accolti, il governo francese si è impegnato a pagare «volentieri» la relativa multa (il cui importo è di circa tre mila euro per ogni singolo dossier) ma impedirà ai clandestini di ritornare nella patria di Napoleone. Pur avendo una connotazione smaccatamente elettorale, il programma anti migranti è dal punto di vista dei sondaggi tutto a favore di Darmanin che ora si sente così forte da smontare, pezzo per pezzo, la politica di asilo (finto) europeista di Macron e da sfidare Marine Le Pen sul tema della lotta all’estremismo islamista. A oggi sono già 89 i radicalizzati espulsi dal Paese, compresi due ceceni per i quali la Cedu ha tirato le orecchie a Parigi perché, respingendoli, li ha esposti al rischio di essere torturati da Mosca. E la risposta di Darmanin qual è stata? «Non ci sono tabù» nella lotta al terrorismo. E se Strasburgo ritiene che un jihadista, condannato a 10 anni, non possa essere rispedito in Russia, questo è un problema che non riguarda i francesi. «Ma dovremmo tenerli con noi quando possono essere un pericolo mortale? E allora qual è il compito del ministero dell’Interno? Solo uno: proteggere la popolazione».

La svolta muscolare del ministère de l’Intérieur et des Outre-mer giunge a valle di un diffuso sentimento di incertezza e di dolore della comunità locale per i ripetuti attentati che da anni si susseguono, a fasi alterne, un po’ ovunque e che colpiscono a tradimento la gente comune. L’ultima vittima è stata Dominique Bernard, professore di letteratura moderna, sgozzato da un suo ex studente, convertitosi alla guerra santa, nel liceo di Arras. Per questo, il governo si è messo al lavoro su una nuova normativa anti terrorismo strettamente legata alla gestione dei flussi migratori. Secondo la nuova proposta di legge, gli stranieri a cui è stato notificato un avviso di espulsione potranno essere detenuti per 18 mesi, se hanno precedenti penali o sono inseriti nelle classifiche di controllo delle agenzie di intelligence, in attesa che venga definito il procedimento amministrativo di rimpatrio. Una stretta, a fronte dei 90 giorni attuali, che serve a neutralizzare il pericolo che soggetti dichiaratamente ostili all’Occidente tornino in libertà prima che la complessa macchina burocratica abbia emesso il suo verdetto.

Malgrado il lavoro messo in campo, il rischio è che si tratti comunque di provvedimenti tutt’al più sufficienti a togliere un po’ d’acqua dall’oceano con un cucchiaino. Le guerre in Palestina e in Ucraina, con gli sconvolgimenti che ne derivano in Medio Oriente e nei territori orientali del continente, hanno già innescato, per gli osservatori internazionali, spostamenti che nel giro di qualche mese destabilizzeranno i flussi del già precario equilibrio mediterraneo. Dove si affaccia, in silenzio, quella che l’Onu ha definito poche settimane fa la «peggiore crisi educativa del mondo». In Sudan, 19 milioni di bambini hanno smesso di andare a scuola a causa del conflitto, esploso tra l’esercito regolare e milizie paramilitari, che ha già messo in movimento 7 milioni di sfollati, soprattutto nel Darfur. E tra non molto è presumibile che queste masse saranno costrette a salire verso il Mare Nostrum per sfuggire alla devastazione e alla povertà. Non potendo trovare ospitalità in Egitto, i migranti troveranno una strada apertissima attraverso la Libia. Che è e resta il nervo scoperto della nostra politica migratoria.

E nel caos del continente nero piomba il Dragone cinese che ha deciso di aprire vere e proprie scuole di politica in sei Paesi africani: Sud Africa, Zimbabwe, Tanzania, Mozambico, Namibia e Angola. Zelanti funzionari del partito comunista di Pechino indottrinano la futura classe dirigente del posto sui rudimenti dell’arte del governo. Nel programma di studi non ci sono però Platone, Aristotele o Cicerone e nemmeno Machiavelli. Ci sono testi, invece, come «il pensiero geopolitico di Xi Jinping» o la storia del socialismo oppure la contesa di Taiwan. Facile immaginare che dalle aule usciranno tanti piccoli robot programmati con lo stesso algoritmo di Pechino che sfuggiranno al controllo del mondo occidentale. E così, mentre l’Europa si interroga sui muri, la Grande Muraglia ha già scritto le risposte.

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Autore
Panorama