Cavalli: il mediatore, il falco e lo sparigliatore
- Postato il 11 marzo 2025
- Di Libero Quotidiano
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Cavalli: il mediatore, il falco e lo sparigliatore
In principio erano ventiquattr'ore, poi sono diventati sei mesi, il tempo necessario secondo Donald Trump per porre fine al conflitto Russia-Ucraina a partire dall'inizio del suo mandato. All'inizio del quarto anno di guerra, un milione e centomila morti dopo, con la consapevolezza del fallimento della strategia Biden fatta di sanzioni, isolamento e assistenza militare a Kiev per piegare Mosca e costringerla ai negoziati, con un battibecco in diretta televisiva nello Studio Ovale di cui leggeranno i posteri nei libri di storia, oggi, allegria di naufragi, ricominciano i negoziati in Arabia Saudita, a Gedda.
La delegazione americana sarà identica a quella che il 18 febbraio scorso aveva stabilito i termini dell'accordo per l'estrazione di minerali: il segretario di Stato Marco Rubio, il consigliere per la Sicurezza nazionale Mike Waltz e l'inviato speciale per il Medio Oriente Steve Witkoff. Minimo comun denominatore della squadra è l'efficacia, a diverse gradazioni di realismo, competenza, temperamento transazionale. Poco Maga, dediti al compito, fanti del presidente. E Trump, che taglia le cose con l'accetta ma sa anche intrecciare la trama con l'ordito, dai tre ha creato un tessuto coriaceo.
I TEMPI CAMBIANO
Rubio è stato accusato dalla stampa dell'unipartito affezionato allo status quo di genuflessioni e poker face e di non essere “quello di una volta”. Ma già durante la campagna elettorale e nell'audizione davanti alla Commissione per le relazioni estere del Senato aveva spiegato che cosa avrebbe comportato l'America First per il suo dipartimento.
La Cina è l'avversario, concorrente nella tecnologia, nell'influenza politica e militare, domina le catene di approvvigionamento globali critiche. È ora che Russia e Ucraina facciano “concessioni”. Arrivato a Washington con l'ondata del tea party nel 2010, dopo primarie repubblicane all'arma bianca contro Trump, Rubio ne è diventato consigliere. È maestro di diplomazia, si divincola dai tribalismi, attento abbastanza da fare la tara ai tempi, che sono diversi: se non è più quello di una volta è perché il contesto geopolitico lo richiede. Nel 2022 aveva definito Putin “un macellaio” e ha sostenuto l'invio di armi agli ucraini.
Il giorno dopo le elezioni, ha detto che il conflitto in Ucraina dovrebbe essere risolto: «Non c'è bisogno di essere un fan di Putin per voler porre fine alla guerra».
Waltz è altrettanto realista e falco nei confronti di Pechino (così vicino a Rubio che i due vengono chiamati la “fazione della Florida” perché entrambi provengono dal Sunshine State): ex membro delle forze speciali, ex consulente per il Pentagono e membro delle commissioni per le forze armate, l'intelligence e gli affari esteri, ha sempre sostenuto il sostegno all'Ucraina a patto di un aumento della spesa europea e una supervisione dei finanziamenti. Poi si è stancato di votare ad libitum per l'invio di armi e, come Rubio, ha votato contro ulteriori aiuti militari negli ultimi scampoli della scorsa legislatura. «L'assegno in bianco è uno slogan, non una strategia», ha detto a Biden.
FACCIA A FACCIA COL NEMICO
Mosca può diventare un partner negoziale? Sì, perché una cooperazione su questioni come il programma nucleare della Corea del Nord potrebbe essere nell'interesse dell'America. E Rubio non è il primo diplomatico a prendere un caffè con un nemico dichiarato: John Kerry negoziò un accordo nucleare con il governo iraniano, Richard Holbrooke (inviato di Bill Clinton) tenne colloqui con il leader serbo Milosevic per raggiungere la pace nei Balcani, Mike Pompeo (secondo segretario di Stato del Trump I dopo Rex Tillerson, licenziato dal presidente con un post sui social media) raggiunse un accordo con i leader talebani per il ritiro degli Usa dall'Afghanistan.
Lo sparigliatore è Witkoff: nel 1986, in una gastronomia, alle tre del mattino, pagò un panino a Trump, che si era accorto di essere uscito senza soldi. Avvocato, magnate immobiliare e compagno di golf, Witkoff ha convinto Netanyahu ad accettare il cessate il fuoco a Gaza, ha riportato in patria sul suo jet privato il detenuto americano Marc Fogel da Mosca, ha incontrato per tre ore e mezza Putin prima che telefonasse a Trump.
Quando gli hanno chiesto che cosa ne pensasse del piano di Trump di rendere Gaza terra di resort, Witkoff ha risposto che il presidente lancia idee “nuove e uniche” e che ha stimolato i mediatori regionali, Giordania ed Egitto, a generare controproposte. All'insegna dell'interesse nazionale.
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