Casabona, carabiniere si rivolse al boss per avere “giustizia”

  • Postato il 7 ottobre 2024
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Casabona, carabiniere si rivolse al boss per avere “giustizia”

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Dalle carte dell’inchiesta Nemesis emerge che il boss di Casabona era riconosciuto da un carabiniere come “autorità” per avere “giustizia”


CASABONA – Perfino un carabiniere si sarebbe rivolto al presunto capo bastone di ‘ndrangheta Francesco Tallarico per ottenere giustizia per un debito non onorato e ordinare un pestaggio. Al di là della ricerca di esponenti “infedeli” delle forze dell’ordine, da parte della ‘ndrina sgominata con l’operazione Nemesis, un tratto caratterizzante di quasi tutte le cosche di ‘ndrangheta, balza all’attenzione che quel militare riconosca Tallarico come colui a cui ci si deve rivolgere anche per risolvere controversie tra privati. Tutto ciò nonostante il presunto capo del clan costituisca «l’esatto opposto della Pubblica Autorità rappresentata nel paese dall’Arma dei carabinieri o, per così dire, l’Anti-Stato», è detto nelle carte dell’inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro che ha portato all’operazione messa a segno dai carabinieri del Reparto operativo di Crotone.

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SOTTERRARE PERSONE

In questo contesto sono emersi una serie di episodi allarmanti. Quel brigadiere, oggi in congedo, è stato intercettato mentre parlava con Tallarico, alla presenza di un pregiudicato della zona, di un abuso edilizio contestato alla famiglia di ‘ndrangheta. Dal colloquio emerge che lui prende le parti di Tallarico durante un controllo dei militari della Stazione di Casabona. Il contrasto era con il comandante della caserma al quale Russo, suo vice, voleva dimostrare chi “comanda”. A quel punto, è il racconto del brigadiere, lui avrebbe preso da parte il comandante. Quindi, avrebbe contattato telefonicamente il figlio di Tallarico, Francesco, attualmente detenuto (è stato condannato nel processo Stige). «Per coprire una persona con l’escavatore quanto ci mettiamo?». «Comandante, se me lo dite voi, dieci minuti».

Pur in assenza di riscontri sulla veridicità dell’episodio, emerge comunque la «biasimevole propensione» di quel militare ad «avvalersi dei sodali della ‘ndrina casabonese per affermare la propria “autonomia” nella gestione del Comando di appartenenza».

INCHIESTA STIGE

A colloquio con Tallarico, il sottufficiale sosteneva che durante le indagini che portarono all’operazione Stige il suo intervento sarebbe stato provvidenziale per evitargli l’arresto perché, essendo cognato del boss Domenico Alessio, ucciso nella strage di Casabona del ’96, gli investigatori ipotizzavano che ne aveva preso il posto. Invece, lui sostenne che stavano sbagliando perché Carlo Mario Tallarico è uno che «si rompe il culo che va a raccogliere arance e le porta a Milano». Il vertice del clan, referente di zona del “locale” di ‘ndrangheta di Cirò,  era invece Francesco Tallarico, che nel processo sarebbe stato poi condannato a 20 anni di reclusione. Sia il militare che Carlo Mario Tallarico esprimevano comunque rammarico per le poche cautele adottate dall’imputato del processo Stige.

LA FUGA DEL “BANDITO”

L’altro figlio di Carlo Mario Tallarico, Daniele, a fu cresimato da Giuseppe Spagnolo detto il “Bandito”, uno dei plenipotenziari della cosca cirotana. Un rituale che peraltro contribuiva a rafforzare alleanze criminali, come spesso accade anche con i matrimoni di ‘ndrangheta. Il militare parla pertanto di un controllo di polizia da lui eseguito quando Spagnolo si trovava agli arresti domiciliari. «Peppe, lo so che se ce ne andiamo di qua dalla casa tua tu scendi la scala ed entri dentro l’Arcobaleno», gli avrebbe detto il militare, lasciando chiaramente intendere che Spagnolo abbandonò illecitamente il domicilio, anche con il suo beneplacito. Una porta di comunicazione collegava l’abitazione con i locali di un circolo ricreativo. «L’importante è che non ti devono vedere quelli che vengono di fuori, che noi dentro il paese lo sappiamo».

SPEDIZIONE PUNITIVA

Alludendo sempre agli stretti legami con la ‘ndrina di Casabona, il militare avrebbe fatto riferimento alla spedizione punitiva che l’avrebbe visto protagonista insieme allo stesso Tallarico nei confronti di un rivenditore di automobili di Cerenzia il quale, a dire del carabiniere, avrebbe intascato suoi soldi per una macchina che non gli avrebbe mai consegnato. Addirittura, il militare rievoca la fuga fatta insieme al presunto boss dopo aver notato che la compagna del commerciante, rimasta in auto, aveva dato l’allarme. «Fra, scappiamo, che quella zoccola sta chiamando i carabinieri». Il militare, in maniera tronfia, rivendicava anche il fatto che la vittima del pestaggio non fece il nome degli aggressori.

CASABONA, IL CARABINIERE E L’AUTORITÀ CRIMINALE DEL BOSS

Secondo gli inquirenti, oltre che l’infedeltà del militare emerge come lo stesso riconoscesse in Tallarico «un’autorità criminale indiscussa, addirittura tale da superare quella del comandante della Stazione dei carabinieri ove egli prestava servizio e al quale era subordinato». Quel militare, insomma, riconosceva nel territorio di Casabona la leadership dello ‘ndranghetista più che quella del proprio comandante diretto e si vantava col boss della «continua disponibilità verso l’agere chiaramente illecito di quest’ultimo», che in quel territorio rappresenterebbe l’esatto opposto dell’Arma. Ovvero «L’Anti-Stato».

NON SOLO I RAPPORTI TRA IL CARABINIERE E IL BOSS DI CASABONA, ANCHE UN FINANZIERE COLLUSO

Non finisce qui. Un luogotenente della Guardia di finanza, anche lui in quiescenza, si sarebbe attivato durante un controllo dei suoi colleghi per ridurre al minimo le sanzioni a un bar della famiglia Tallarico, che se la cavò con una multa irrisoria per la mancata esposizione della tabella dei giochi proibiti. I finanzieri avrebbero però chiuso più di un occhio non rilevando slot-machines non regolari e un minorenne non in regola al banco ed alla cassa che ometteva di rilasciare gli scontrini fiscali.

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