Caro Zuppi, futuro Papa del conclave Lgbt
- Postato il 18 aprile 2025
- Di Panorama
- 1 Visualizzazioni


Caro don Matteo Zuppi, caro presidente della Chiesa italiana, le scrivo questa cartolina perché so che è molto deluso: l’atteso sinodo, infatti, è arrivato a un nulla di fatto. Tutto rinviato.
Il testo preparato è stato considerato troppo «bigotto» su alcuni punti chiave, a cominciare dai temi Lgbtq. E immagino quanto dev’essere duro per lei, che è sempre stato la punta avanzata del progressismo ecclesiastico, sentirsi liquidare come un conservatore della peggior specie. Ma, vede, diceva Pietro Nenni che a fare i puri si trova sempre uno più puro che ti epura. E anche a fare il catto-Arcigay trovi sempre un catto-Arcigay che ti catto-arcigayzza. Così i 1.008 partecipanti al Sinodo (di cui 530 laici), da lei scelti per fissare le linee della Chiesa futura, si sono domandanti con un po’ di stupore: ma come? Tutta qui la rivoluzione di don Matteo? Nemmeno una quota trans nel Concistoro? O il Conclave Arcobaleno? L’obbligo di gender queer in parrocchia? O, almeno, il Vangelo di Luxuria?
Capisco la sua delusione. Lei è stato il primo vescovo a salire sul palco del Primo Maggio, il primo a entrare in un centro sociale, il primo a far ballare gli immigrati nella basilica di San Petronio durante la Santa Messa. Ha fatto di tutto per piacere alla gente che piace. Ha perfino ottenuto il sostegno del nuovo Padre della Chiesa, il beato Luca Casarini, già venerato martire dell’osteria allo Sbirro Morto, che con i suoi accoliti faceva il tifo per la sua nomina a presidente Cei («Chi può dargli una spinta?«). Ha difeso la legge sull’aborto («La 194 non si tocca»). Ha attaccato la Meloni sul premierato. Ha definito Gesù «un sindacalista». E ha strizzato l’occhio agli islamici scrivendo lettere in cui confonde Quaresima e Ramadan. La maggioranza dei suoi sostenitori, a questo punto, si aspettava che come minimo trasformasse il Gay Pride in una pratica liturgica. Com’è che non l’ha fatto?
Romano, 70 anni a ottobre, figlio di un pezzo grosso dell’editoria cattolica, con un prozio segretario di Pio XI, è cresciuto nella comunità di Sant’Egidio e ama farsi chiamare «prete di strada». Di lei conosciamo la sua aspirazione a piacere a tutti. Andrea Zambrano sulla Nuova Bussola Quotidiana l’ha definita lo Zelig della Chiesa, per la sua capacità di trasformarsi, in nome del motto para-evangelico: «Andate e non urticate».
Su Facebook c’è una bella pagina a lei dedicata: si chiama «Zuppi che fa cose». Si vedono le foto di lei con la Befana, lei con Gianni Morandi, lei con Cesare Cremonini, lei con il clochard diventato scrittore, lei che fa il volontario allo stadio, lei con il miele, lei con la pasta, lei seduto sul risciò con il sindaco Lepore che pedala per le strade di Bologna. Nel frattempo le chiese si svuotano, ma pazienza. L’importante è che si riempia l’Italia di immigrati.
Quando nel 2019 diventò cardinale fece festa tutto il Pd. Quando nel 2022 divenne presidente della Cei fecero festa Casarini & C.. Qualcuno dice che aspirerebbe a diventare Papa: non osiamo immaginare chi potrebbe far festa. Nel frattempo, però, hanno fatto la festa a lei, giudicandola non abbastanza rivoluzionario. E questo un po’ ci dispiace perché ci dice l’aria che tira nella Chiesa italiana. Dove, ormai, se non è Zuppi è pan bagnato.