Carioti: l'opposizione rifiuta la mano tesa di Giorgia
- Postato il 28 ottobre 2024
- Di Libero Quotidiano
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Carioti: l'opposizione rifiuta la mano tesa di Giorgia
La versione breve della storia è che Giorgia Meloni tende la mano all'opposizione sulla ri scrittura della legge elettorale e l'opposizione rifiuta sdegnata. Non è tempo di dialogo, e non solo perché in Liguria si vota e occorre mostrarsi duri e puri: dopo le 15 di oggi, a seggi chiusi, sarà lo stesso. Anche se lì qualcuno volesse, l'atmosfera è troppo invelenita – nei confronti della maggioranza e tra le stesse sigle del “campo largo” – perché qualcuno accetti di trattare col nemico. Assieme a questa lettura, però, ne va fatta un'altra più complessa, che riguarda solo il governo e la sua coalizione: il “non detto” di Meloni stavolta è importante quanto le sue parole e lascia intendere che l'approvazione del premierato, «la madre di tutte le riforme», non sia più in cima alle sue priorità.
Il capo del governo ha lanciato l'appello alla sinistra nell'anticipazione al nuovo libro di Bruno Vespa. L'antefatto è noto: il disegno di legge che dovrebbe introdurre il premierato è stato approvato a giugno in prima lettura in Senato, e il suo iter alla Camera inizierà sul serio solo nel 2025, visto che in calendario ci sono già la manovra, il decreto flussi, il decreto Paesi sicuri e altri provvedimenti. «Bene che vada, inizieremo a discuterne a gennaio o febbraio», dicono alla commissione Affari costituzionali di Montecitorio.
TUTTO DA RIFARE?
Aver disegnato il progetto di elezione diretta del premier senza aver definito il meccanismo con cui sarà scelto dagli italiani e che dovrebbe dargli una solida maggioranza parlamentare rischia quindi di rivelarsi un errore. È probabile che il testo della riforma debba essere riscritto in alcune parti, e dunque che il passaggio al Senato sia servito a nulla e tutto sia ancora fermo alla prima casella. In ogni caso, i tempi saranno lunghissimi. Anche perché, per leggi simili, la Costituzione richiede «due successive deliberazioni» in ciascuna Camera, «ad intervallo non minore di tre mesi».
Visto che le regole del voto ancora debbono essere scritte, Meloni offre all'opposizione di farlo insieme. Vespa le chiede se il punto debole del premierato sia non averlo pensato con una proposta di legge elettorale adeguata e lei gli risponde che questo è un tema «di competenza parlamentare, e poi non ho amato i governi che tentavano di apparecchiarsi la legge elettorale scrivendo norme cucite addosso a loro stessi (anche se poi non funzionavano mai) e non utilizzerò lo stesso metodo». «Sono estremamente disponibile con tutti», assicura. Questo non vuol dire che la presidente del consiglio s'illuda che il «confronto» sia facile. «Vorrei il dialogo», dice, «ma così la vedo dura».
Si riferisce all'ostilità ideologica del Pd verso l'elezione diretta del premier: «Dovrebbe far sorridere che un partito che si definisce democratico dica che devi passare sui loro corpi per rafforzare la democrazia in Italia. Mi prendo serenamente gli attacchi della sinistra perché ho l'ardire di sostenere che gli italiani dovrebbero avere il diritto di eleggere direttamente il presidente del consiglio, togliendo questo potere alle dinamiche del palazzo».
Le prime reazioni confermano che l'opposizione non ha alcuna intenzione di vedere le carte della maggioranza e portare al tavolo le proprie. Non solo i rossoverdi bollano quelle della premier come «parole completamente vuote» e i Cinque Stelle parlano di «flatus vocis», ma nel Pd, che avrebbe interesse a trattare, Federico Fornaro replica che ciò che serve è «l'esatto contrario della riforma del premierato, che accentra tutto a palazzo Chigi».
PRIMA VIENE LA GIUSTIZIA
L'unico programma dell'opposizione in materia di riforme costituzionali, insomma, è il prosieguo del copione visto sinora: fare le barricate, accusare governo e maggioranza di voler portare a termine un piano eversivo e confidare nel fallimento altrui, in parlamento o nei referendum confermativi che si faranno se le riforme saranno approvate dalle Camere. Questa lettura semplice, cronachistica, va completata da quella più complessa. L'offerta all'opposizione di sedersi al tavolo per «dialogare» sulla legge elettorale che è al cuore del premierato si comprende solo se dietro c'è la decisione di mandare avanti altre riforme, ritenute più importanti, più urgenti o più semplici da approvare in questa fase. E la prima di queste è la riforma della giustizia. Per chi tiene a separare le carriere dei giudici da quelle dei pm è una buona notizia. Significa che l'esecutivo ha capito che portare avanti in parallelo due riforme costituzionali, che con ogni probabilità produrrebbero altrettanti referendum confermativi, è operazione complicata, e allora intende concentrarsi su quella scritta da Carlo Nordio. L'elezione diretta del capo del governo non scompare dall'orizzonte, ma tornerà a essere una priorità tra un anno o verso il termine della legislatura, sperando che il tempo per farla ci sia.
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