Carbonaro: «Il Papa mi ha parlato dei lucani»
- Postato il 9 maggio 2025
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Carbonaro: «Il Papa mi ha parlato dei lucani»
L’arcivescovo di Potenza, Davide Carbonaro, rivela i vecchi incontri con il nuovo pontefice: «Quando sono stato mandato qui, è stato proprio il cardinale Prevost a introdurmi in questa terra e a darmi consigli preziosi».
Quando Davide Carbonaro, arcivescovo metropolita di Basilicata, parla dello sguardo «profondo, molto profondo» di papa Leone XIV, è perché lo ha conosciuto. E anche bene, se racconta di come – quando è stato nominato arcivescovo di Potenza, Muro Lucano e Marsico Nuovo – è stato proprio l’allora cardinale Robert Francis Prevost a parlargli della Basilicata, a instradarlo al territorio lucano.
Monsignor Carbonaro, come ha appreso della nomina del nuovo papa?
«Guardando la televisione. Mi sono fermato, come penso tutti gli italiani e tutti quelli che hanno partecipato a questo momento di grazia».
C’era, anche fra i vaticanisti esperti, chi prevedeva un conclave che sarebbe arrivato all’estate.
«Ma no. È stata una decisione condivisa, i cardinali già nelle congregazioni affrontano i temi. Una cosa è il conclave vero e proprio, una cosa quello che la stampa presenta. Lì ci sono altre prospettive».
Ma quali sono i temi da condividere? Quali sono le questioni, contingenti e spirituali, che in un momento come questo i cardinali analizzano per decidere chi sia il papa?
«Già nelle congregazioni generali sono stati messi in evidenza gli elementi fondamentali dei bisogni della Chiesa del nostro tempo: l’evangelizzazione, la vita della Chiesa, la sua unità e forza evangelizzatrice, le scelte sinodali, il cammino che la Chiesa sta compiendo, le relazioni internazionali, le situazioni gravissime di guerra. Penso che queste cose siano state messe in evidenza in questi giorni. E poi naturalmente la domanda finale: chi avrà il compito – pregando, chiedendo al Signore, consultandosi – di portare avanti queste grandi tematiche? Probabilmente i cardinali hanno individuato questa figura molto bella che già conosceva bene le situazioni internazionali, perché si trova nel Dicastero dei vescovi, molte nomine dei vescovi in Occidente partono dal tavolo dell’ex cardinale Prevost, oggi papa Leone XIV».
Monsignor Carbonaro, parliamo proprio del nome scelto. Qual è la linea di continuità? Che papa era Leone XIII?
«Una figura molto importante. È il papa della Rerum Novarum, quindi delle parole nuove, che si devono pronunciare in una chiesa che comincia ad affrontare la modernità. In quel tempo si comincia a parlare di lavoro, di beni comuni. Linguaggi innovativi. La chiesa si accorge che sono parole che rimettono il Vangelo nel nostro tempo. La scelta del nome di Leone penso sia proprio questa: ci sono cose nuove che accadono nella Chiesa, ci sono parole nuove che abbiamo bisogno di declinare, di coniugare con il Vangelo del Signore».
Le chiese ultimamente si stanno svuotando. È anche questa una preoccupazione della Chiesa?
«Noi dobbiamo riempire le chiese di persone che credono. Il primo compito della comunità cristiana non è riempire le chiese, è evangelizzare. Una volta che si annuncia il Vangelo, che si fa incontrare Gesù Cristo, quella diventa una scelta che tu compirai, nei gesti, nelle parole. La cristianità non è più scontata. Non è finito il Cristianesimo, che continuerà nella storia. E’ finita una forma di cristianità che abbiamo visto fino a oggi. Ecco, allora: parole nuove, uno spirito nuovo, evangelizzatore. Quelli che già siamo continueremo ad annunciare il Vangelo, a vivere i riti e non possiamo imporlo a persone che di Cristianesimo non sanno più nulla o che sono solo “cristiani di anagrafe”. Se non sanno nulla del Vangelo, dobbiamo riannunciarlo prima di portarli in chiesa».
Ultimamente sono emerse “chiese nazionali” con differenze da Stato a Stato e confronti anche aspri. Cosa dovrà fare Leone XIV per dare alla chiesa una nuova unità?
«Penso che già la scelta cardinali, espressione della mondialità della Chiesa, ha portato nella scelta di Leone XIV un’idea di unità. La Chiesa non ha spaccature: sono letture fatte con dei filtri probabilmente politici. La Chiesa ha il suo principio di unità: è Cristo, il suo fondamento, è il Vangelo. Certo, poi la dobbiamo declinare in tutte quelle fessure che sono la realtà della nostra umanità, dove il Vangelo diventa fermento, vita, speranza».
Negli ultimi anni la Conferenza episcopale della Basilicata ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica temi importanti, come il lavoro che non c’è. Temi non meramente spirituali. Pensa che questo papa che si chiama come Leone XIII (il “papa sociale”), possa portare la voce della chiesa in questioni più concrete?
«Non farei distinzioni fra spiritualità e realtà. L’uomo dobbiamo considerarlo nella sua interezza. L’uomo che cerca il lavoro, che ha bisogno di futuro e di speranza, che necessità di stabilità nella famiglia, nella casa. Non possiamo separare il corpo dallo spirito. L’uomo chiede a Dio di essere accudito e curato, quindi compie questi gesti di accoglienza, di cura. La Chiesa è voce di chi grida per le situazioni gravissime che sono nel mondo, quali la morte degli innocenti e la guerra, e di chi “grida il pane”, come nella nostra Basilicata per quanto riguarda il lavoro. La Chiesa può dare solo indicazioni, può chiedere ai politici di fare attenzione ad alcuni aspetti, ma non si può sostituire al mondo della politica».
Monsignor Carbonaro, lei ha avuto modo di conoscere il nuovo papa?
«Certamente. L’ho conosciuto perché abitava nella chiesa di Sant’Agostino in Campo Marzio, dove sono gli agostiniani e dov’era la parrocchia di cui ero parroco prima».
Qual era?
«Santa Maria in Portico in Campitelli. E quindi lo conoscevo quando frequentavo le chiese del territorio nella zona pastorale».
Ci sono stati altri incontri?
«Sì. In occasione della mia nomina episcopale. Essendo lui del Dicastero dei vescovi, quando sono stato nominato ho avuto incontri con lui. E l’ultimo incontro è stato proprio qualche settimana fa: noi vescovi c’eravamo riuniti per la celebrazione dell’eucaristia. C’era anche lui e ho avuto modo di poterlo salutare».
Si ricorda gli argomenti di cui avete discusso?
«Certamente di argomenti ecclesiali, della Chiesa del nostro tempo, e anche della Chiesa di Basilicata».
Perché?
«Le prime notizie sulla chiesa di Potenza, Muro Lucano e Marsico Nuovo – quando sono stato incaricato come vescovo – sono stati lui e monsignor Montanari (Ilson de Jesus, segretario del Dicastero, ndr) a darmele».
Quindi papa Leone XIV conosceva la chiesa della Basilicata?
«Certamente, certamente. Le nomine dei vescovi passano dal Dicastero, quindi quando viene nominato un vescovo, c’è una piccola sintesi di quello che andrà ad accogliere».
Insomma, possiamo dire che lei è stato introdotto alla Chiesa lucana dal papa appena nominato (insieme al vescovo Montanari)?
«Certo. E con gli altri vescovi lucani, nell’ultima visita ad limina, abbiamo incontrato il Dicastero e dunque anche il cardinale Prevost».
Parla l’italiano?
«Parla molto bene l’italiano, così come l’inglese, lo spagnolo, il francese e altre lingue: è stato Superiore generale degli Agostiniani per due mandati. È un ordine diffuso in tutto il mondo».
Si ricorda qualcosa in particolare di lui?
«La sua semplicità, così come l’abbiamo vista nella sua presentazione. Una persona molto semplice, molto schiva, di una profonda spiritualità. Ti ascolta con profonda attenzione. Il suo è uno sguardo molto profondo. Molto profondo».
Monsignor Carbonaro, cosa si aspetta da lui?
«Che faccia il papa. Che sia un buon pastore. Che sia la luce necessaria per la Chiesa di questo nostro tempo. Rimango molto colpito, come penso tutti noi, dalla parola “pace”, la prima che ha pronunciato. Ed è anche la prima che Gesù pronuncia da risorto, in quella comunità sperduta nel Cenacolo del mattino di Pasqua. La parola “pace” è quella che rimette insieme tutte le nostra spaccature. Se riusciamo a rispondere a questo invito della pace, che viene da Gesù e non dai compromessi umani, forse qualche piccolo passo l’umanità lo farà».
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