Capezzone: l'America che ci serve è molto diversa dall'Ue
- Postato il 6 novembre 2024
- Di Libero Quotidiano
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Capezzone: l'America che ci serve è molto diversa dall'Ue
Quando la polvere si sarà depositata e le emozioni saranno più controllate, verrà il momento di una riflessione fredda e necessariamente controcorrente rispetto alla presunta “saggezza” spacciata dai troppi commentatori italiani: secondo i quali - sintetizzo - occorrerebbe che la nuova Casa Bianca fosse «in sintonia con l'Ue». E apparentemente – rispondendo all'impronta saremmo tutti tentati di dire di sì: meglio la sintonia che la lite, certo.
Ma poi, pensandoci meglio, l'interrogativo da porre sarebbe tutt'altro. Di quale Ue stiamo parlando? Con chi dovrebbe convergere la nuova presidenza Usa? Quali sarebbero le linee di fondo, le traiettorie, i progetti su cui l'intesa sarebbe auspicabile? Dal punto di vista pro -libertà e pro -Occidente che è proprio di questo giornale, una sintonia non sarebbe certo auspicabile sulla linea di politica estera gestita per anni (in attesa della nuova Commissione) dal catastrofico Josep Borrell, amico dei dittatori, genuflesso verso la Cina, comprensivo verso i “gruppi di resistenza” (i terroristi, nella neo -lingua politicamente corretta, si chiamano così), aggressivo solo verso Israele.
Né sarebbe auspicabile una convergenza americana rispetto al pessimo Green Deal europeo che purtroppo - continua a essere il fulcro attorno a cui ruota la politica economica e industriale (meglio: anti -industriale) dell'Unione, dalla stagione passata dell'ecotalebano Timmermans a quella futura dell'integralista spagnola Ribera.
E meno che mai gioverebbe a qualcuno un'eventuale sintonia Usa con la propensione europea all'iper-regolamentazione, a una folle cappa normativa che sistematicamente scatta - da Bruxelles - per ingabbiare e imbrigliare tutto, a partire dai settori che potrebbero essere trainanti e innovativi. Sicché - lo sapete bene - da decenni le parti in commedia sono sempre le stesse: «America innovates, China replicates, Europe regulates». Cioè: gli americani creano e innovano, i cinesi copiano, Bruxelles ha solo scelto di regolare e ingabbiare. Un bel passaporto verso la paralisi e la non crescita.
E allora ecco perché - non dispiaccia a qualche solone eurolirico- c'è da sperare che l'America indichi un paradigma totalmente diverso rispetto agli schemi cari a Bruxelles. In fondo, basterebbe che a Washington qualcuno rileggesse i Federalist Papers, gli ottantacinque articoli (in realtà si tratta di saggi illuminanti) che furono pubblicati con lo pseudonimo “Publius” per convincere i membri dell'assemblea dello stato di New York a ratificare la Costituzione americana. Gli autori erano tre giganti: Madison (poi segretario di stato e presidente), Jay (giudice capo) e Hamilton (segretario al tesoro).
Mi limito a evocare due saggi, a mio avviso tuttora profetici, ad alcune centinaia di anni di distanza, se solo fossimo capaci di tornare ai “fondamentali”, superando la chiacchiera da talk-show, la battuta superficiale, il tweet compulsivo, le emozioni pret-à-porter.
QUEL PAPER 51
Il paper 51, di Madison, andrebbe tradotto in italiano, affisso in ogni tribunale, ufficio pubblico, sede istituzionale, e possibilmente imparato a memoria. I tre poteri (il legislativo, l'esecutivo e il giudiziario) devono sempre scaturire dal popolo, dai cittadini. E occorre che siano assolutamente separati. Non siamo amministrati da angeli: a volte, semmai, dal contrario degli angeli. E allora la prima medicina è la limitazione del potere, la logica dei pesi e contrappesi (checks and balances), e la prevenzione di ogni sovrapposizione tra di loro. Sta qui la chiave per prevenire torsioni illiberali.
E sta qui - a me pare - il cuore liberale del costituzionalismo americano. I cui padri seppero trasfondere il loro sano scetticismo sulla natura umana in un ancora più sano scetticismo istituzionale, puntando a evitare prevaricazioni dello stato verso i cittadini. E poi il paper 84, di Hamilton.
Qui occorre un minimo di contestualizzazione. Hamilton vuole spiegare perché, a suo avviso, la costituzione sia sufficiente, e non occorra in aggiunta un “Bill of rights”. Le pagine di Hamilton sono di una bellezza mirabile, una sintesi unica di razionalità e trasporto appassionato: un'elencazione puntuale di diritti non serve, perché la salvaguardia dagli abusi del potere è già nella Costituzione. Peggio ancora: elencare in modo dettagliato alcuni diritti potrebbe far pensare che il cittadino possa godere solo di quelli, o addirittura lasciar intendere che il potere sia autorizzato a limitarli e conculcarli. Siamo al cuore di una filosofia, e non solo di un costituzionalismo liberale: il cittadino non è libero di fare solo ciò che è esplicitamente indicato da costituzione e leggi; al contrario, è libero di fare tutto tranne ciò che sia esplicitamente vietato.
LO SPARTIACQUE
È uno spartiacque decisivo. I progressisti illiberali, ma pure i fissati della normazione compulsiva e i feticisti della regolamentazione, vogliono in genere una legge in più, un intervento dello stato in più, una codificazione in più. I conservatori e i liberali dovrebbero invece battersi sempre per una legge in meno, per un intervento dello stato in meno, per non “codificare” e “regolamentare” ciò che già appartiene all'individuo e al libero dispiegarsi della sua volontà. Se una cosa non è ancora regolata, non dovrebbe essere considerata illegale: ma semplicemente “libera”. Concetto praticamente sconosciuto a Bruxelles.
Sono due mondi diversi: chi (da Bruxelles) finisce regolarmente per limitare l'individuo, e chi (da Washington, nelle pagine migliori della storia americana), al contrario, ha sempre puntato a limitare lo stato e i pubblici poteri. Due pianeti diversi.
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