Canada apre al riconoscimento della Palestina: Trump minaccia ritorsioni commerciali
- Postato il 31 luglio 2025
- Di Panorama
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Il primo ministro canadese Mark Carney ha annunciato mercoledì l’intenzione del suo governo di riconoscere lo «Stato di Palestina» entro il prossimo settembre, subordinando però tale decisione al rispetto di precise condizioni in materia di governance e sicurezza da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), secondo quanto riportato dal Toronto Star. Il riconoscimento, ha spiegato Carney, dipenderà dall’attuazione di un pacchetto di riforme, tra cui lo svolgimento di elezioni nel 2026, il completo processo di smilitarizzazione e l’esclusione di Hamas da qualsiasi futura compagine di governo. Qualora procedesse su questa linea, Ottawa diventerebbe il terzo Stato membro del G7, dopo Francia e Regno Unito, a definire formalmente un percorso verso il riconoscimento di uno Stato palestinese.Da parte sua, il Ministero degli Esteri israeliano ha replicato con fermezza: «Israele respinge le dichiarazioni del Primo Ministro canadese. Un cambio di rotta da parte del governo di Ottawa in questa fase rappresenterebbe un premio per Hamas e metterebbe a rischio gli sforzi in corso per raggiungere un cessate il fuoco a Gaza e un’intesa per la liberazione degli ostaggi». Il Canada aveva già preso posizione a inizio mese, aderendo a una dichiarazione congiunta firmata da 26 Paesi, nella quale si chiedeva l’immediata cessazione delle ostilità a Gaza e si esprimeva preoccupazione per il deterioramento della situazione umanitaria. Nella stessa nota si accusava Israele di imporre restrizioni ritenute eccessive all’ingresso degli aiuti umanitari. Durante un comizio elettorale a Calgary, Carney – subentrato recentemente a Justin Trudeau – è stato interrotto da un manifestante che gridava: «Signor Carney, in Palestina è in corso un genocidio». Il primo ministro ha replicato: «Grazie… ne sono consapevole. Ecco perché abbiamo imposto un embargo sulle armi».Tuttavia, incalzato in seguito dai giornalisti, Carney ha ritrattato parzialmente la dichiarazione, affermando di non aver udito chiaramente l’utilizzo del termine «genocidio» e di aver voluto semplicemente far riferimento alle restrizioni canadesi sulle forniture militari verso la regione. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha minacciato ritorsioni economiche in risposta alla decisione del Canada di riconoscere uno Stato palestinese. In un post su ha scritto: «Wow! Il Canada ha appena annunciato che sosterrà la creazione di uno Stato per la Palestina. Questo renderà molto difficile per noi concludere un accordo commerciale con loro. Oh Canada!!!».
Riconoscere uno stato che non c’è
Nel dibattito internazionale sul riconoscimento dello Stato di Palestina, una questione fondamentale viene spesso elusa: può davvero essere riconosciuto uno Stato che, secondo il diritto internazionale, non esiste come tale? Al di là delle spinte ideologiche e delle considerazioni umanitarie, è proprio la mancanza di requisiti oggettivi a rendere il riconoscimento della Palestina una dichiarazione simbolica, priva di un reale fondamento giuridico. Riconoscere lo Stato palestinese nella sua forma attuale equivale a premiare un’entità che non possiede i presupposti minimi per essere uno Stato. È come riconoscere la sovranità di un’entità che non controlla il proprio territorio, che non ha un governo unitario e che non può garantire né diritti, né sicurezza, né stabilità ai propri cittadini.Finché la Palestina non si doterà di istituzioni unificate, confini riconosciuti e capacità sovrana di autogoverno, parlare di Stato resta, nella migliore delle ipotesi, un atto retorico. E nella peggiore, un inganno diplomatico che illude milioni di persone e complica ancora di più la ricerca di una vera soluzione al conflitto.
Da Hamas nuovo stop ai negoziati
Intanto una fonte interna ad Hamas ha rivelato all’emittente saudita Al-Hadath che l’organizzazione ha comunicato ai mediatori la sospensione dei negoziati per un cessate il fuoco, motivando la decisione con «il peggioramento della crisi alimentare» nella Striscia di Gaza. Secondo quanto riferito, il gruppo jihadista sarebbe disposto a tornare al tavolo delle trattative solo a fronte di un miglioramento tangibile delle condizioni umanitarie nel territorio. All’inizio della settimana, Israele ha modificato il proprio approccio operativo a Gaza, autorizzando pause di tipo «umanitario» e l’ingresso di aiuti destinati alla popolazione civile, sotto la pressione crescente da parte degli Stati Uniti.Come riportato da Kan News, alcuni vertici della sicurezza israeliana avrebbero espresso riserve sull’efficacia di queste pause, ritenendole un indebolimento della leva negoziale per la liberazione degli ostaggi. Secondo questa visione, concedere una delle richieste chiave di Hamas senza contropartite concrete finisce per rafforzare il gruppo.Le pause, che nella pratica si traducono in tregue temporanee, sono state giustificate anche con la necessità di sollecitare le Nazioni Unite, le quali hanno dichiarato di non poter operare nelle zone sottoposte a combattimenti attivi.
La «campagna della fame»
La svolta israeliana e le pressioni americane sono viste come una reazione diretta alla cosiddetta «campagna della fame» operazione mediatica orchestrata da Hamas, che ha avuto l’effetto di spingere Tel Aviv ad aumentare il volume degli aiuti umanitari destinati all’enclave controllata dal movimento islamista. Parallelamente, le Forze di Difesa Israeliane hanno annunciato l’istituzione di una tregua quotidiana della durata di dieci ore nelle aree densamente popolate di Gaza City, Deir al-Balah e nel corridoio umanitario di Muwasi. La misura resterà in vigore fino a nuova comunicazione. Nel frattempo, alcune riprese video provenienti da Gaza mostrano cittadini intenti a fare acquisti liberamente nei mercati ortofrutticoli, dove sono ben visibili merci provenienti da Israele. Le immagini mostrano clienti pagare in valuta israeliana e bancarelle colme di prodotti confezionati di origine israeliana. Queste scene appaiono in forte contrasto con la narrazione veicolata da Hamas, secondo cui la popolazione starebbe affrontando una carestia. Questa campagna propagandistica – sempre più influenzata e pagata dal Qatar – è costruita su notizie completamente fuorvianti e ha come testimonial personaggi come Francesca Albanese onnipresente su tutti i media italiani. Un esempio emblematico delle fake news palestinesi è il caso del piccolo Osama al-Rakab, un bambino di cinque anni indicato come vittima della crisi umanitaria provocata da Israele. In realtà, il minore è stato trasferito proprio da Israele in Italia per ricevere cure mediche per una grave malattia preesistente.Infine, mentre scriviamo, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato: «La missione di salvataggio dei nostri ostaggi è vicina, ma non ancora conclusa». Le sue parole sono giunte durante una visita alla prigione di Ayalon, a Ramla, nel centro di Israele, dove sono incarcerati numerosi miliziani di Hamas. «Abbiamo ancora una battaglia decisiva da portare a termine: l’eliminazione di uno dei principali proxy dell’asse iraniano, Hamas», ha affermato il premier, confermando la volontà del governo di continuare l’offensiva. «Otterremo una vittoria totale assicurando la liberazione dei nostri ostaggi», ha concluso Netanyahu.