Cambiamento climatico, tutti si ravvedono ma l’Ue prosegue imperterrita: e intanto il green continua a costarci caro
- Postato il 11 novembre 2025
- Di Panorama
- 2 Visualizzazioni

Solo pochi fanatici si ostinano a sostenere le strategie che ci hanno impoverito senza risultati sull’ambiente. Però le politiche green restano. E gli 838 milioni versati dall’Italia nel 2023 sono diventati 3,5 miliardi nel 2024.
A segnare il cambiamento di rotta, qualche giorno fa, è stato Bill Gates, niente meno. In vista della Cop30, il grande meeting internazionale sul clima, ha presentato un memorandum che suggerisce – se non un ridimensionamento di tutto il discorso green – almeno un cambio di strategia. «Il cambiamento climatico è un problema serio, ma non segnerà la fine della civiltà», ha detto Gates. «L’innovazione scientifica lo arginerà, ed è giunto il momento di una svolta strategica nella lotta globale al cambiamento climatico: dal limitare l’aumento delle temperature alla lotta alla povertà e alla prevenzione delle malattie». L’uscita ha prodotto una serie di reazioni irritate soprattutto fra i sostenitori dell’Apocalisse verde, però ha anche in qualche modo liberato tutti coloro che mal sopportavano i fanatismi sul riscaldamento globale ma non avevano il fegato di ammetterlo. Uscito allo scoperto Gates, ora tutti possono finalmente ammettere che il modo in cui si è discusso e soprattutto si è agito riguardo alla «crisi climatica» è sbagliato e dannoso.
Ormai, salvo appunto i fanatici di cui sopra, è difficile trovare qualcuno che sia disponibile a difendere la lotta alle emissioni di CO2 così come è stata portata avanti finora. Persino i grandi media, fino all’altro giorno impegnati nella caccia al «negazionista climatico», ora mostrano una evoluzione positiva. La Bbc, che già vive un momento piuttosto complicato su altri e ben noti fronti, ha annunciato una inchiesta interna che sarà utile a verificare l’imparzialità dell’informazione fornita sui temi green, scelta che fa presagire un riassestamento della linea editoriale.
Pure il Corriere della Sera, solitamente restio a distaccarsi dalle narrazioni dominanti, ieri ha pubblicato un sorprendente editoriale di Danilo Taino al sapor di retromarcia. «Forse l’umanità non si sta estinguendo», ha attaccato la grande firma di via Solferino. «Vedremo cosa ne pensano le oltre 50.000 persone e i rappresentanti dei governi che da oggi al 21 novembre si riuniscono in Brasile per la Cop30 sui cambiamenti del clima. L’impressione è che, rispetto alle precedenti 29 conferenze, molto stia cambiando nella conversazione sul tema: la previsione che la vita sulla Terra rischi di finire a causa delle emissioni di gas a effetto serra è sempre meno condivisa e le misure prese negli anni scorsi per contenere l’aumento della temperatura del pianeta, costose e dai risultati modesti, trovano sempre più opposizioni. L’allarmismo che ha caratterizzato a lungo la stagione della lotta al climate change è in esaurimento».
Già, l’allarmismo è in esaurimento, come se si trattasse di un fenomeno naturale e non indotto e supportato per anni dalla grande stampa, Corriere compreso. Nell’abbracciare la nuova «tendenza Gates», Taino sembra piuttosto preoccupato dalle ricadute politiche dei deliri green: «Certe misure – elettrificazione del settore auto per i francesi, obbligo delle pompe di calore per i tedeschi, decarbonizzazione estrema per gli inglesi, divieti di trivellazione per gli americani – hanno aumentato parecchio i consensi dei populisti», scrive. «Sono state viste come politiche gradite soprattutto dalle élite e penalizzanti per i più poveri. In Europa, si sono fatte scelte che oggi anche molti di coloro che le avevano sostenute giudicano sbagliate o troppo anticipate. Il Green Deal, per esempio, ha suscitato reazioni in passato e oggi è in via di non facile revisione da parte della Commissione Ue sulla spinta di più di un governo, proprio a causa dei suoi costi in particolare per le imprese. L’abbandono del nucleare a favore di un piano massiccio per le energie rinnovabili nella Germania di Angela Merkel ha accentuato la dipendenza dell’economia tedesca dal gas di Putin. Le scelte della Ue che hanno stabilito l’obbligo di finire nel 2035 la produzione di motori a combustione interna per passare al tutto elettrico nel settore auto sono oggi criticate, e probabilmente verranno modificate, dopo che l’un tempo glorioso settore auto europeo è entrato in una fase di confusione, a favore dei produttori cinesi».
Benché in via Solferino fatichino ancora a riconoscerlo, tutti i problemi sopra elencati esistono, sono reali e non frutto di una visione populista che va guadagnando terreno. Che il green deal sia stato un disastro per le imprese europee lo sostengono le imprese stesse, e molti fra i più autorevoli osservatori del settore. I partiti cosiddetti populisti, semmai, sono stati tra i primi ad affrontare la questione di petto, guadagnandone in consenso.
Comunque sia, meglio tardi che mai: il cambiamento di rotta dei media è senz’altro un elemento estremamente positivo. Il vero problema, adesso, è rappresentato soprattutto dai governanti europei. Nonostante infatti sia chiaro a tutti che le politiche verdi ci hanno enormemente danneggiato, sembra che nell’Unione si voglia continuare a ogni costo a battere il sentiero suicida. Non molti giorni fa, lo abbiamo raccontato, il Financial Times ha svelato che la Commissione Ue sta pensando a una nuova tassa sulle emissioni dei carburanti per caldaie domestiche, impianti industriali e automobili che dovrebbe entrare in vigore entro il 2027. Insomma, da un lato le evidenze sui disastri causati dall’ossessione climatica sono difficilmente negabili e vanno aumentando. Dall’altro però esse si scontrano con l’ottusa resistenza dell’ideologia green che ancora infetta troppi decisori. Un contrasto manifestatosi con cristallina chiarezza ieri nelle parole del ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin. Tutto soddisfatto, durante la conferenza stampa sulla Cop30, ha spiegato che «l’Italia ha superato l’obiettivo fissato dal G20: il contributo italiano alla finanza per il clima è passato da 838 milioni di euro nel 2023 a 3,44 miliardi nel 2024». Capito? Il ministro si vantava di come l’Italia abbia dovuto sottostare ai diktat verdi. Peccato che Giorgia Meloni, più o meno nello stesso momento, in un messaggio inviato all’incontro di Federacciai a Bergamo, abbia spiegato l’importanza di smontare la retorica climatica. «Abbiamo compiuto passi importanti per superare quel dogmatismo ideologico che ha messo in ginocchio le nostre imprese e i nostri lavoratori», ha detto il premier. «Ovviamente non ci accontentiamo e continueremo a lavorare in questa direzione, così come non smetteremo di fare la nostra parte per difendere la produzione europea di acciaio». Meloni ha detto che «grazie al gioco di squadra con altri nove governi europei di differenti colori politici, non abbiamo solo apportato modifiche significative alla proposta di revisione della Legge Clima ma abbiamo posto le basi per correggere altre storture».
Tutto ciò è decisamente surreale: mentre il capo del governo si danna per porre un argine ai disastri dovuti alle ecofollie europee, il ministro dell’Ambiente resta prono al discorso dominante. E resta tale perché questo è l’atteggiamento obbligato negli incontri internazionali e in Europa: il green è un fallimento totale, ma smontarne l’impalcatura è impresa titanica. Cambia idea Bill Gates, cambiano idea pure le pietre, ma l’Ue tiene la barra dritta verso lo stesso obiettivo: distruggere i popoli in nome dell’ambiente.