Cambiamento climatico e prevenzione, gli esperti: “Fenomeni più frequenti e intensi, ma manca il controllo del territorio: cosa non funziona”

  • Postato il 2 febbraio 2025
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  • Di Il Vostro Giornale
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Allerta gialla: maltempo nel savonese

Savona. Un quarto di secolo in cui i cosiddetti “fenomeni estremi” si sono fatti sempre più frequenti e sempre più violenti e in cui, contemporaneamente e in preoccupante antitesi, le misure di prevenzione e mitigazione del rischio sembrano essere meno incisive di un tempo. E’ questo il quadro che emerge analizzando l’evoluzione del clima ligure e savonese in particolare negli ultimi 25 anni, cioè dal 2000 ad oggi, e le azioni messe in atto dalle istituzioni di tutti i livelli per far fronte a questi cambiamenti di scenario.

Una piccola premessa. Quando si parla di clima, l’estensione dell’arco temporale preso in esame è cruciale. All’interno dei processi naturali, pochi anni o pochi decenni sono davvero “un battito di ciglia” rispetto alla durata dei fenomeni geologici. Quando si esaminano le trasformazioni del nostro clima il discorso non è molto diverso. Purtroppo, però, nell’epoca moderna fattori esterni hanno dato una scossa e un’accelerata a certi processi: i picchi di emissione di anidride carbonica nell’aria o l’aumento di azoto nell’atmosfera o la deforestazione sono elementi che hanno trasformato rapidamente le caratteristiche del clima anche ligure. Con effetti che tutti noi conosciamo: basti pensare all’aumento esponenziale del numero di “notti tropicali” estive, con tassi di umidità pari a quelle che si registrano a ben altre latitudine; basti pensare alla temperatura del mare registrata la scorsa estate, ben oltre i parametri consueti; basti pensare alle piogge torrenziali che, negli ultimi anni, hanno causato danni praticamente in ogni angolo della nostra Liguria.

E proprio quest’ultimo aspetto è quello che abbiamo deciso di prendere in esame insieme a Luana Isella e Alessandro Scarpati, geologi e “Disaster manager”, cioè tecnici in possesso delle competenze necessarie a fronteggiare catastrofi simili, nonché amministratori pubblici (Isella è attualmente consigliere comunale di Loano ed in passato ha ricoperto l’incarico di consigliere comunale delegato alla protezione civile e quello di consigliere provinciale delegato alla viabilità, mentre Scarpati ha ricoperto lo stesso ruolo in Comune ad Alassio, oltre ad essere stato dal 1999 al 2004 assessore provinciale a Savona alla difesa del suolo e protezione civile).

Cominciamo da un dato piuttosto semplice e che abbiamo già evidenziato: negli ultimi 25 anni i fenomeni estremi sono gradualmente aumentati e diventati sempre più intensi. Ne ricordiamo alcuni: nel 2000 c’è stata l’alluvione nell’imperiese e nel savonese e nel 2006 quella che ha colpito soprattutto l’estremo ponente ligure; nel 2010 piogge torrenziali hanno causato danni enormi a Varazze, e l’anno dopo altrettanto è accaduto a Genova e alle Cinque Terre; altre alluvioni si sono verificate poi nel 2014, nel 2016 e nel 2018; da quell’anno, eventi simili si sono verificati praticamente ogni anno e spesso più volte nell’arco degli stessi dodici mesi. Come avvenuto ad Albenga dove “abbiamo avuto tre eventi intensi in una stagione sola”.

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“Insomma – sottolineano Isella e Scarpati – siamo passati da una frequenza di uno ogni sei anni ad uno ogni quattro, poi uno ogni due e infine uno all’anno (o anche di più). Si tratta degli effetti del cambiamento climatico in atto e che è confermato in maniera molto oggettiva dai dati. Uno per tutti, quello relativo alla temperature: secondo gli ultimi studi relativi alle serie climatiche, in dieci anni la temperatura media del pianeta è aumentata di 0,26 gradi. Nel 2023 si è registrato l’aumento più rilevante, pari a 1,3 gradi. Ben oltre il limite massimo imposto dai protocolli ambientali internazionali”.

Uno dei famosi “fattori esterni” che contribuisce alla formazione di quei fenomeni che stanno colpendo con sempre maggiore violenza e frequenza il nostro territorio. “La Liguria è un caso estremo – ricorda Scarpati – A Rossiglione, nel genovese, abbiamo registrato il record europeo di precipitazioni orarie. Nell’ottobre 2021 sono caduti ben 740,6 millimetri di pioggia in dodici ore”.

Numeri davvero da record, che aiutano a capire quanto sia importante, oggi, disporre di contromisure adatte per far fronte agli eventuali problemi che precipitazioni del genere possono creare: “All’inizio degli anni 2000 – spiegano Isella e Scarpati – si è cominciato a lavorare ai cosiddetti Piani di bacino, approvati nel 2004. Prima che venissero predisposti questi documenti, nessuno poteva sapere con precisione quali fossero le zone pericolose delle città. E’ stato grazie ai Piani di bacino e allo studio sulle zone inondate dai corsi d’acqua che siamo poi arrivati ad avere un’idea di quali fossero le zone inondabili e quindi quelle a rischio. Per ogni criticità, tra l’altro, il Piano aveva indicato il tipo ed il costo dei vari interventi di messa in sicurezza. Era una sorta di ‘libro dei sogni’ con l’elenco degli interventi da realizzare anno per anno e per i quali, da subito, erano stati erogati finanziamenti che avevano consentito di realizzare alcuni interventi (ai quali, purtroppo, non è mai stato dato seguito). I Piani, ovviamente, esistono ancora oggi, ma purtroppo il loro aggiornamento non ha tenuto il passo, ad esempio, degli studi di modellazione idraulica. In altre parole: i Piani tengono conto delle portate dei corsi d’acqua di oltre 20 anni fa; oggi, con il cambiamento climatico, le portate sono cambiate”.

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Ma non solo: “I Piani tenevano in considerazione solo la componente idraulica e quindi l’acqua, non i materiali che dall’acqua sono trasportati, come i grossi tronchi e gli altri materiali che possono ostruire i ponti ed i viadotti e quindi causare esondazioni”.

Occorrerebbe dunque un aggiornamento. E anche un maggiore dialogo tra le istituzioni: “In passato la pianificazione ambientale veniva effettuata a livello di Provincia, che predisponeva i Piani di bacino ed effettuava la manutenzione dei corsi d’acqua – ricorda Scarpati – A livello comunale, poi, c’erano realtà locali che si occupavano di monitorare ed effettuare la manutenzione dei corsi d’acqua. Penso al Consorzio Irriguo del Centa, che ha cessato di esistere negli anni ’90 ma sulla Piana di Albenga si occupava proprio di questo. Penso anche alle Comunità Montane, che hanno cessato di esistere tra il 2008 e il 2011. Oggi, purtroppo, il territorio è molto meno monitorato. Per tornare all’esempio ingauno, oggi su un bacino grande come quello del Centa sono coinvolti solo Comune e Regione. E’ chiaro che le risorse a disposizione sono molto diverse rispetto al passato”.

Un esempio: “Nella vicina Toscana i consorzi di bonifica gestiscono i piccoli corsi d’acqua ed i canali e gli interventi realizzati dai privati. Si tratta di realtà che sarebbero indispensabili, ad esempio, per una città come Albenga. In Toscana hanno anche il genio civile, che effettua sempre interventi di mitigazione del rischio idraulico. In Liguria, purtroppo, possiamo contare solo sull’azione dei singoli Comuni e dell’ufficio competente di Regione Liguria. Agli Enti Locali, quindi, manca un interlocutore intermedio, che sarebbe molto utile specie in contesti di certe dimensioni. Pensiamo al Comune di Bormida, che deve gestire il rischio per un corso d’acqua della portata del fiume omonimo. C’è stata una graduale diminuzione di enti operanti sul territorio, che ha ridimensionato notevolmente la capacità di intervento in materia di difesa del suolo”.

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In questo contesto, data la carenza di interventi in materia di difesa del suolo, l’esigenza di ridurre le superfici delle aree inondabili viene meno: “In alcuni casi, come a Borghetto per il Varatella e a Pietra Ligure per il Maremola, le amministrazioni sono riuscite ad intervenire con progetti che hanno ridotto sensibilmente il rischio. Si tratta di interventi che erano già previsti nei Piani di bacino e che hanno visto la luce solo in tempi piuttosto recenti. Forse, se avessimo investito in modo ‘giusto’ in quegli anni, il ritorno sarebbe stato migliore”.

E cosa possiamo fare oggi per “recuperare il tempo perduto” e mettere in sicurezza il territorio il più possibile? Al di là degli interventi sui corsi d’acqua, secondo Scarpati occorre lavorare anche sul patrimonio immobiliare: “Servono interventi per rendere le città permeabili – spiega – In Cina è stato inventato il modello urbanistico della ‘città spugna’, cioè dotata di elementi (come tetti degli edifici o vasche sotterranee in grado di raccogliere l’acqua o arredi urbani capaci di assorbirla) che contribuiscono a ridurre la quantità di precipitazioni che si riversa sulla rete di smaltimento. La città di Milano ha ottenuto, nell’ambito del Pnrr, un finanziamento volto proprio a realizzare interventi simili nel territori dell’hinterland. Sempre in Lombardia esiste una legge regionale relativa all’invarianza idraulica, che è un principio per il quale l’acqua piovana che si riversa sull’area urbana non deve superare i livelli preesistenti. Secondo questa legge, in estrema sintesi, le nuove costruzioni che sostituiscono costruzioni già esistenti non devono ‘creare più problemi’ di quelle vecchie vecchie dal punto di vista dello smaltimento delle precipitazioni. Sul territorio di Genova e nell’imperiese sono state valutate misure simili, ma in Liguria non abbiamo una legge regionale analoga e quindi non ci sono obblighi rispetto a questo principio”.

Aggiunge Isella: “Negli ultimi 25 anni l’edilizia è cresciuta molto, ma parimenti non c’è stata una metodologia costruttiva che abbia tenuto conto del progressivo cambiamento del clima. Interventi che tengono conto del principio di invarianza idraulica possono essere realizzati sia da privati che dalle pubbliche amministrazioni nell’ambito, ad esempio, degli interventi di rigenerazione urbana. Sarebbe un passo avanti importante, da realizzare di pari passo con i progetti di prevenzione idraulica da attuare sui bacini idrici”.

Allerta gialla: maltempo nel savonese

Il quadro, come si può notare, appare piuttosto desolante: “Per quanto riguarda la prevenzione che possono mettere in atto i semplici cittadini – sottolineano Isella e Scarpati – negli ultimi anni molto è stato fatto. Grazie alla Protezione civile e ad un sistema di allertamento consolidato, la popolazione non sottovaluta più certi rischi. La consapevolezza è aumentata, insomma. D’altro canto, le opere in grado di mitigare il rischio realizzate finora non sono sufficienti. Per avere la vera svolta, occorrerebbe un cambiamento culturale molto più drastico. Oggi, purtroppo, facciamo i conti con 25 anni di mancato controllo del territorio”.

“Secondo gli ultimi modelli previsionali – aggiungono – la situazione non potrà che mantenersi stabile o peggiorare. Gli interventi di messa in sicurezza richiedono tempo, quindi per vedere un vero miglioramento occorrono anni. Ma serve un lavoro sinergico tra chi lavora sul territorio e la politica affinché mettano in atto una corretta pianificazione della progettualità. E basta poco. Ad esempio, i Comuni potrebbero dotarsi di strumenti semplici e alla portata (anche economica) come gli idrometri ed i pluviometri. Un sistema di monitoraggio di questo genere, del costo di poche migliaia di euro, consentirebbe di stabilire con un margine di tempo utile dove e quanto sta piovendo e dunque mettere in atto le azioni necessarie a salvare vite umane”.

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Il Vostro Giornale

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