Caffè più caro: la tazzina al bar verso i 2 euro entro il 2025
- Postato il 30 settembre 2025
- Di Panorama
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La tazzina di caffè al bar a 2 euro? Non è fantascienza, è sempre più vicina. Si celebra così, con i prezzi che volano, la giornata internazionale del caffè, il 1 ottobre. La produzione globale non tiene il passo dei consumi, le scorte si riducono, il cambiamento climatico, i dazi statunitensi stanno creando un mix esplosivo per il settore. E incombe, in Europa, la nuova normativa sulla deforestazione che impone sistemi di tracciabilità e certificazioni che rafforzano la sostenibilità ambientale, ma impongono anche costi aggiuntivi per i produttori. Costi che, a pioggia, arrivano anche sui consumatori, sulla tazzina al bar.
Prezzi del caffè in rialzo: Arabica +50%, Robusta +40%
Negli ultimi mesi il mercato del caffè è entrato in una spirale di rialzi. Da agosto i prezzi dell’Arabica sono cresciuti del 50%, mentre quelli della Robusta del 40%. Oggi il caffè verde viaggia intorno ai 380 centesimi per libbra, quasi tre volte la media storica. Tradotto in termini quotidiani, la tazzina al bar sta diventando sempre più cara. Secondo Unimpresa, entro la fine del 2025 il prezzo medio dell’espresso potrebbe arrivare a 2 euro, con un aumento di oltre il 50% rispetto al 2020. Già ora la differenza si vede: dal 2021 a oggi il costo è salito del 19%, e negli ultimi cinque anni è passato da 0,87 a oltre 1,30 euro, con punte di 1,43 euro nelle grandi città del Nord. L’Italia, con i suoi 327 milioni di chili di caffè verde consumati ogni anno e un mercato da 5,2 miliardi di euro, resta un Paese dove il caffè resiste. Ma l’aumento dei costi mette pressione all’intera filiera.
Perché il caffè costa sempre di più
Il prezzo del caffè è spinto al rialzo da un mix di fattori. La prima causa è il cambiamento climatico. In Brasile, che produce il 40% dell’Arabica mondiale e il 30% della Robusta, le recenti gelate seguite alle piogge torrenziali prima, hanno danneggiato i raccolti. In Vietnam, altro gigante del settore, la siccità ha ridotto la disponibilità di materia prima. Da quattro anni la produzione globale non riesce a tenere il passo con i consumi, andando ad erodere, progressivamente, le scorte. Conseguenza? È aumentata la volatilità del mercato. Anche il 2025 si preannuncia in deficit, con un calo stimato del 6% rispetto al 2024. Poi ci sono i dazi statunitensi. Gli Stati Uniti hanno imposto tariffe del 50% sul caffè brasiliano, riducendo l’offerta sul mercato americano e innescando tensioni internazionali. Il Brasile, di fronte a queste barriere, sta cercando alternative commerciali verso Europa e Cina, ma ciò richiede un aumento della produzione, che oggi sembra lontano. Infine, pesano i costi energetici, la logistica, l’inflazione e la speculazione sui mercati finanziari, che ha fatto volare i futures del caffè fino a livelli record. “La scarsità delle riserve nei paesi consumatori, la speculazione e i cambiamenti climatici rendono il mercato del caffè estremamente volatile e complesso da governare. Questa situazione, unita alle crescenti esigenze di sostenibilità e di attenzione agli aspetti salutistici da parte dei consumatori, rende indispensabile un’integrazione più profonda del sistema. La sfida principale per le aziende odierne consiste nel riuscire a inserire il settore in un contesto globale, integrando sempre di più sostenibilità, qualità e affidabilità lungo tutta la filiera.”, spiega Massimiliano Fabian, Presidente della European Coffee Federation e Presidente e Amministratore Delegato di Demus S.p.A.,
La normativa europea contro la deforestazione incide sul settore caffè
C’è poi la sfida normativa che arriva da Bruxelles. L’EU Deforestation Regulation (Eudr), parte del Green Deal europeo, prevede dal 30 dicembre 2025 per le grandi imprese e dal 30 giugno 2026 per le PMI che prodotti come caffè, cacao, soia e legno possano entrare nel mercato europeo solo se certificati come “deforestation-free”. Questo significa che le aziende dovranno garantire la tracciabilità completa delle filiere, dimostrando che i chicchi di caffè non arrivano da terreni deforestati dopo il 2020. È prevista anche una dichiarazione formale di “due diligence” da parte degli operatori, con controlli e verifiche rigorose. La Commissione europea sta valutando un rinvio di un anno, per consentire alle imprese di adattarsi meglio a queste regole. Normative che portano costi alla filiera e quindi ai consumatori finali, ma che possono essere anche una leva per differenziarsi e rafforzare il legame con i consumatori. “Se pensiamo ai mercati extra UE, dove le aziende non hanno questo obbligo, la capacità di dimostrare tracciabilità e sostenibilità diventa un elemento distintivo. I brand che sapranno valorizzare queste informazioni non solo risponderanno alle richieste dei consumatori più attenti, ma potranno anche differenziarsi rispetto ai concorrenti, rafforzare la propria reputazione e guadagnare un vantaggio competitivo nei mercati internazionali.”, commenta Alessandro Chelli, CEO di Trusty, Società Benefit italiana che usa la tecnologia blockchain per la tracciabilità delle filiere agroalimentari e industriali