Cafarchio: Yuko Mishima, il d'Annunzio giapponese

  • Postato il 14 gennaio 2025
  • Di Libero Quotidiano
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Cafarchio: Yuko Mishima, il d'Annunzio giapponese

U na lama, 100 anni. È passato esattamente un secolo dal 14 gennaio 1925, data di nascita di Yukio Mishima l'autore giapponese più tradotto nella nostra lingua. All'interno del suo dualismo ha saputo raccontare come nessun altro i lati nascosti e visibili del Sol Levante. Uno scrittore che è uscito, nell'era moderna, dalla dicotomia dell'arte per l'arte. Una vana ricerca che sviscera l'esistenza dell'autore dalla propria produzione. I libri diventano un ready-made di tutto quello che non sappiamo essere. Quello che maggiormente ha affascinato l'anestetizzato pubblico è il suo rapporto con l'eterno sonno. «La morte si sposa perfettamente con la sua visione del mondo, è tratto peculiare della cultura tradizionale giapponese, si lega all'eroismo, al coraggio, all'etica samurai, a un “intellettuale atipico” che da anni combatte contro l'intellettualismo», ha scritto di lui Federico Goglio. Ma è nella simbiosi con la bellezza, come accennato all'inizio, in quella spasmodica ricerca del gesto, ripetuto e ripetuto fino allo sfinimento, che tutto torna. Platone gridava che «la bellezza è fuggevole» e Goethe, non da meno, lo ribadì nel Faust, «Bellezza, fermati un istante!». Impossibile. Solo con il colpo eclatante immortalato nell'immortale destino di uomini che non sono di questo tempo possiamo sperare di ammirare la supernova di Kimitake Hiraoka, il vero nome dello scrittore natio di Tokyo.

LE ARTI MARZIALI
Dicevamo 100 anni e le parole scritte nel testo Lezioni spirituali per giovani samurai sono una prece rivolta alla gioventù. Solo quello conta perché se essa riesce a sentire il suono della rivoluzione nulla sarà mai perduto. «La situazione politica moderna ha introdotto nella sua sfera d'azione l'irresponsabilità dell'arte, riducendo la vita a un concetto assolutamente fittizio; ha trasformato la società in un teatro, il popolo in una massa di spettatori televisivi, e in definitiva ha prodotto la politicizzazione dell'arte». Come Guy Debord contro la collettività che viene condotta verso il patibolo della società dello spettacolo. Tra le sue creazioni spicca il Tatenokai letteralmente la Società dello Scudo. Un milizia composta da uomini che attraverso la pratica del kendo e delle arti marziali, ma soprattutto della vita comunitaria, cercarono la via del samurai. Tutto per il Giappone, nulla al di fuori del Giappone.
Nel volume Sole e acciaio, testamento onirico, scrive a proposito di sodalizio: «proprio la “sofferenza comune” è l'estrema antagonista dell'espressione verbale. Nemmeno il dolore universale (...) può creare una comunità in cui la sofferenza sia condivisa». Sangue chiama sangue nel perpetuo sentire.

Ma questo viaggio dove inizia? Inizia il 27 aprile 1952. Mishima ha 27 anni e mentre si trova a Delfi, in Grecia, si arrampica, assieme a un gruppo di turisti, sui marmi della civiltà europea. L'incedere dei passi avvicina la storia. Quelle che sembravano solo pietre desolate prendono vita. Eccolo il tempio di Apollo, il teatro, lo stadio e l'oracolo. In cinque, una giovane francese, una ragazza greca e due americani assieme al nostro uomo, prendono il largo dalla guida che li accompagna e si perdono verso la palestra. Nella mente riecheggia l'incontro con la statua dell'Auriga in bronzo. Ogni anfratto del simulacro conduce verso la bellezza. Quella così vivida da essere vera, così visibile da essere immediata, così sfacciata da essere replicabile. In Giappone è già un letterato affermato, ma quella traversata per il mondo, sfociata nella Grecia antica, lo cambierà per sempre e nulla sarà più come prima. Nulla davanti alla tragedia del Vecchio Continente può assomigliare a ieri, il mito fondante di genti che nella trascendenza hanno costruito i secoli giunti fino a noi.

L'ITALIA E LA MORTE
Il rapporto con l'Italia è assoluto. Alberto Moravia definì l'intellettuale nipponico un “conservatore decadente”, mentre Selenia De Felice - curatrice del testo Yukio Mishima. Infinito samurai, pubblicato recentemente da Idrovolante- ci racconta come solo d'Annunzio, assieme al giapponese, «ha saputo incastrare la propria vita e le proprie opere in un vigoroso richiamo al passato, quando la stragrande maggioranza dell'élite culturale si dichiarava totalmente proiettata allo slancio estremo verso il futuro, con la voglia di scrollarsi di dosso l'antico. Vita e letteratura sono per questi due autori elementi inscindibili e non è un caso, probabilmente, che Mishima fosse il traduttore del Vate per il giapponese». Poi c'è la morte, il 25 novembre 1970, tramite seppuku in mondovisione dopo aver occupato l'ufficio del generale Mashita coi suoi sodali, di cui si è scritto tutto il contrario di tutto. Rituale che impressionò, fino a dedicargli pagine intense, anche Henry Miller. A tal proposito una piccola gemma, che ha quasi un quarto di secolo, arriva dalla libreria di Origini, il supplemento dell'allora rivista Orion, capace di mettere in fila in un testo di Gastone Galante la fine di Mishima, di Drieu La Rochelle, di Jacques Rigaut, ma soprattutto di Vladimir Majakovskij. Tutti sulla stessa riga, mentre il secolo breve ha dissipato, senza pietà, i suoi poeti.

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Autore
Libero Quotidiano

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