Busacca: il partigiano Oscar sogna di andare a caccia di fascisti

  • Postato il 22 settembre 2024
  • Di Libero Quotidiano
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Busacca: il partigiano Oscar sogna di andare a caccia di fascisti

Si nasce incendiari e si muore pompieri. O almeno così si dice. La regola, però, non sembra valere per Oscar Farinetti, estroso fondatore di Eataly. Martedì prossimo Farinetti compirà settant'anni e per festeggiare ha concesso, con qualche giorno di anticipo, una lunga intervista al Corriere della Sera.

La voglia di raccontare la sua vita all'imprenditore-scrittore non è mai mancata. E anche questa volta non si è tirato indietro: dalla storia d'amore con la moglie (nata anche grazie a un aspirapolvere) al rapporto coi suoi tre nipoti, dagli inizi difficili in una casa popolare (affittata a 37mila lire al mese) fino agli investimenti in Giappone e in America. Ma è quando parla del padre, il “Comandante”, che Farinetti sale sulle barricate. «Ho avuto un bel colpo di fortuna a nascere figlio di un partigiano», spiega. «La fortuna più grande», però, «sarebbe stata nascere nel 1922 e farlo anche io».

Altro che giovani incendiari e anziani pompieri, alla vigilia dei settant'anni Farinetti rimpiange di non aver potuto imbracciare il mitra per combattere contro le camicie nere. Una “sparata”, questa, che merita qualche breve considerazione: - primo: occhio alle date! È vero che nascendo nel 1922, anno della Marcia su Roma, il fondatore di Eataly avrebbe potuto teoricamente fare la Resistenza, ma si sarebbe anche dovuto sorbire vent'anni di Regime mussoliniano, cosa che per un antifascista non è che sia proprio il massimo. Insomma, prima di andare in montagna a combattere contro i fascisti, il piccolo Farinetti avrebbe dovuto fare il figlio della lupa (dai 6 ai 8 anni), il balilla (dai 8 ai 14 anni) e pure l'avanguardista (dai 14 ai 18 anni). E se poi diventava fascista pure lui? - secondo: è sempre troppo facile fare il soldato a parole, restando al sicuro nella propria casa (questo vale per tutti noi).

Una guerra non è mai una festa. E ancora meno lo è una guerra civile come quella che si è combattuta in Italia tra il 1943 e il 1945. Un conflitto che ha distrutto tante famiglie e che ha dilaniato il Paese, tanto che perfino oggi, a ottant'anni di distanza, sembra che le ferite non si siano ancora tutte rimarginate. - terzo: forse non è un caso se quelli che la guerra l'hanno fatta davvero sono molto più cauti quando raccontano la loro esperienza. Basta pensare alle pagine sulla Resistenza scritte da Beppe Fenoglio, partigiano in Piemonte dopo l'8 settembre 1943, o, cambiando totalmente direzione, a quelle sulla Prima guerra mondiale che ci ha lasciato Louis-Ferdinand Céline, all'epoca decorato con la Croce di guerra. Leggendole, si capisce che chi è nato nel Dopoguerra (come Farinetti, classe 1954) è stato parecchio fortunato, anche se troppo spesso non ce ne rendiamo neanche conto. I nostri padri e i nostri nonni che hanno combattuto andrebbero forse più ringraziati che scimmiottati. Per il resto, l'intervista di Farinetti scorre rapidamente tra un ricordo e l'altro.

Divertente la grande considerazione che ha di se stesso come scrittore: «L'autobiografia di 600 pagine? Intanto Never quiet è un libro bellissimo, scritto da dio. Me ne sono perfino pentito, ma ho pensato: magari muoio. Se lo facevo di 250 pagine vendevo centomila copie. Ne ho vendute 60mila». Più bizzarra la confessione sul suo profilo di acquirente: «Io non entro in un negozio da quando sono sposato: né abbigliamento, né scarpe, né calze. Sono un mercante che fa luoghi di retail, ma odio fare il cliente». Insomma, un mercante che non va nei negozi e un partigiano che non ha fatto la guerra. Ma ridurlo solo a questo, alla fine, sarebbe ingeneroso. Never quiet...

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Libero Quotidiano

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