Bullismo: la morte di un ragazzo e di una società
- Postato il 16 settembre 2025
- Attualità
- Di Paese Italia Press
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16 sett. 2025 – Un ragazzo di 14 anni si toglie la vita. Una cordicella, una cameretta, il silenzio attorno. E subito scatta il rituale: i titoli dei giornali, le lacrime di circostanza, i minuti di silenzio, i “mai più” che sappiamo già dureranno quanto una fiammella al vento. Poi, lentamente ma inesorabilmente, tutto torna al suo posto. E il prossimo Paolo sarà lasciato solo, come questo.
Perché il bullismo non è solo l’opera di quattro ragazzi crudeli. Il bullismo è il termometro di una società malata che ha scelto da tempo di morire, un centimetro alla volta, fingendo di non vedere.
Siamo noi, i primi carnefici. Noi che quando leggiamo una notizia simile pensiamo: “meno male che non è capitato a mio figlio, a mia nipote”. Noi che abbassiamo lo sguardo, che non vogliamo fastidi, che preferiamo convincerci che “sono ragazzate”.
Sono complici quegli insegnanti che chiudono un occhio, preoccupati più della busta paga che di educare. Sono complici quei presidi che non vogliono cattiva pubblicità. Sono complici le istituzioni che fingono di combattere il bullismo con protocolli e commissioni mentre i ragazzi vengono sbranati vivi dentro e fuori dalla scuola.
Sono complici i compagni di classe, troppo vili per schierarsi, troppo omertosi per difendere l’amico più debole. Sono complici le famiglie dei bulli, distratte quando non addirittura fiere di figli “forti”, figli che “si fanno rispettare” colpendo chi non può difendersi.
E intanto muore non solo un ragazzo, ma un intero patto sociale.
Perché quando si lascia che l’arroganza diventi forza, che la violenza diventi rispetto, che la viltà diventi normalità, allora non muore solo Paolo. Muore l’umanità. Muore la società stessa, che preferisce specchiarsi nell’illusione della forza invece che coltivare il valore della solidarietà.
Ogni volta che un bullo umilia, picchia, isola un compagno e noi ci giriamo dall’altra parte, muore un pezzo della nostra civiltà. Ogni volta che un preside archivia, che un insegnante tace, che un genitore minimizza, crolla un mattone del muro che ci teneva insieme come comunità.
E quando quel muro cadrà del tutto, non avremo più bisogno di bulli per distruggerci: lo avremo fatto da soli, con il nostro silenzio.
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