Bullismo, dai codici ai team di prevenzione: cosa fa la scuola. Novara: “Ma sul caso di Mendico e gli altri non fare allarmismo”

  • Postato il 18 settembre 2025
  • Scuola
  • Di Il Fatto Quotidiano
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La morte di Paolo Mendico, quattordici anni, che si è tolto la vita nella sua abitazione a Santi Cosma e Damiano (Latina), ha riaperto una riflessione sulle misure di contrasto al bullismo. La tragica fine del ragazzo, bersaglio di insulti e offese anche online, lascia una serie di interrogativi: che può fare la scuola? Come deve comportarsi di fronte ad un caso di bullismo? È sufficiente la legislazione in campo a prevenire ciò che è accaduto al 14enne dell’istituto tecnico “Pacinotti” di Fondi?

L’Italia è arrivata tardi a legiferare sul tema. Se in Norvegia e in Svezia già alla fine degli anni settanta si parlava di questo fenomeno nel nostro Paese si è intervenuti solo dopo la morte di Carolina Picchio, la studentessa anche lei 14enne che la notte del 5 gennaio 2013 si suicidò perché esasperata dalle offese ricevute sui social.

Il primo passo contro il bullismo e il cyberbullismo è stato fatto con l’entrata in vigore della legge 71 del 2017 che si è concentrata sulla tutela dei minori e sulle procedure per la rimozione di contenuti online. Nel 2021 sono state emanate le linee guida ministeriali e sono stati istituiti i team antibullismo nelle scuole. L’ultimo step è stata l’emanazione della Legge 70 del 17 maggio 2024 che ha ulteriormente ampliato la normativa, richiedendo alle scuole di dotarsi di codici interni di prevenzione, prevedendo supporto psicologico, e rafforzando il ruolo dei genitori e delle istituzioni nel contrasto a questi fenomeni.

Ma cosa succede nella pratica? Ogni istituto scolastico deve individuare fra i docenti un referente con il compito di coordinare le iniziative di prevenzione e di contrasto del cyberbullismo, anche avvalendosi della collaborazione delle forze dell’ordine, delle associazioni e dei centri di aggregazione giovanile presenti sul territorio. Il preside che viene a conoscenza di atti di cyberbullismo deve informare tempestivamente i genitori dei minori coinvolti e promuovere nell’ambito della propria autonomia, l’educazione all’uso consapevole della rete Internet e ai diritti e doveri ad esso connessi. La scuola, inoltre, è tenuta ad adottare un protocollo interno per gestire episodi di bullismo/cyberbullismo, che deve includere: procedure di segnalazione; ascolto delle vittime; intervento educativo sui responsabili e il coinvolgimento delle famiglie che devono essere informate e coinvolte sia quando il figlio è vittima sia quando è autore di bullismo.

E un ragazzo cosa può fare se è vittima di bullismo o cyberbullismo? Innanzitutto, può rivolgersi al referente della scuola. Ciascun minore ultraquattordicenne (o i suoi genitori o chi esercita la responsabilità del minore) che è vittima di cyberbullismo può inoltrare al responsabile del contenuto o al gestore del sito internet o del social media un’istanza per l’oscuramento, la rimozione o il blocco dei contenuti diffusi nella rete. Se entro 24 ore il gestore non provvede, l’interessato può rivolgere analoga richiesta al Garante per la protezione dei dati personali, che rimuoverà i contenuti entro 48 ore. Il Garante ha pubblicato nel proprio sito il modello per la segnalazione/reclamo in materia di cyberbullismo da inviare a: cyberbullismo@gpdp.it.

Ma tutto questo basta? Lo abbiamo chiesto al pedagogista Daniele Novara, membro della commissione ministeriale sul bullismo: “Su questo caso di Santi Cosma come su altri non c’è certezza che sia tratti di bullismo. Far corrispondere il suicidio a questo atto è estremamente problematico. Il bullismo può portare al suicidio, ma siamo sempre di fronte a persone molto fragili. Non dobbiamo rischiare di colpevolizzare la scuola che diventa il tiro al piccione. Come sostenuto nel mio libro “Litigare fa bene”, pubblicato da Rizzoli, il tema è aiutare i ragazzi e e ragazze, a partire dalla prima media, a gestire i conflitti, a vivere le frustrazioni il meglio possibile. Dobbiamo non fare allarmismo, ma essere in grado di segnalare le situazioni di palese bullismo, un fenomeno che ha caratteristiche precise, particolari, scientifiche. Il bullo è spesso visto in Italia come un prepotente a differenza dell’Inghilterra dove il termine ha connotati più violenti. Servono processi di apprendimento di gruppo affinché ci sia una scuola sociale che crea in automatico gli antidoti al bullismo. Così si evita che il bullo sia un clandestino a bordo”.

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Il Fatto Quotidiano

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