Bruno Vespa: «Indago vite parallele»
- Postato il 10 novembre 2024
- Intervista
- Di Panorama
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Bruno Vespa: «Indago vite parallele»
È dedicato a Hitler e Mussolini l’ultimo libro di Bruno Vespa. Ma dall’inchiesta sul passato il giornalista allarga poi l’approfondimento al presente, esplorando coppie politiche come Meloni-Schlein e Renzi-Conte. E al lettore offre alcuni retroscena inediti.
Mussolini-Hitler ma anche Meloni-Schlein, Conte-Renzi, Salvini-Vannacci. Vite parallele. Con la grande Storia che nella seconda parte lascia il posto all’attualità cucinata con originali approfondimenti e intriganti retroscena. È la formula classica di Bruno Vespa al suo 35º libro, edito da Mondadori e Rai Libri, titolo Hitler e Mussolini, sottotitolo illuminante «L’idillio fatale che sconvolse il mondo (e il ruolo centrale dell’Italia nella nuova Europa)». Ieri e oggi, tutto si tiene. Un menù collaudato, un classico sugli scaffali alle prime brume. Perché nel Paese del premierato e del campo largo, senza il saggio del patriarca degli anchormen televisivi non c’è risposta definitiva ai questiti della politica. E laggiù in fondo non c’è neppure Natale. Bruno Vespa, fondere storia e attualità è una formula vincente. Come nasce l’idea?Gli italiani sono appassionati di storia più di quanto non s’immagini. E poi di attualità, con approfondimenti e retroscena che non mancano mai. Ho aggiornato il libro con tutte le novità fino all’ultimo minuto; ho il vizio del cronista, amo raccontare la storia in presa diretta come se fosse cronaca e l’attualità come se fosse già storia. La formula è nata 20 anni fa con Storia d’Italia da Mussolini a Berlusconi. Ha funzionato e ho continuato. Molti suoi libri hanno Mussolini nel titolo, un nome che funziona sempre.È un passato che non passa, ancora troppo recente per essere sepolto, tra l’altro rinverdito da polemiche e motivazioni indebite. Mussolini è sempre attuale. Grazie a un eroe nazionale come Charles De Gaulle, i francesi hanno dimenticato più in fretta la Repubblica di Vichy di quanto non abbiamo fatto noi con la Repubblica di Salò. E dire che era molto più estesa quella francese, con annessi e connessi.È vero che gli italiani non erano fascisti ma mussoliniani con il culto della personalità?Fino al 1937 compreso, lui aveva un consenso enorme, diventato ancora più grande dopo la campagna d’Etiopia, al termine della quale applaudirono anche gli antifascisti come Carlo Rosselli. Nel 1935, alla consegna dell’oro alla patria, perfino l’arcivescovo di Milano Ildefonso Schuster donò l’anello pastorale. Poi, nel 1938, il duce si infilò nella follia delle leggi razziali e iniziò il disastro. Ma questo lo racconto nel prossimo libro. Comunque Mussolini ha avuto una storia diversa rispetto a Hitler.In che senso?Ha asservito il partito allo Stato mentre Hitler ha asservito lo Stato al partito. Nel libro c’è la storia parallela dei due dalla nascita al 1937, anno della visita a Berlino del duce. All’inizio Mussolini detestava il führer, lo considerava un isterico. Vengono affrontate anche le avventure galanti dei due signori e la parte romantico-sessuale è estesa.La sinistra teme il ritorno del fascismo. Può accadere?Nessuna possibilità, è impensabile. Ma nemmeno una nostalgia accentuata sarebbe credibile. Consideri che neanche un terzo dell’elettorato di Giorgia Meloni è missino; sono quasi tutti liberali, cattolici, conservatori. Lo dice anche l’europarlamentare Nicola Procaccini, ripreso nel filmato di Fanpage sui giovani di destra: «Io e Giorgia non siamo mai stati fascisti neppure da bambini». Non esiste proprio. Dopo due anni di governo, Meloni cresce nei sondaggi. Invece dell’uomo forte piace la donna forte.
È un dato di fatto, è il segno trasversale del successo della donna italiana. Lo dimostra anche la leadership di Elly Schlein. Una svolta pure questa perché la sinistra è sempre stata fortemente maschilista. In generale è un interessante cambio di paradigma. In più Meloni ha una popolarità e una legittimazione internazionale che un primo ministro italiano non aveva da tempo. Dieci giorni fa Le Monde, bandiera della sinistra intellettuale francese, è arrivato a scrivere: «Divenuta maestra del gioco politico, Meloni in due anni ha saputo imporsi a Roma come a Bruxelles».
Un miracolo dovuto solo al carisma?
No, anche alla congiuntura internazionale favorevole. Macron sta messo male, Scholz è un morto che cammina, Sánchez è in una situazione paradossale, l’economia va bene ma basta uno starnuto dei catalani per farlo cadere. Londra ha il mal di testa, l’America non ne parliamo. Meloni al G7 era l’unico leader solido di un Paese forte, e la cosa è molto piaciuta ai mercati.
Ma i mercati non danno la felicità.
Però creano fiducia e le previsioni positive delle agenzie di rating. Lo spread è diminuito di 100 punti, questo conta. Non dimentichiamoci che dopo i 500 punti che fecero cadere Berlusconi, anche Monti se li ritrovò tali e quali sul cammino. Meloni piace perché non dice bugie, ma ciò che pensa. Ora mi auguro la stabilità, ma me la augurerei per il Paese anche con un governo diverso.
La luna di miele è destinata a durare?
Ipotizzare il futuro è azzardato anche perché gli italiani sono imprevedibili. Sono impazziti per Grillo, poi per Renzi, Salvini, oggi Meloni. E domani? Fare previsioni è un’operazione spericolata. Un dato però è certificato: in questo periodo non è cresciuta solo lei, ma tutti i partiti che compongono la coalizione. Non accadeva da anni.
Con due donne a presidiare destra e sinistra collassa il centro. Com’è possibile?
Fallito il terzo polo, Renzi vuole entrare nel campo largo e Calenda no. Ma attenzione, entrambi partono da sinistra. Chi aspira in modo più credibile a coprire il centro è Tajani. Forza Italia è oltre le previsioni, e dopo la morte di Berlusconi nessuno avrebbe potuto immaginarlo.
La Lega è alle prese con il «papa straniero» Vannacci. Fenomeno passeggero o strutturale?
Vannacci è già stato decisivo nel contribuire al risultato della Lega alle europee. Il governatore del Friuli-Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, mi ha detto che metà dei 540 mila voti li ha presi il generale, l’altra metà li ha presi la Lega. Mi sembra ragionevole immaginarlo. Vannacci è un valore aggiunto, non credo che farà la stupidaggine di fondare un suo partito.
Nel frattempo il Medio Oriente è tornato a bruciare. Come 20, 30, 40 anni fa.
Questa volta la prospettiva è diversa. Nei decenni passati la crisi coinvolgeva anche altri Paesi mentre oggi a fronteggiare Israele c’è il vero nemico storico: l’Iran è uscito allo scoperto ma dopo le ultime batoste se ne starà buono. Israele è la potenza cibernetica e di intelligence più raffinata al mondo; tirare la corda non conviene a nessuno. Insomma, mi pare una crisi gestibile.
Il 2025 sarà l’anno della pace in Ucraina?
Dipende tutto da Vladimir Putin, se accetta di sedersi al tavolo oppure no e a quali condizioni. Ho parlato con Volodymyr Zelensky a Roma; mi pare molto difficile che gli ucraini si arrendano.
Quando questo articolo uscirà, negli Stati Uniti si sarà votato: qual è il miglior esito delle urne per l’Italia?
Vedo Meloni in una botte di ferro in ogni caso. Con Trump vincitore può far valere il sodalizio con Elon Musk, grande elettore conservatore. Se ha avuto la meglio Kamala Harris, contano i solidi rapporti che la premier italiana ha avuto con Joe Biden.
Torniamo nel cortile di casa: in Rai esiste TeleMeloni?
(Sonora risata). Si metta comodo. Sono entrato in Rai nel 1962, a 18 anni, fin qui ho avuto 25 amministratori delegati. Da sempre il governo (fino al 1976) e il maggior partito di governo (dopo il 1976) hanno nominato i vertici dell’azienda. Nell’ultimo ventennio Pd, Forza Italia, Renzi (quindi ancora Pd), Movimento Cinque stelle, Draghi, Meloni. Nessuna novità. Detto questo, il corpaccione della Rai anche per ragioni culturali è sempre stato di sinistra.
Perché si grida all’allarme democratico?
Per sport. Giorgia Meloni ha soltanto attenuato un controllo della sinistra che era pressoché totale. E lo era a maggior ragione perché la rappresentanza dei dipendenti nel cda è sempre di sinistra.
Montanelli diceva: «Uscirò da una redazione solo con i piedi in avanti». Bruno Vespa, lei ha compiuto 80 anni. Mai pensato alla pensione?
Le persone che smettono di lavorare si deprimono, dunque la penso proprio come Indro. L’unico che può farmi andare in pensione è il Padreterno. Ma fino a quando non mi darà un colpetto sulla spalla, qui si lavora.
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