Brigate Rosse, a Santa Brigida il ricordo di Coco e della scorta. Il figlio: “Momento di gioia, non dolore”
- Postato il 6 giugno 2025
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- Di Genova24
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Genova. Questa mattina, in salita Santa Brigida, si è svolta la cerimonia in memoria del procuratore generale della Repubblica Francesco Coco e degli agenti della sua scorta, il brigadiere della polizia di Stato Giovanni Saponara e l’appuntato dei carabinieri Antioco Deiana, uccisi dalle Brigate Rosse l’8 giugno del 1976 in un attentato terroristico.
L’evento, promosso dall’Unione nazionale mutilati per servizio, si è svolto presso la targa che ricorda il loro sacrificio, proprio nel luogo dell’eccidio. Alla presenza della sindaca di Genova Silvia Salis e delle massime autorità civili, militari e religiose, un picchetto interforze ha deposto una corona d’alloro. Sono seguite le letture delle motivazioni delle Medaglie d’Oro al valor civile conferite ai tre caduti, in omaggio al loro coraggio e alla difesa delle istituzioni democratiche. La commemorazione è proseguita nell’aula magna del liceo D’Oria con l’intervento del procuratore generale Enrico Zucca e la premiazione degli studenti vincitori di un concorso dedicato al tema del terrorismo.
“L’occasione di queste cerimonie è un ricordo vivo e quotidiano – spiega il figlio Massimo Coco -. Questo è il momento in cui c’è la condivisione dell’orgoglio e del significato di quello che è stato il sacrificio di queste persone e la precisa e sensazione di continuare a fare questo passaggio di testimone, soprattutto per i più giovani. Non è un momento di dolore, è un momento di gioia“.
“Questo è un segno che adempiere al proprio dovere di magistrato con la consapevolezza giusta può portare anche a questo estremo sacrificio – aggiunge il procuratore generale di Genova Enrico Zucca -. Il compito del magistrato è quello che ha osservato il procuratore capo, cioè essere fedeli alle leggi e alla Costituzione”.
Proprio alla vigilia della commemorazione è arrivata la notizia che Giovanni Brusca, il capomafia che azionò il telecomando della strage di Capaci in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta, è tornato in libertà. A fine maggio sono trascorsi i quattro anni di libertà vigilata che gli aveva imposto la magistratura di sorveglianza, ultimo debito con la giustizia del boss che si è macchiato di decine di omicidi e che, dopo l’arresto e dopo un primo falso pentimento, decise di collaborare con la giustizia. In tutto ha scontato 25 anni di carcere. Ora continuerà a vivere lontano dalla Sicilia sotto falsa identità e resterà sottoposto al programma di protezione.
“C’è un percorso di legge e va rispettato, anche se è un boccone amaro, a maggior ragione per una vittima – commenta Massimo Coco -. Ricordo che io non conosco dopo 49 anni gli assassini di mio padre, almeno per una verità processuale che è l’unica che possiamo accettare e ovviamente auspicare. Io posso capire che si tratti di un personaggio con una valenza criminale impressionante, che sia stato capace con ferocia belluina di macchiarsi di reati impressionanti per quantità e e qualità, ma se la legge è uguale per tutti, se il percorso prevede anche questa possibilità di reinserimento, con tutta l’amarezza che può avere la vittima devo accettare. Poi, sinceramente, mio padre e i due agenti sono morti per rispettare la legge e oggi sarebbe un tradimento non accettare quelle che sono le regole del diritto”.