Botulino a Diamante, incubo finito
- Postato il 24 agosto 2025
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Il Quotidiano del Sud
Botulino a Diamante, incubo finito
L’Asp di Cosenza e i vertici dell’Ospedale dell’Annunziata annunciano in conferenza stampa la fine dell’incubo botulino partito da alcuni cibi contaminati venduti a Diamante
COSENZA – L’incubo botulino è finito. I ventotto pazienti ricoverati all’ospedale di Cosenza dopo l’intossicazione di inizio agosto a Diamante per un panino con rape probabilmente contaminate, sono tutti a casa. Tutti tranne tre attualmente trasferiti in una struttura per riabilitazione intensiva. La fine di questa storia ha il volto di Gaia Vitiello, circondata da medici e operatori. Abbracciata, coccolata, commossa come i suoi “custodi”. Gaia è il “simbolo” di questa storia, tanto che il direttore generale Vitaliano De Salazar le ha consegnato una sorta di passaporto. La ventitreenne napoletana sarà “ambasciatrice dei valori dell’azienda”.
Un mazzo di fiori e tantissima commozione. La giovane Gaia strappata da un destino assurdo non trattiene le lacrime. Ringrazia più volte tutti. Gli occhi dei presenti, di chi ha lottato contro questa assurda situazione, non hanno nascosto l’emozione. In un certo senso si sono creati dei legami, delle memorie, in un questo caso più unico che raro di intossicazione diventato emergenza nazionale.
I FANTASMI DIETRO AL CASO SANITARIO
Intorno restano i “fantasmi”. Un’inchiesta giudiziaria per capire come e perché sia successo tutto questo a Diamante in quel chiosco mobile fatto sparire dalla vista perché diventato anche meta di pellegrinaggi social da quattro soldi.
Vitaliano De Salazar all’inizio della conferenza stampa mette subito in chiaro. «Dei ventotto pazienti curati in ospedale nessuno è deceduto». È un modo sottinteso per ribadire l’importanza del pubblico, i suoi protocolli, la rapidità della diagnosi «nonostante i sintomi così ingannevoli». Uno spunto, forse, per ripensare dalle fondamenta i progetti di sanità sui territori, “dominati” dai privati con gli ospedali in affanno e senza personale.
Tesse le lodi di tutti dopo questa emergenza nazionale ufficialmente rientrata dopo un agosto rovente. Racconta della raccolta dei sieri nel piazzale del San Camillo di Roma, l’arrivo in sette ore all’azienda ospedaliera. Dodici le fiale arrivate, «ne abbiamo utilizzate sette – dice – il resto sarà restituito al centro nazionale». Questa storia, in ogni caso, ha insegnato qualcosa. «Ne faremo un convegno scientifico – ribadisce De Salazar – perché abbiamo avuto la possibilità di sperimentare nuovi protocolli». In questa storia «del secolo scorso», resta molto.
«Sin dall’inizio i dottori hanno deciso di limitare al massimo le intubazioni. Il rischio era quello di esporre i pazienti a ulteriori infezioni. Per farlo sono stati utilizzati ventilatori comprati con Fondi Por». Nel frattempo c’è stato da combattere con l’ordinario. «Tutto è andato avanti. In un bacino di 900mila abitanti abbiamo gestito senza problemi circa 250, 300 accessi al pronto soccorso. Il sistema non avrebbe retto qualche anno fa. Stavolta, la diagnosi precoce e il lavoro di squadra hanno fatto tantissimo».
EMERGENZA BOTULINO, I NUMERI
Il report finale sulla gestione dei pazienti dà l’idea di quanto è stato complesso e importante il lavoro di squadra. Ventotto pazienti entrati in pronto soccorso con “sintomi ignoti”. Nove con sintomi lievi osservati in pronto soccorso, quattordici ricoverati in terapia intensiva, 12 trattati con ventilazione non invasiva, solo due in ventilazione meccanica complicati da polmonite. E ancora: dodici sieri di antitossina botulinica consegnati, sette utilizzati, cinque riconsegnati al centro veleni di Pavia. Oggi tutti e 28 i pazienti sono stati dimessi, tre in riabilitazione. Nessun decesso. La memoria va, quindi, a chi non ce l’ha fatta altrove. Ora è il tempo di ragionare, qualcosa nei protocolli nazionali, forse, dovrà cambiare.