Bolla AI? Il sogno inizia a scricchiolare

  • Postato il 23 agosto 2025
  • Di Il Foglio
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Bolla AI? Il sogno inizia a scricchiolare

Qualche settimana fa ci eravamo lasciati con Mark Zuckerberg impegnato a staccare assegni miliardari per arruolare una manciata di ricercatori d’élite nel campo dell’intelligenza artificiale. Professionisti pagati come – e talvolta più – dei top player del calcio.

 

L’estate è poi passata, almeno in buona parte, ed eccoci in una situazione del tutto diversa: perché nel frattempo è arrivato GPT-5, l’ultimo modello linguistico di OpenAI, che avrebbe dovuto segnare una svolta epocale e invece ha deluso chi si aspettava un balzo tecnologico simile a quello che ci fu tra GPT-3 e GPT-4. “AGI”, la chiamano. O superintelligenza. E invece no, è ancora un chatbot, e c’è chi comincia a temere che siamo giunti a un plateau, a una fase del progresso tecnologico in cui ogni passo si fa più piccolo e meno roboante.

 

Sam Altman, il CEO di OpenAI, lo ha ammesso senza troppi giri di parole: il lancio non è stato un successo, soprattutto a livello comunicativo. Ma subito dopo ha rilanciato chiedendo “trilions of dollars” – migliaia di miliardi di dollari – per costruire e potenziare infrastrutture e data center essenziali alle AI. E poi, parlando del pericolo che quella delle AI sia una bolla, ha ragionato ad alta voce usando domande retoriche: “Siamo in una fase in cui gli investitori sono fin troppo eccitati dalle AI? Credo di sì”, ha detto. E poi: “Le AI sono una delle cose più importanti che siano successe da molto tempo? Anche qui, credo di sì”.

 

Non è la prima volta che Altman rilascia dichiarazioni simili ma questa volta le dichiarazioni hanno fatto storcere il naso persino agli investitori più entusiasti, e hanno raffreddato gli entusiasmi di Wall Street, soprattutto per quanto riguarda i titoli più caldi legati alle AI. Persino Nvidia, che ha da poco superato i 4 mila miliardi di valore in borsa, ha perso qualche briciolina; ma soprattutto Palantir, azienda che unisce l’analisi dei dati alla sicurezza nazionale, ha perso il 9% (poco, considerando che nell’ultimo anno l’azienda aveva guadagnato oltre il 360%, ma comunque abbastanza da allarmare alcuni analisti).

 

Dati che hanno ridato energia ad alcune voci che da tempo richiamano alla prudenza e ricordano che questa corsa ai data center e ai modelli linguistici non ha fondamenti così saldi: secondo Erik Gordon, docente alla University of Michigan, quella dell’AI potrebbe fare impallidire persino la bolla delle dot-com dei primi Duemila, che è ormai lo spauracchio della Valley.

 

Un report del MIT dal titolo eloquente, “The GenAI Divide: State of AI in Business 2025”, mostra chiaramente il divario che rimane tra hype e realtà, specie per quanto riguarda l’adozione di queste tecnologie da parte delle aziende. Le startup e le piccole imprese riescono spesso a sfruttare l’AI con agilità, mentre le grandi aziende faticano a integrarla nei processi esistenti. Ancora più notevole è la distribuzione dei budget: oltre metà della spesa in AI generativa va a marketing e vendite, mentre i ritorni più solidi arrivano da settori meno appariscenti – logistica, contabilità, gestione delle risorse umane.

 

Nonostante tutto, gli investimenti continuano, eccome: le GPU di Nvidia, i data center, i pacchetti di azioni delle big tech sono diventati il motore di un afflusso di capitali tale da sostenere buona parte della crescita economica statunitense. Come ha notato Axios, Microsoft e Nvidia da sole valgono oggi circa 2.500 miliardi di dollari in più rispetto a un anno fa. Numeri che fanno girare la testa, se si tiene conto che alcune di queste società (Palantir, OpenAI, Nvidia) erano quasi sconosciute ai più fino a pochi anni fa e oggi hanno valutazioni superiori al Pil di alcuni paesi del G8.

 

Tutto questo, però, poggia su una promessa: che l’intelligenza artificiale cambierà il mondo in fretta, così in fretta da giustificare la costruzione di centinaia di data center, l’uso massiccio di energia e di acqua per raffreddarli, e investimenti su scala finora inedita. È una promessa affascinante, almeno per alcuni, e senz’altro redditizia, almeno finora; ma è anche sempre più rischiosa.

 

Perché la distanza tra la realtà e l’incredibile futuro prossimo dipinto da Altman & Co. si fa sempre più grande, mentre le novità del settore AI continuano ad arrivare a ciclo continuo, e forse ci hanno ormai anestetizzato. L’effetto sorpresa è svanito, rimane la confusione e la preoccupazione per il mercato del lavoro. E se siamo davvero di fronte a una bolla, il pericolo sarebbe moltiplicato dal fatto che, questa volta, a differenza delle dot-com, le AI sembrano trainare (o drogare) l’intera economia statunitense.

 

 

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Autore
Il Foglio

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