“Blindati: viaggio nelle carceri Italia”: nel doc di Luigi Pelazza su DMAX parlano i ragazzi. “I social hanno reso tutti noi così, distaccati dalla realtà, a vivere di fantasie”

  • Postato il 29 ottobre 2025
  • Televisione
  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Le cose che riempiono il ventre non hanno mai saziato il cuore”. Così Don Maurizio Patriciello, sacerdote ‘storico’ della chiesa di San Paolo Apostolo di Caivano impegnato nella lotta alla criminalità organizzata, ha cercato per anni di dissuadere i ragazzi dal cadere nella strada della criminalità. Poche parole, che vanno dritte al punto. La via della Camorra, per i ragazzi di Napoli che nascono nel centro storico o nelle aree ad alta densità mafiosa (vedi Secondigliano o Caivano), è quella che reputano più semplice per raggiungere una stabilità economica. L’accesso al denaro facile, però, trasforma la cosiddetta paranza in carne da macello per le mafie. Che poi, sottolinea il parroco, rientrare nel solco della legalità è la cosa più complicata di tutte. Nel documentario prodotto da Warner Bros Discovery che andrà in onda in prima tv il 31 ottobre su DMAX (canale 52), Luigi Pelazza racconta cosa c’è dietro le realtà che hanno il compito di riabilitare i ragazzi che hanno sbagliato e che tentano di farli rientrare in quel solco.

I luoghi come il carcere minorile di Nisida e il carcere di Bollate fungono da laboratori di legalità. “Blindati: viaggio nelle carceri Italia” è un racconto umano, che punta a un dialogo a tu per tu con gli operatori dei carceri e i protagonisti di questi luoghi, i carcerati. Pelazza non fa troppa retorica, le domande, anche quelle più scomode, le fa ai ragazzini. Le risposte sono sincere e non filtrate, a volte penitenti: “Tornassi indietro non farei truffe o spaccio, il problema è che già dai 12/13 anni vogliamo diventare uomini, per farlo ci servono i soldi. Guardiamo i ricchi e pensiamo ‘anche noi vogliamo esserlo'”, dice Luca. Don Maurizio non dà univocamente la responsabilità dell’attrattiva delle mafie, ai luoghi criminali o all’educazione, ma anche agli input che arrivano da social e serie tv: “I social media sono come una pistola carica che viene data in mano a un bambino, è ovvio che poi rischia di uccidere qualcuno – e sul cinema continua – I film in cui il camorrista appare come forte e potente e al contrario lo Stato come debole e impaurito hanno un’influenza negativa sul ragazzo”.

Il parroco di Caivano pare non avere dubbi. Una conferma di alcune sue dichiarazioni arriva da una fonte ben più giovane. Pelazza gira tra i bassi dei quartieri spagnoli nel centro storico di Napoli e si mette a parlare con due ragazzini giovanissimi. Uno dei due ammette: “TikTok ha reso tutti noi così, distaccati dalla realtà. Ognuno vive in un mondo suo e campa di fantasie“. La via del carcere è sempre quella più dura e faticosa da accettare per tutti, criminali, operatori e inquirenti. Per evitarlo, però, serve un grosso lavoro preventivo svolto in particolare dagli organi dello Stato che necessitano una radicalizzazione capillare sul territorio. Controllare un’area così vasta e densamente popolata, fatta di cunicoli e viuzze, è una missione impossibile. A questo serve la sezione Falchi della Polizia dello Stato, fatta di 40 unità, che girano in moto per il centro storico di Napoli e cercano di garantire la sicurezza di passanti e turisti.

Pelazza viaggia con loro e osserva il loro operato, tra rapine in casa sventate e controlli di ordinaria routine. “Quando si fa un arresto perdono tutti”, dice un’ex componente dei Falchi. Dialoga proprio con un pizzaiolo del quartiere che aveva arrestato a 17 anni e con cui ora ha stretto un’amicizia. Secondo l’ex guappo la camorra è “una strada che non sfonda – e aggiunge – o suoni di campane o suoni di celle”. Il destino dei mafiosi come ripetuto nel documentario dal Procuratore della Repubblica di Napoli Nicola Gratteri è sempre e solo uno: “O il camposanto, o il carcere”. Gratteri in chiusura fa un’analisi sulla vita del camorrista, quella vera. “I ragazzi sono destinati a essere carne da macello, ormai vengono reclutati anche sui social. Il mafioso può anche ostentare la ricchezza, la bella macchina, l’orologio costoso, ma la verità è che fa una vita di Stress – e chiude – Sa che ogni giorno per lui può essere l’ultimo, e nel migliore dei casi potrà essere svegliato alle 5 di mattina per un arresto.” Il magistrato, infine, rivolge una riflessione alle carceri, sempre più affollate e distanti da un percorso rieducativo funzionale al reinserimento del detenuto nella società: “Ormai i carceri non sono più tali, ma sono dei contenitori. Un via vai di criminali che entrano nel loop della galera e non ne escono più”.

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Il Fatto Quotidiano

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