Big Tech e intelligenza artificiale: quanti abbonati hanno i chatbot e come vanno i ricavi (non sempre trasparenti)

  • Postato il 27 agosto 2025
  • Tecnologia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Big Tech assume (e strapaga) migliaia di ingegneri informatici, rastrella dati, costruisce infrastrutture colossali a partire dai data center, mostri energivori che sprigionano potenza di calcolo. In una battuta, sta giocando al rialzo: l’industria tecnologica globale ha puntato centinaia di miliardi sull’intelligenza artificiale. Però ogni buon investimento, al netto del volume, deve generare un ritorno economico. E quando comporta spese di quest’entità è tutto fuorché banale anche se, in parte, così potrebbe sembrare. Quanto deve ricavare Big Tech per pareggiare i conti e cominciare a profittarne (in linea con le priorità individuate da CEO e investitori)? E finora com’è andata?

Non è semplice stabilirlo. Sono le aziende più innovative del mondo eppure, va annotato, non brillano per trasparenza. Ma su un punto le proiezioni degli esperti, le indiscrezioni filtrate all’esterno e le informazioni (per quanto parziali) condivise dalle corporazioni collimano: l’IA sta fruttando miliardi. Anzitutto attraverso gli abbonamenti all’IA “conversazionale”. Parliamo dei chatbot dai più noti e d’uso comune, come ChatGpt, a modelli specializzati in determinate funzioni come la scrittura di codice. I pezzi grossi in gara oltre a Open AI – la società madre di ChatGpt, che al momento detta l’andatura – sono Google con il suo Gemini, la start-up Anthropic (Claude) e xAI (che amministra Grok, il chatbot di Elon Musk). Meta ha annunciato una versione premium della sua IA ad inizio estate ma per ora il progetto non ha ancora visto la luce.

Le imprese offrono servizi targetizzati (uso individuale e corporate) e a più fasce di prezzo in base alla potenza richiesta. Oltre all’abbonamento per l’utente medio, che prevede spese fisse – vale a dire entrate ricorrenti e stabili per i produttori – alcune tech prevedono anche la formula “API a consumo”: i costi, in questo caso, crescono all’aumentare dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale, come per la bolletta della luce o dell’acqua. È una soluzione pensata per programmatori o grandi aziende che hanno bisogno di molta potenza di calcolo.

Ma le compagnie del settore guadagnano anche da partnership con altri conglomerati, mettendo sul piatto consulenza o servizi specifici nel campo dell’IA. Nel frattempo stanno esplorando nuove funzioni che, in prospettiva, potrebbero moltiplicarne esponenzialmente le entrate. A partire dall’AI Advertising: sempre più persone infatti compulsano i chatbot – piuttosto che i motori di ricerca tradizionali – per rintracciare aziende che possano offrirgli beni e servizi che desiderano. Le imprese, pagando, potrebbero assicurarsi un posizionamento privilegiato nelle risposte dei modelli (come avviene oggi con Google Ads).

Open AI, all’inizio, era un’organizzazione no-profit fondata per sviluppare l’IA in un contesto sicuro e controllabile e secondo un approccio orientato al benessere collettivo. Ma quando il CEO e fondatore Sam Altman ha fiutato l’affare Open AI è stata convertita in fretta e furia in una società a scopo di lucro. E oggi fattura un miliardo di dollari al mese. Il dato, peraltro, va aggiornato costantemente: bisogna calarlo nell’ambito di una tendenza a rialzo che, almeno per il momento, non accenna ad arrestarsi. Non è semplice scorporare dalla cifra complessiva e isolare i numeri che riguardano i “soli” abbonamenti, che come si è visto non rappresentano la totalità delle entrate: ad aprile 2025 The Information ha rivelato che gli utenti paganti di ChatGpt sarebbero 20 milioni (attraverso la formula “Plus”, da 20 dollari al mese) e frutterebbero alla compagnia circa 415 milioni di dollari su base mensile, ma la cifra – confermata, ad agosto 2025, dal capo sviluppatore Nick Turley in un’intervista a The Verge – non include gli iscritti alla funzione “Pro” (da duecento dollari) e gli abbonamenti aziendali. Ne restano fuori anche altre fonti d’introito. Su oltre 700 milioni di consumatori su base settimanale comunque, meno del 10% avrebbe sottoscritto un piano a pagamento con OpenAI.

Google ha dato il via alla “sua” rivoluzione dell’IA integrando Gemini nel formato base in molteplici servizi (a partire da Gmail e Documenti). Poi ha previsto due formule d’abbonamento per la fruizione della versione premium: “AI Pro” a 21,99 e “Ai Ultra” a 274,99 euro al mese. Shimrit Ben-Yair, il vicepresidente di Google e responsabile della sezione abbonamenti, ha dichiarato che gli iscritti sarebbero “milioni” ma la cifra, per quanto verosimile, è evidentemente vaga, non dice nulla sulla ripartizione degli utenti paganti tra “Pro” e “Ultra” e soprattutto non è mai stata confermata da fonti esterne.

La start-up Anthropic, che ha sviluppato e gestisce Claude, è stata fondata da ingegneri e imprenditori fuoriusciti da Open AI. Sebbene non sia ancora in grado di competere con la testa di ponte dell’industria, almeno sui numeri, la scommessa di Dario Amodei (il suo CEO) ha comunque pagato: la compagnia è riuscita a ritagliarsi uno spazio nel mercato, specializzandosi in ambito corporate. La maggior parte dei profitti infatti viene – piuttosto che da iscrizioni individuali, il segmento su cui ha investito Open AI – da contratti con grandi aziende (come banche o colossi assicurativi), a cui Anthropic vende il proprio modello e offre assistenza sul versante IA. Potrebbe chiudere il 2025 con ricavi che, secondo le previsioni, viaggerebbero tra 3 e 4 miliardi di dollari.

Musk ha integrato l’IA nel social X (ex Twitter), riconducendo tutto sotto xAI, la punta di diamante del suo impero industriale. Gli iscritti ad X “premium” che, dietro pagamento, accedono ad alcune funzionalità specifiche (tra cui l’accesso a “Grok”) andrebbero cumulati con gli utenti che hanno sottoscritto un abbonamento con l’IA senza passare per il social (dal piano SuperGrok, che ha un costo base di 35 euro al mese, a SuperGrok Heavy, che costa 349 euro al mese: il più costoso presente sul mercato). L’azienda non ha mai condiviso dati ufficiali con la stampa ma TechCrunch, un giornale specializzato, ha stimato tra i 1,3 e 1,4 milioni di iscritti a X premium (limitatamente al 2024). Si può presumere che nel corso di quest’anno siano aumentati. Tuttavia anche se Musk sta puntando sulla quota abbonamenti per ridurre la dipendenza dell’azienda dalla pubblicità – proprio come Google, in un’ottica di diversificazione – al momento le entrate da X premium rappresenterebbero soltanto una porzione minima dei ricavi complessivi della piattaforma.

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