Big Tech ci prende per la testa: il cervello è la nuova frontiera del capitalismo digitale

  • Postato il 1 novembre 2025
  • Di Panorama
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Un tempo, ci si preoccupava che qualcuno leggesse la nostra corrispondenza. Più recentemente, abbiamo iniziato a temere che qualche spione potesse dedicarsi ad ascoltare le nostre telefonate, o a leggere le nostre email e i messaggi sul cellulare. Si tratta di apprensioni già superate: oggi, il pericolo è che qualcuno possa intrufolarsi direttamente nella nostra corteccia cerebrale e sapere letteralmente che cosa ci passa per la testa. Stiamo entrando nell’era del neurocapitalismo, dove il cervello diventa merce: il pensiero è la nuova frontiera da esplorare a caccia di tesori nascosti. Siamo già passati dal mercato delle idee al mercato delle sinapsi. Aziende come Neuralink, Meta, Synchron ed altre ancora stanno sperimentando collegamenti cervello-computer che trasformano gli stimoli mentali in comandi digitali.

Il termine tecnico è Brain-computer interface (Bci), interfaccia cervello-computer. Ogni nostro pensiero, movimento o sensazione nasce da impulsi elettrici nel cervello. Le Bci intercettano e decodificano questi impulsi per tradurli in segnali comprensibili a un computer o a un dispositivo. Una tecnologia che ha del miracoloso quando applicata a casi clinici complessi come i pazienti tetraplegici. Neuralink, la start-up fondata da Elon Musk, ha iniziato le sue sperimentazioni sull’uomo nel 2024, impiantando il primo chip cerebrale in un paziente affetto da paralisi, Noland Arbaugh.

I risultati sono stati celebrati come una svolta: l’uomo è riuscito a muovere un cursore su uno schermo solo pensando, grazie a un dispositivo grande quanto una moneta impiantato sotto il cranio. Queste neuro-tecnologie sono affascinanti e certamente benvenute fino a che si parla di porre rimedio a disturbi neurologici. Ma una domanda si impone: dove finisce la cura e dove inizia il controllo? Ed anche, dove termina la terapia e dove comincia il potenziamento delle capacità umane? Negli anni scorsi si iniziò a parlare di transumanesimo, con un clamore che si è poi sopito nel tempo. Si tratta di una corrente di pensiero che promuove l’uso della tecnologia per aumentare le capacità fisiche e cognitive dell’essere umano. Per esempio, con l’ingegneria genetica, l’Intelligenza artificiale e le nanotecnologie, che permettono impianti cerebrali come quello descritto.

Nel luglio scorso, Neuralink ha annunciato di essere intervenuta sul nono paziente, con l’ambizione di arrivare a 2 mila interventi all’anno dopo il 2029. Secondo l’azienda, già cinque pazienti affetti da handicap motori stanno attualmente utilizzando il suo dispositivo per controllare con il pensiero strumenti digitali e fisici. Un’altra azienda, Synchron, fondata a New York da un neurochirurgo australiano, Tom Oxley, propone un approccio meno invasivo dal punto di vista clinico. Il suo impianto, chiamato Stentrode, si inserisce nel cervello passando attraverso la vena giugulare, senza dover aprire la scatola cranica. Il sistema è già in uso da un paziente affetto da Sla (sclerosi laterale amiotrofica), il quale lo utilizza per comandare un computer.

È ancora presto per dire quanto ci sia di concreto in questi annunci. Queste aziende di frontiera hanno bisogno di molti capitali e magnificare i primi risultati serve soprattutto a suscitare interesse e raccogliere fondi. Però, mentre queste pretese meraviglie prendono forma, crescono anche le preoccupazioni. Le sperimentazioni e le applicazioni mediche portano con sé un ampio bagaglio di possibilità diverse, oltre alla cura. Ciò che il nostro cervello concepisce non è un semplice dato biometrico. Queste nuove apparecchiature possono, già oggi, arrivare molto oltre la terapia clinica, distinguendo e catalogando ciò che il nostro cervello elabora. I dati sfornati dalla nostra materia grigia («Le mie piccole cellule grigie», diceva Hercule Poirot, l’investigatore belga creato dalla penna di Agatha Christie) possono rivelare emozioni, intenzioni, ricordi, livelli di attenzione, stati d’animo. Dispositivi che, entrando nel nostro cervello, riescano a decodificare e rendere “estraibili” (e immagazzinabili) i nostri pensieri generano enorme interesse da parte del grande capitale tecnologico. La possibilità di condizionamento dei comportamenti a fini politici o di marketing, ad esempio, diventa sempre più concreta.

Philip K. Dick, nel suo celebre racconto di fantascienza Minority Report, da cui è stato tratto un fortunato film con Tom Cruise, non è andato molto lontano da ciò che già oggi è possibile fare. Sappiamo che Meta (il gruppo di Mark Zuckerberg che comprende Facebook, Instagram e Whatsapp), sta lavorando a interfacce neurali che permettano di scrivere con il pensiero, dopo l’acquisizione della neuro-startup CTRL-Labs. Ma c’è di più. Per ora solo in laboratorio, appositi decodificatori sono in grado di “mettere in parola” rappresentazioni mentali immaginate e registrate utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fMRI). Questi apparecchi generano sequenze di parole intelligibili che recuperano il significato di video muti. Altri dispositivi generano invece immagini approssimative di ciò che il soggetto sta pensando in quel momento.

A questo punto non si tratta più di curare malattie. Il passo successivo è trasformare il cervello in un’interfaccia economica, un ingranaggio del dispositivo globale per generare ricchezza. Se per svolgere un’attività basta solo pensarla, infatti, possiamo ipotizzare quale enorme guadagno di produttività ne derivi. Ecco da dove nasce il neurocapitalismo. Queste tecnologie possono portare ad un enorme incremento in termini di efficienza, ma possono anche dare origine ad una nuova forma di “materia prima fungibile”, ovvero i nostri pensieri.

Alcuni esempi concreti. L’azienda Kernel ha creato un casco indossabile per misurare l’attività neurale e sta creando una piattaforma per misurare l’effetto di farmaci, integratori e stress sulla funzione cerebrale, vendendo alle aziende farmaceutiche i rilevamenti. Inoltre, il soggetto può a sua volta, pagando, avere accesso al profilo del proprio cervello.

La Neurohacker Collective propone un insieme di prodotti chimici per aumentare le prestazioni mentali sulla base dei dati neurali precedentemente raccolti. L’azienda, attraverso i suoi  integratori, vende la promessa di incrementare le performance cerebrali con una terapia su misura.

La Neurable ha inventato una cuffia wireless in berillio con sensori nel padiglione auricolare che monitorano le onde cerebrali. Tramite un’app con Intelligenza artificiale, i sensori forniscono dati specifici su livello di concentrazione, momenti in cui è necessaria una pausa e prestazioni cognitive settimanali. L’azienda vende non solo un dispositivo audio, ma un servizio di “ottimizzazione” del cervello, trasformando la capacità di attenzione in un dato quantificabile e misurabile. Ancora, Paradromics ha sviluppato una interfaccia Bci ad alta velocità di trasmissione dati, che traduce i segnali neurali in linguaggio in tempo reale. L’azienda potrebbe estendere l’uso di questo dispositivo per il pilotaggio dei droni militari, ad esempio.

Quanto saranno diffuse e che costo avranno queste nuove applicazioni ancora non lo sappiamo, probabilmente i dispositivi di potenziamento della mente saranno accessibili solo a chi può permetterseli. Si creerebbe così una nuova forma di disuguaglianza, non solo economica o educativa, ma cognitiva. Dal digital divide di cui si parlava fino a poco tempo fa passeremmo al mental divide. Intanto il mercato corre. Le neurotecnologie valgono già miliardi, in prospettiva. Fondi di investimento, colossi tecnologici e persino agenzie militari stanno riversando interesse ed enormi masse di capitali nel settore. I soliti noti: Bill Gates, Jeff Bezos, Apple, OpenAI, Meta, Google, Nvidia, Microsoft. Tutti vogliono un pezzo del nostro cervello, e non in senso figurato. Se davvero la materia grigia diventerà la prossima miniera d’oro, sarà necessario difenderla come oggi difendiamo il nostro corpo o i dati personali, anche di più. Il pensiero non è semplice un impulso elettrico, è ciò che ci rende uomini. Imperfetti e inefficienti, ma uomini. In un mondo dove tutto può essere misurato, controllato e venduto, la vera battaglia sarà quella per restare, ostinatamente, umani.

Autore
Panorama

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