Beppe Fenoglio. Così la memoria divenne racconto

di Pierfranco Bruni

“Non poteva piú vivere senza sapere e, soprattutto, non poteva morire senza sapere” (Beppe Fenoglio).

Beppe Fenoglio (Alba, 1º marzo 1922 – Torino, 18 febbraio 1963), la scrittura e la vita. Dentro la terra e nella trasposizione di un linguaggio che nasce in una eredità che è quella delle radici. Tradizione e radici. La trasposizione nella civiltà contadina è significativa ed assume quell’alone metafisico che trasformerà le eredità in identità. Da questo punto di vista “La malora” potrebbe essere considerato un romanzo chiave in una temperie contrassegnata da una diversificazione di ruoli e di testimonianze letterarie. Ma resta tale solo in una lettura in cui le interpretazioni mitico sacrali, quelle evidenziate, rispondono ad una chiara indicazione simbolica. D’altronde Fenoglio effettua un ripescaggio che è quello del primo romanzo di Pavese, “Paesi tuoi”, nel quale la terra, la campagna, la morte assumono codici fortemente simbolici che hanno derivazioni non solo letterarie ma soprattutto antropologiche. Il mito e il sacro sono due punti di forza. La morte come valore e nel valore della morte la forte capacità mitica di trasformare un fatto non in storia ma in griglia simbolica. Nel romanzo di Fenoglio, in questo romanzo, c’è una rottura storica e c’è una ripresa di alcune fasi archetipali. Dopo di che Fenoglio passa o ritorna alla storia, al realismo, alla perdita di quei valori simbolici che hanno dettato la poetica di Pavese.

Beppe Fenoglio

Già in “I ventitré giorni della città di Alba” (1952) il realismo in Fenoglio ha una sua logica ma tutto si consuma nella determinazione descrittiva. La chiusa del racconto che dà il titolo al libro è la dimostrazione del relativismo verista. “I partigiani ripresero a salire, era spiovuto, i fascisti entrarono e andarono personalmente a suonarsi le campane”.

Una tipicità storico – letteraria si riscontra in “Il partigiano Johnny” ( 1968 postumo ). Il senso di inquietudine è in fondo uno scavo sradicante. In Pavese vi è anche questa condizione ma si risolve in una tensione che rasenta il mistico. Per esempio in “La casa in collina”. Il travaglio di Corrado è travaglio mistico. Invece “Il partigiano Johnny” è usura di una condizione esistenziale e affermazione di una condizione storica. La Resistenza e il Fascismo. Si trasformano in condizioni storiche e storicizzano la letteratura condizionando il ruolo e i destino stesso dei personaggi. Non è un Fenoglio diverso quello che leggiamo in “Una questione privata” (1963).

Un romanzo la cui tematica affronta ancora problemi di natura resistenziale. Il racconto è una ripetizione realista. Soltanto nel finale il gioco letterario potrebbe prestarsi ad una ulteriore analisi. Il concetto finale è forse l’inizio di una nuova avventura o di un nuovo capitolo. Ma è troppo tardi. Fenoglio morirà a Torni nel 1963 (era nato ad Alba nel 1922). “Una questione privata” si chiude con questa apertura: “Correva, con gli occhi sgranati, vedendo pochissimo della terra e nulla del cielo. Era perfettamente conscio della solitudine, del silenzio, della pace, ma ancora correva, facilmente, irresistibilmente. Poi gli si parò davanti un bosco e Milton vi puntò dritto Come entrò sotto gli alberi questi parvero serrare e far muro e a un metro da quel muro crollò”. La solitudine è dentro l’inquietudine. Letteratura pur non facendosi impegno si fa denuncia e corre il rischio, a volte, di sfiorare la retorica.

La condizione partigiana viene assunta come condizione esistenziale e la Resistenza diventa mito. Qui c’è la seconda separazione che divide il tracciato pavesiano da quello fenogliano. Il mito per Pavese sono gli archetipi e la memoria che racconta sono i simboli che si dichiarano e il destino nel quale si individuano metafore sono le metafore che diventano linguaggio. E poi è la grecità, il paesaggio, il paese, la campagna, le appartenenze. In Fenoglio alcune di queste cose sono appena accennate. Certo ci sono le Langhe, le campagne ma poi tutto il resto è decifrazione del reale.

Nella pagina finale de “II partigiano Johnny” si legge: “Ora fascisti non sparavano più sulla collina, ma rispondevano quasi tutti al fuoco repentino e maligno che i due partigiani avevano aperto dietro il camion. Poi dalla casa l’ufficiale fascista barcollando si fece sulla porta, comprimendosi il petto con ambo le mani, ed ora le spostava vertiginosamente ovunque riceveva una nuova pallottola, gridando barcollò fino al termine dell’aia, in faccia ai partigiani, mentre da dentro gli uomini lo chiamavano angosciati. Poi cadde come un palo”.

La Resistenza Fenoglio la interpreta mitizzandola, ma ciò che resta alla fin fine è la cronaca. Ecco perché ciò che maggiormente convince è il romanzo “La malora”. Un romanzo, come si è già detto, che ha una sua caratteristica e una sua fisionomia antropologica. La memoria è un filo sottilissimo che lega il passato al racconto. La memoria sostanzialmente si fa racconto.

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Pierfranco Bruni è nato in Calabria.
Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali, presidente del Centro Studi “ Francesco Grisi” e già componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’estero.
Nel 2024 Ospite d’onore per l’Italia per la poesia alla Fiera Internazionale di Francoforte e Rappresentante della cultura italiana alla Fiera del libro di Tunisi.
Incarichi in capo al  Ministero della Cultura

• presidente Commissione Capitale italiana città del Libro 2024;

• presidente Comitato Nazionale Celebrazioni centenario Manlio Sgalambro;

• segretario unico comunicazione del Comitato Nazionale Celebrazioni Eleonora Duse.
È inoltre presidente nazionale del progetto “Undulna Eleonora Duse”, presidente e coordinatore scientifico del progetto “Giacomo Casanova 300”.

Ha pubblicato libri di poesia, racconti e romanzi. Si è occupato di letteratura del Novecento con libri su Pavese, Pirandello, Alvaro, Grisi, D’Annunzio, Carlo Levi, Quasimodo, Ungaretti, Cardarelli, Gatto, Penna, Vittorini e la linea narrativa e poetica novecentesca che tratteggia le eredità omeriche e le dimensioni del sacro.
Ha scritto saggi sulle problematiche relative alla cultura poetica della Magna Grecia e, tra l’altro, un libro su Fabrizio De André e il Mediterraneo (“Il cantico del sognatore mediterraneo”, giunto alla terza edizione), nel quale campeggia un percorso sulle matrici letterarie dei cantautori italiani, ovvero sul rapporto tra linguaggio poetico e musica. Un tema che costituisce un modello di ricerca sul quale Bruni lavora da molti anni.

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