Benjamin Netanyahu chiude a ogni accordo con Hamas e valuta annessioni in Cisgiordania

  • Postato il 1 settembre 2025
  • Di Panorama
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Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito con decisione che non ci sarà alcun compromesso con Hamas. «Un accordo parziale non è sul tavolo», ha affermato, sottolineando che l’unico obiettivo del governo israeliano rimane lo smantellamento del potere del movimento islamista a Gaza e la distruzione della sua capacità di governare. Ieri il Consiglio dei ministri si è riunito in una località protetta e tenuta riservata, mentre la nuova sessione del Gabinetto di sicurezza – secondo quanto riportato dallo stesso quotidiano – si è tenuta al Kirya di Tel Aviv, quartier generale del ministero della Difesa. Il governo israeliano starebbe considerando l’ipotesi di annettere alcune aree della Cisgiordania come risposta all’imminente riconoscimento dello Stato palestinese da parte di vari Paesi occidentali. A riportarlo è Axios, che cita tre fonti tra funzionari israeliani, statunitensi ed europei. La presa di posizione di Netanyahu è arrivata al termine di una riunione maratona del Gabinetto diplomatico e di sicurezza, durata quasi sei ore e conclusa alle prime ore di lunedì mattina. Durante l’incontro, Netanyahu ha messo in chiaro che la lotta continuerà fino alla caduta del regime di Hamas. A sostegno della linea dura, il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir aveva chiesto di mettere ai voti una risoluzione che sancisse formalmente l’opposizione a qualsiasi intesa parziale, ma il premier ha tagliato corto: «Non c’è bisogno di votare; la questione non è sul tavolo». Una posizione condivisa dalla maggioranza dei ministri, che si sono espressi contro qualsiasi accordo di compromesso. Nel corso della riunione, le Forze di Difesa israeliane (IDF) hanno inoltre presentato i loro piani operativi per la Striscia di Gaza.

Nuovo scontro tra il governo il capo di stato maggiore delle IDF

Non sono mancati momenti di tensione. Domenica sera, in una sessione dedicata alla prevista manovra terrestre su Gaza City, si è registrato un aspro scambio tra i ministri e il capo di stato maggiore delle IDF, il tenente generale Eyal Zamir. Pur non essendogli stato chiesto, il generale ha espresso sostegno a un possibile accordo parziale che permetta la liberazione degli ostaggi, sostenendo che l’operazione «Gideon’s Chariots» avrebbe già creato le condizioni per un’intesa. «C’è un quadro sul tavolo e dobbiamo adottarlo», ha detto ai presenti, scatenando la reazione di diversi ministri. Il capo di Stato maggiore delle IDF, ha preso parte anche a una valutazione della situazione presso il Comando settentrionale, affrontando il tema dell’eliminazione di Abu Obaida e delineando i prossimi passi. «Le IDF stanno operando in modo offensivo, con iniziativa e superiorità operativa, in tutti gli ambiti e in ogni momento. Nella Striscia di Gaza abbiamo colpito uno dei leader più importanti di Hamas, dopo che la maggior parte della leadership era già stata eliminata. Le nostre azioni non sono ancora terminate: i capi rimasti sono all’estero e raggiungeremo anche loro», ha dichiarato.

Le sue parole hanno scatenato la dura reazione del ministro per gli insediamenti, Orit Strock, che ha accusato l’esercito di voler spaventare il governo con «ogni sorta di terrore». Il ministro ha citato anche un passo del Deuteronomio, esortando a non lasciarsi scoraggiare da chi ha paura. Zamir ha replicato con fermezza, ribadendo i suoi obiettivi personali: «Sono venuto per compiere le due missioni della mia vita: impedire un Iran nucleare e distruggere Hamas». Il generale ha poi rivendicato la responsabilità di aver raccomandato l’attacco in Iran, sottolineando il peso delle decisioni militari: «Ogni mattina guardo la mappa del Medio Oriente e autorizzo attacchi ovunque. Nessuno qui è timoroso, né io né i generali presenti. Prendo decisioni importanti che nessun altro ha mai preso. Vi presento tutte le implicazioni e le conseguenze di ogni mossa. Se volete obbedienza cieca, portate qualcun altro». Parole che hanno lasciato il segno nella sala e che hanno spinto Netanyahu a precisare la sua linea: «Non voglio un’obbedienza cieca, ma non voglio nemmeno che vengano violati i confini». Parallelamente, al dibattito politico e militare si è aggiunta un’iniziativa insolita proveniente dall’esterno delle istituzioni.

I rischi per coloro che aderiscono alla Global Sumud Flotilla

Habithonistim, un movimento pro-sovranità fondato da ex ufficiali israeliani, ha diffuso un appello pubblico invitando il governo a consentire l’ingresso della flottiglia pro-palestinese salpata da Barcellona verso Gaza. Secondo l’organizzazione, il passo potrebbe trasformare la crisi in un’occasione morale e diplomatica, purché venga subordinato a condizioni precise e a un rigoroso controllo di sicurezza. «Da un punto di vista morale, e secondo il diritto internazionale, ai rifugiati di guerra deve essere consentito di lasciare le zone di combattimento», si legge nella dichiarazione. «Per la reputazione internazionale di Israele, adottare la rotta marittima come canale per i rifugiati potrebbe rappresentare una soluzione adeguata alla sfida». Habithonistim ha aggiunto che collegare l’ingresso della flottiglia all’evacuazione dei rifugiati si inserirebbe nella politica promossa da Stati Uniti e Israele per incoraggiare l’emigrazione volontaria da Gaza. «Condizionare l’ingresso all’espulsione dei rifugiati risponderà agli obiettivi di Washington e Gerusalemme, adottando al contempo un approccio umanitario. Nulla è più umanitario che consentire una via di fuga dalle grinfie di Hamas», ha rimarcato il movimento, pur specificando che l’intero processo dovrà essere posto sotto stretta supervisione. L’organizzazione ha infine sottolineato la necessità di ispezionare i carichi delle navi e verificare l’identità dei passeggeri, per scongiurare il rischio che la rotta marittima venga sfruttata per il traffico di ostaggi o altre attività illecite.

Il ministro della Sicurezza nazionale israeliano Itamar Ben-Gvir ha sottoposto all’esecutivo un piano mirato a bloccare la Global Sumud Flotilla, che prevede un regime di detenzione più severo per gli attivisti fermati. A differenza di quanto avvenuto in passato, i partecipanti arrestati saranno trattenuti a lungo nelle carceri di Ketziot e Damon, strutture destinate ai prigionieri di sicurezza, sottoposti a condizioni particolarmente rigide. Agli attivisti, inoltre, verranno negati privilegi come televisione, radio o cibi personalizzati. «Non consentiremo a chi sostiene il terrorismo di condurre una vita agiata», ha dichiarato Ben-Gvir, citato dal Jerusalem Post. Il ministro ha anche proposto che tutte le imbarcazioni della flottiglia vengano confiscate e successivamente utilizzate dalle forze dell’ordine israeliane. Secondo Ben-Gvir, tale misura è pienamente legittima perché la flottiglia non rappresenterebbe soltanto un’iniziativa politica, ma un vero e proprio tentativo di violare il blocco imposto a Gaza. Nelle sue dichiarazioni seguite alla riunione, l’esponente dell’estrema destra ha ribadito che Israele non accetterà né «arresti soft» né rientri silenziosi per i partecipanti all’operazione navale.

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Panorama

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