Beatrice: M di Scurati, l'antieroe diventa eroe

  • Postato il 6 gennaio 2025
  • Di Libero Quotidiano
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Beatrice: M di Scurati, l'antieroe diventa eroe

L'opera d'arte visiva risponde innanzitutto a giudizi di carattere estetico, altre valutazioni possono funzionare da contorno ma risultano comunque secondarie, non necessarie. Alcune opere molto belle non insegnano nulla e persino Guernica è un capolavoro non solo per il titolo e il riferimento al fatto storico, ma perché è pittura di impressionante bellezza.

Se applichiamo il metro corretto di lettura, la versione televisiva di M. Il figlio del secolo suscita impressioni positive. Vista in anteprima alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia e dal 10 gennaio disponibile su Sky e in streaming su Now, la serie - tratta dal primo (certamente il migliore) dei romanzi saga di Antonio Scurati - destinata a far discutere ancora, probabilmente sarà vista da un pubblico incuriosito dalle polemiche senza requie dello scrittore martire contro tutto e tutti, ha diversi punti di forza se parliamo di linguaggio cinematografico. Il primo è senz'altro nella regia di Joe Wright, che vinse due Oscar con L'ora più buia il biopic incentrato sulla figura di Winston Churchill; una fortuna sia stato scelto un autore straniero, possiamo solo immaginare la lagna se dietro la macchina da presa ci fosse stato un italiano, ne sarebbe uscito il solito filmetto tardo neorealista finanziato dal tax credit.

 

 

 

Wright ha puntato sul registro spettacolare, le immagini sono molto belle, la colonna sonora di Tom Rowlands dei Chemical Brothers martellante come in un rave party, la Roma dei primi anni '20 cupa e povera, non ancora splendida e imperiale come fu dal punto di vista architettonico con l'instaurarsi del regime. In quanto all'interpretazione di Luca Marinelli, otto episodi senza tregua, la considerazione è duplice. L'attore diventa personaggio fino alla mimesi più esasperata, caratteristica ricorrente nelle ultime generazioni dove più che interpretare -come avrebbero fatto un tempo i nostri grandi- la tendenza è di assumere la postura della maschera. Il talentuoso Marinelli diventa Benito Mussolini nel periodo che va dal 1919, la fondazione dei Fasci di combattimento, al 1925, anno del discorso in parlamento dopo il caso Matteotti. Se ne apprezza la bravura, ma l'effetto finale sfiora l'effetto parodia e da dramma storico il rischio, forse calcolato, magari voluto, è di trasformarsi in una commedia farsesca.

Il marcato accento romagnolo, la gestualità da opera buffa, l'ammiccamento al pubblico tipico dell'attor comico (una tendenza in tv che comincia con il Kevin Spacey di House of Cards, guarda caso un altro film sul rapporto tra il potere e il male) ricorda ai più maturi di noi il personaggio di Ermanno Catenacci, interpretato da Aldo Bracardi, un nostalgico fascista partorito dalla geniale fantasia di Arbore e Boncompagni ai tempi di Alto gradimento. Se la caricatura è un registro ricorrente anche nei personaggi di contorno - il re Vittorio Emanuele III parla con un accento piemontese da campagna, Rachele è davvero troppo dimessa - funzionano invece benissimo quelle figure che esprimono l'ardimento fascista della prima ora, una su tutti Italo Balbo interpretato dall'ottimo Lorenzo Zurzolo.

 

 

 

Poiché non si richiede a una fiction la completa veridicità storica, dovendone peraltro stabilire i corretti confini, M non è neppure filologico nella descrizione di Margherita Sarfatti, ridotta al puro ruolo d'amante mentre fu una persona coltissima che il Duce ascoltava non solo per andarci a letto, e gli sceneggiatori hanno compiuto qualche errore nel trattare l'arte che per il fascismo, insieme all'architettura, fu cruciale nella strategia politica dell'immagine. Più semplice far risultare le camicie nere come un branco di esaltati violenti e sanguinari. Ma qui non si discute questo, bensì la resa del prodotto cinematografico che funziona bene puntando su un topos ricorrente e collaudatissimo: il male attrae più del bene, ha un'ottima resa spettacolare e quasi tutti poi fanno il tifo per i cattivi. Non a caso Wright ha citato Scarface tra le sue fonti di ispirazione e senza arrivare ai vertici interpretativi di Al Pacino anche qui l'antieroe, come nei romanzi di Scurati, finisce per diventare eroe.

 

 

 

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Autore
Libero Quotidiano

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