Beatrice: Golden Globes a trazione trans. Altro che sconfitta: la cultura woke è più forte che mai
- Postato il 7 gennaio 2025
- Di Libero Quotidiano
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Beatrice: Golden Globes a trazione trans. Altro che sconfitta: la cultura woke è più forte che mai
Il mondo del cinema, dello spettacolo in generale, ha di bello l'essere fiction e per quanto possa descrivere la realtà è pur sempre edulcorato, un'isola felice dove imperversano buoni sentimenti e altrettante buone azioni. In particolare, Hollywood è la patria dei sensi di colpa, delle cause giuste, se c'è qualcosa da inseguire lo insegue anche rinnegando il suo passato. Che in fondo sarebbe giusto, i tempi cambiano, ma nell'esagerazione il rischio macchietta è dietro l'angolo.
L'arte, peraltro, è sempre frattura, andar contro corrente, non offrire una versione né edulcorata né addomesticata dell'esistenza. E invece ora si verifica l'opposto, si devono scrivere e filmare certe storie, il woke chiede a gran voce la predominanza (non più una quota) di storie LGBTQ+, si fanno e basta, poco importa la qualità del prodotto, se stiamo parlando o no di un'opera meritevole. Per decenni l'America non è stata tenera con i gay, oggi deve risarcirli e diventa perciò essenziale che i premi cinematografici siano coerenti con questo insopportabile diktat.
Occhi puntati sui Golden Globes 2025 a trazione trans, alla faccia di chi pensava che la rielezione di Trump potesse in qualche modo influenzare la produzione cinematografica e ritornare a valori più tradizionali. Niente affatto. Vincitrice per la miglior interpretazione (maschile o femminile?) nel genere commedia Karla Sofìa Gascon, artista apertamente trans che in Emilia Pérez di Jacques Audriard (favorito all'Oscar per il miglior film straniero) interpreta un boss della droga che si ritira dalla criminalità per intraprendere il cambio di sesso e diventare buona, che le nuove donne sono sempre migliori dei vecchi uomini. Gascon non ha risparmiato quel genere di comizio che al mondo americano piace perché fa leva sul sentimentalismo più stucchevole. «Indosso un abito con i colori buddisti - ha detto - perché ho un messaggio per tutti: la luce vince sempre sull'oscurità. Potete metterci in prigione, potete picchiarci, ma non potete mai portarci via la nostra anima, la nostra resistenza o la nostra identità. Voglio dirvi: io sono quella che sono e non quella che volete che io sia». Figurarsi le lacrime hollywoodiane, laddove nessuno picchia nessuno e l'identità più è incerta meglio è. Dedica, ça va sans dire, alla comunità trans americana.
Miglior sceneggiatura va a Conclave di Edward Berger tratto dal romanzo di Robert Harris e adattato per lo schermo da Peter Straughan. Preso di mira da Megyn Kelly, giornalista conservatrice che non ha affatto apprezzato il finale in cui si scopre che il nuovo Papa è un soggetto intersex, parlando addirittura di un film “disgustosamente anticattolico”. Durante la premiazione lo sceneggiatore ha replicato in modo non troppo convincente, auspicando che la Chiesa ritrovi la funzione spirituale invece del potere politico, ma questo non c'entra troppo con lo sfruttamento dell'argomento woke che forse avrebbe potuto risparmiare almeno la narrazione basata sulle figure tradizionali di uomo e donna. La rincorsa al papa transgender, insomma, appare strumentale e poco sopportabile.
Vince anche Challengers, penultimo film di Luca Guadagnino in attesa di Queer che sulla questione a lui cara rincarerà la dose. Premio minore ad Atticus Ross e Trent Reznor autori della colonna sonora originale, ma oltre al martellamento elettronico di due musicisti diventati degli specialisti, l'opera riprende i temi consueti del regista siciliano talmente ossessivi da risultare manierati se non comici, un triangolo amoroso tra due uomini e una donna, una specie di Jules et Jim ambientato sui campi da tennis. Ancora una volta la camera da presa di Guadagnino indugia sui corpi maschili, muscoli, sudore, atletismo, per lasciare da parte la protagonista femminile Zendaya, comprimaria rispetto all'esaltazione omoerotica, tenuta bassa, penalizzata la sua sensualità per non disturbare quell'estetica gay che le donne le prevede marginali, vere vittime di una lobby che le considera poco assai.
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