Beatrice: con la scusa dell'antifascismo arruolano pure Michelangelo
- Postato il 5 novembre 2024
- Di Libero Quotidiano
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Beatrice: con la scusa dell'antifascismo arruolano pure Michelangelo
Mancava giusto la storia dell'arte classica a rimpolpare le nutrite schiere dell'antifascismo militante. E c'è davvero da stupirsi, mal celando un sorriso: non si parla di Renato Guttuso né di Carlo Levi ma addirittura di Michelangelo, vissuto tra il 1475 e il 1564, a spanne fuori tempo massimo per appiccicargli l'aggettivo che va tanto di moda, come green o transizione ecologica, slogan utili ad accreditarsi e magari trovare fondi per la ricerca. Andiamo a Bari, al Palazzo degli Studi dell'Ateneo, dove è appena inaugurata la mostra Michelangelo antifascista a Bari (1964-1965), a cura di Andrea Leonardi. Di norma queste esposizioni non sono esattamente spettacolari però in compenso si basano su studi metodologici. Cose da specialisti, da convegni di alto profilo. E come fare allora ad attirare l'attenzione dei media? Mettiamoci questo bell'antifascista e vedrete che se ne parlerà.
L'occasione “seria” è rivisitare il ciclo di conferenze curato da Andrea Prandi, piemontese di Alessandria, laurea in ingegneria, assistente alla cattedra di architettura a Bari, personalità poliedrica, che intorno al '64 studia il “non finito” michelangiolesco. Fu lui a invitare Carlo Ludovico Ragghianti a proiettare, in occasione del quarto centenario dalla morte del geniale Buonarroti il suo critofilm “Michelangiolo”, appena presentato alla Mostra del Cinema di Venezia. Questo termine inedito, per la cronaca, era stato coniato dallo stesso Ragghianti a indicare film «in cui l'interpretazione delle opere d'arte è proposta attraverso il movimento della macchina da presa, le luci, il montaggio, così da fornire non un tradizionale documentario, ma un vero e proprio testo critico realizzato secondo le logiche del linguaggio cinematografico», spiega la Treccani.
Gli anni intorno al 1964 furono interessanti per Bari, soprannominata allora la “Milano del Sud”, anche per la presenza sul territorio di Aldo Moro, primo ministro nel 1963. Insomma, Ragghianti arriva con il suo cinema sperimentale nell'ambito delle celebrazioni michelangiolesche, niente di più niente di meno. Tra le relazioni intessute allora da Prandi, certamente i Laterza, Mario Sansone e Luciano Canfora. Sfogliando il materiale diffuso dall'Università di Bari, cercando tra le varie dichiarazioni di curatori e docenti, non si riesce minimamente a capire l'accostamento tra Michelangelo e antifascista, parola che nel catalogo di Edipuglia compare ben 118 volte.
E che comunque non era stata usata nel 1964, già sessant'anni fa il termine sarebbe apparso alquanto pretestuoso, mentre oggi non ci stupisce più nulla, da quando il governo attuale è in carica anche l'arte del Cinquecento può essere un ottimo viatico per fare opposizione militante a ritroso nei secoli. Anche il volume accademico è incerto sui nessi, «che possono dirsi molti, invece, se si considera la natura anche partecipativa di un prodotto della ricerca come Michelangelo antifascista a Bari 1964-2024, di cui, siamo convinti, Prandi e Ragghianti sarebbero stati tra i sostenitori più entusiasti» (pag. 47, ma il perché non è spiegato). L'unica conclusione è dunque il puro marketing che supporta il titolo civetta senza alcun senso storico ma per attirare l'attenzione sull'Ateneo. Riflessi storici, politici e culturali sul presente non se ne vedono e allora forse resta il tentativo, impossibile lo smentisca il diretto interessato defunto ormai da tempo immemore, di tirare perla giacchetta un grande della storia dell'arte. Né basta a giustificare tale titolo il ruolo attribuito a Prandi sul modello di inclusività della comunità civile e dell'impegno politico. All'impronta sembra un atto di puro opportunismo. Michelangelo antifascista, presto o tardi toccherà a Giotto e a Raffaello. Caravaggio più difficile, troppo delinquente.
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