Beatrice: capelli, occhi, seni, mani, Lati B. La storia dell'arte scritta con i corpi

  • Postato il 24 ottobre 2024
  • Di Libero Quotidiano
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Beatrice: capelli, occhi, seni, mani, Lati B. La storia dell'arte scritta con i corpi

Non siamo in una sala autoptica ma in un libro di storia dell'arte. Anzi, sarebbe meglio dire in un atlante, dove il corpo è sezionato pezzo per pezzo, dalla testa ai piedi, dai capelli ai calli, con un taglio davvero originale, erudito e divertente.

Ben prima rispetto a quando si sono diffuse body art e performance, da secoli, forse dall'inizio dei tempi, pittura e scultura hanno rappresentato la figura umana maschile e femminile variando ogni volta gli ingredienti in modo da farla risultare diversa a seconda delle epoche, ed è corretta l'affermazione che funziona da indicatore più il nudo dell'abito.

Stefano Causa e Arabella Cifani, entrambi storici dell'arte, napoletano lui, torinese lei, sono gli autori di Corpo a corpo. Una storia dell'arte dalla testa ai piedi, ricco volume illustrato appena uscito per Giunti (pp. 224, euro 29), una passeggiata colta che attraversa i secoli, mescola gli stili e unisce alto e basso. Quando si parla delle labbra vanno insieme il bacio tra Romeo e Giulietta dipinto da Gaetano Previati nel tardo '800, l'iconico Omaggio a Billie Holiday di Pino Pascali e anche la linguaccia dei Rolling Stones.

Cominciando dalla cima, le acconciature, l'agghindarsi i capelli, rappresentano uno di quegli elementi parlanti nella definizione della personalità. Agnolo Doni, ritratto da Raffaello, li portava lunghi sullo stile beatnik; Venere e l'imperatrice Sissi li lasciavano crescere liberi e selvaggi, gli uomini romantici erano sempre scarmigliati.
«Quella del naso è vicenda di sfacciate perfezioni e di memorabili imperfezioni», scrive Causa. Se alle ragazze di ogni epoca piacciono narici strette e profili appena accennati come già testimoniava il Pollaiolo intorno al 1470, il Savonarola di Fra Bartolomeo, Federico da Montefeltro secondo Piero della Francesca, l'Oloferne del Caravaggio puntano su grosse nasche aquiline segno di indubbio potere e determinazione.

Inutile nascondersi dietro un dito - a proposito, le mani sono un altro particolare rivelatore del carattere, tra calma, serenità e nevrosi - il culmine del libro si raggiunge nel comparire delle “zone erogene”: seni, cosce, sederi, organi sessuali. Ma come non aggiungervi, a proposito di sensualità, la schiena perfetta e liscia della Venere allo specchio di Diego Velazquez. Il corpo e l'arte innescano entrambi l'effetto voyeuristico, poiché la vista tra i cinque sensi è quella che maggiormente si lega al cervello, dunque al pensiero. Da sostenitore delle tette grandi, prediligo l'abbondanza delle Tre Grazie rubensiane o la mammella turgida nella Maternità secondo Gino Severini, invece della perfezione della piccola coppa di Venere dipinta da Sandro Botticelli, seni da champagne.

In quanto al lato b, c'è una curiosa tela tardo cinquecentesca di Lavinia Fontana, meno male una donna altrimenti si configurerebbe il reato di molestia, dove Marte palpa il culo di Venere, ma tra dei la questione era più semplice. Natiche per tutti i gusti, il David di Michelangelo attrae chiunque, muscoloso e perfetto com'è, il fluido non c'entra. Gli artisti classici hanno rappresentato vagine implumi proprio come usa adesso, sicché la moda nel corpo è un eterno ritorno. Per scoprire il boschetto peloso ci volle il capolavoro di Gustave Courbet L'origine du monde, esposto in un museo solo cent'anni dopo. Se di vagine è piena la storia, lo scandalo sta nel realismo, più una cosa è vera più fa paura, esce dalla sfera ideale diventa verità.

La controversa appendice del pene, molto rappresentata nell'era classica, censurata anche nel cinema fino all'attuale riscoperta per par conditio, può suscitare ilarità. «Recentemente si è ipotizzato che i peni piccoli e non eretti nelle statue antiche siano tali perché associati alla virtù della moderazione che presso i greci e i romani erano tenute in grande considerazione nel carattere di un maschio», spiega Cifani. Altro che Rocco Siffredi, insomma, basta un niente per rovesciare uno stereotipo e tranquillizzare tanta gente. Peni talvolta imbraghettati, immutandati, come quello di Adamo nella Cacciata dal paradiso di Masaccio alla Cappella Brancacci, riportato allo stato originario solo nel 1985. «Sempre di natura parliamo: ma tutt'altro che morta. Un pene non idealizzato e su cui la luce si deposita coinvolgendo il testicolo in evidenza. Non enorme... un pene giusto». Dalla natura all'arte... 

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Libero Quotidiano

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