Batterie del futuro: addio ricariche, ecco quelle nucleari che durano 30 anni
- Postato il 1 maggio 2025
- Di Panorama
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Si potrebbe dire che connettività, mobilità e basso impatto ambientale plasmeranno il nostro futuro tecnologico. Questi obiettivi saranno raggiungibili se saremo capaci di produrre batterie sempre più efficienti, a lunga durata e riciclabili. Già oggi questi dispositivi rappresentano la pietra angolare della moderna tecnica, più del petrolio, della manodopera e della stessa intelligenza artificiale. Infatti, dai cellulari ai computer, dalle auto elettriche alle biciclette, dai droni agli aerei sperimentali, non c’è mezzo di comunicazione o trasporto che non dipenda interamente dalle batterie.
Dei molti tipi possibili, è soprattutto su quelle agli ioni di litio che stiamo facendo affidamento, anche se il loro uso porta con sé innumerevoli problemi. C’è prima di tutto quello della durata, visto che si degradano nel tempo e perdono capacità dopo 500-1.500 cicli di carica. Un altro problema riguarda la reperibilità delle risorse e in particolare il fatto che la concentrazione delle risorse di litio, cobalto e altri metalli in pochi Paesi crea instabilità economica e vulnerabilità nella catena di fornitura. E infine, c’è un problema di inquinamento perché sia l’estrazione sia lo smaltimento improprio delle batterie possono portare alla contaminazione di suolo, acqua e aria da metalli pesanti ed elettroliti tossici.
In un contesto simile, assume particolare rilievo la notizia che sono stati realizzati alcuni prototipi di batterie che impiegano scarti del combustibile delle centrali nucleari. È stata presentata una serie di articoli di ricerca al recente meeting dell’American Chemical Society. Uno di questi è stato pubblicato su Optical Materials: X e riguarda una batteria alimentata dagli isotopi radioattivi Cesio-137 e dal Cobalto-60. Un altro descrive un prototipo che utilizza una forma radioattiva del Carbonio-14, in genere sfruttato per la datazione di campioni organici. In entrambi i casi le radiazioni vengono schermate da appositi materiali, per esempio da fogli di alluminio, così da renderli sicuri per gli utilizzatori. E, cosa altrettanto importante, queste batterie durerebbero un tempo lunghissimo, assimilabile alla vita media degli isotopi che contengono. Andrea Marchionni, ricercatore dell’Istituto di Chimica dei Composti Organo-Metallici del Cnr (Iccom-Cnr) che lavora da una decina d’anni nel settore del riciclo delle batterie in Italia, spiega: «Il funzionamento delle batterie nucleari si basa sul fatto che isotopi radioattivi, come il Cesio-137 o il Cobalto-60, decadendo rilasciano elettroni ad alta energia o raggi gamma. La radioattività è assorbita da un opportuno materiale, innescando meccanismi che portano alla produzione di ulteriori elettroni a bassa energia raccolti da un semiconduttore. In questo modo, si crea una differenza di potenziale».
L’idea è già stata utilizzata con successo nell’industria spaziale: il viaggio di sonde come Voyager e New Horizons nel sistema solare è dovuto grazie anche a generatori a radioisotopi. «Sono batterie che non hanno bisogno di essere ricaricate perché la fonte energetica proviene dal decadimento degli elementi radioattivi. Il problema è che sono state concepite per situazioni in cui non vi erano rischi per la salute» continua Marchionni. «Quello che i ricercatori stanno cercando di fare adesso è di renderle sicure per il loro utilizzo sulla Terra.
Comunque, i prototipi finora sviluppati hanno prestazioni inferiori a quelle delle odierne batterie, che rendono la loro applicabilità ancora limitata a contesti di nicchia». Infatti, la quantità di energia per unità di volume delle batterie nucleari è per ora bassa. Tanto per fare un esempio, quando è stato utilizzato il Cesio-137, la batteria era grande quattro centimetri cubici e produceva 1,5 microwatt di potenza. Come dire che si trattava di una batteria capace di tenere acceso un sensore per almeno trent’anni (il tempo di dimezzamento del Cesio-137). «La densità energetica potrà essere migliorata con un’opportuna scelta dei materiali, ma occorre ancora studio e sviluppo. Comunque, le applicazioni possibili sono già adesso numerose ed interessanti, come per esempio ottenere pacemaker che durano per tutta la vita del paziente senza la necessità di intervenire chirurgicamente per sostituire le batterie. Non bisogna nemmeno sottovalutare il fatto che questi dispositivi riciclano materiale, cioè i rifiuti radioattivi delle centrali elettriche, che andrebbe smaltito».
È presto per dire quali decisioni verranno prese a livello politico nel caso delle batterie nucleari. Ma per quelle a ioni di litio la strada è obbligata dal momento che possono essere riciclate prelevandone i materiali al loro interno: «L’Europa sta finanziando moltissimi progetti di ricerca per realizzare una filiera della batterie al litio sul proprio suolo, dalla loro produzione sino allo smaltimento. Ora siamo dipendenti dalla Cina, che ha catene di produzione proprie da cui si raffinano materiali provenienti dalle miniere di cobalto in Congo o di litio in Canada, Australia e Bolivia. Se riusciremo a produrre e riciclare in Europa, resteranno qui diminuendo la nostra richiesta di nuovi materiali» conclude Marchionni. Tuttavia, un eventuale sviluppo delle batterie nucleari con prestazioni paragonabili alle attuali batterie al litio potrebbe cambiare radicalmente tutti i giochi della geopolitica.