Basta anarchia: l’Italia riscopre il valore dei divieti

  • Postato il 18 agosto 2025
  • Di Panorama
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Forse è venuto il momento di rivalutare i divieti. Dopo anni di «vietato vietare», dopo anni di esaltazione dell’anarcoide italiano, del fai da te, della sosta selvaggia, della liberazione da «lacci e lacciuoli» (ah quante volte l’abbiamo detto e scritto), della deregulation, dell’abolizione del principio di autorità, del «tutto è possibile» e dei bambini a cui nulla può essere negato, forse è il momento di ripristinare il valore salvifico del divieto. Vi ricordate quando i nostri genitori dicevano: «No». E perché no?, chiedevamo. E loro: «No, e basta». Ecco: ci siamo rovinati gli anni d’oro con quei «No, e basta». Ma Dio sa quanto oggi ce ne sarebbe bisogno.

L’estate dei divieti

Lo dico perché come sempre, nel pieno del Ferragosto, nelle redazioni spiaggiate e sonnacchiose fioccano servizi e dibattiti sull’«estate dei divieti». Sull’«estate del non si può». Il gioco è facile: in ogni Comune, ormai, c’è un’ordinanza. Chi vieta di stendere i panni, chi vieta la musica a palla, chi vieta di bivaccare in strada, chi vieta di tuffarsi nel porto, chi vieta di girare nudi in centro, chi vieta di devastare la spiaggia e persino chi vieta di fare il bagno dove ci sono le acque zeppe di pericolosi batteri. Ma come si permettono questi sindaci? Non lo sanno che nuotare fra i batteri è meglio che nuotare fra i delfini?

Il caso Praia a Mare

L’ultima polemica è sul coprifuoco per i ragazzini a Praia a Mare, in Calabria. Il Comune ha deciso di vietare a chi ha meno di 14 anni di girovagare per la città, senza mamma o papà o altri adulti ad accompagnarli, fra la mezzanotte e trenta e le sette del mattino. Apriti cielo. Il sindaco è stato descritto come una specie di kapò, Praia a Mare sui giornali è diventata la tomba delle libertà, l’incubo dell’estate, il trionfo del fascismo estivo, olio di ricino e fez in salsa balneare.

Ma io dico: a voi pare normale che a 12-13 anni i ragazzini vadano in giro tutta notte, per lo più ubriachi, a dare fastidio alla gente? A fare schiamazzi? Spesso risse e aggressioni? E se i genitori non sono in grado di porre un argine a questa deriva da baby gang, che male c’è se un sindaco ricorda, con un’ordinanza, che non tutto è lecito?

Sindaci in trincea

A me i sindaci che mettono i divieti cominciano a stare simpatici. Molto simpatici. Anche quando mettono divieti che a prima vista possono apparire insensati. Anche quando mettono divieti che finiscono nel tritacarne dei giornali e vengono ridicolizzati. Mi stanno simpatici perché me li vedo lì, nella trincea della realtà, a fare i conti con masse di cafoni scatenati, che hanno perso ogni senso del limite e che pensano che l’estate renda tutto lecito.

Siccome a questi cafoni nessuno ha insegnato l’educazione, i sindaci che devono fare? Fanno quello che possono. Emettono un’ordinanza. Tentano di mettere un freno allo scempio. Ci provano. E per lo più ottengono solo di finire sbertucciati su giornali e tv.

Le ordinanze che fanno discutere

Così l’Italia ride del sindaco Palau che vieta di stendere i panni, o di quello di Stintino che vieta di fare le buche in spiaggia, o di quello di Camogli che vieta di mangiare la focaccia in strada, o quello di Marciana (isola d’Elba) che vieta di camminare scalzi e a torso nudo, o di quelli del Gargano che vietano la musica alta.

Tutto divertente, si capisce. Un bel titolo al Tg, una vox popoli in paese, qualche smorfietta nei talk sopravvissuti alla pausa estiva, e via, per quest’anno il capitolo delle curiosità del Ferragosto l’abbiamo riempito. Con la giusta dose di indignazione.

Regole e convivenza civile

Ma a me resta il dubbio: se a Camogli c’è gente che trasforma le vie del centro in bivacchi bisunti e a Stintino c’è gente che ha deciso di trasformare l’arenile in una groviera e sul Gargano ci sono aspiranti dj che hanno deciso di trasformare le zone di relax in discoteche assordanti, sarà forse sbagliato provare a fermarli? In qualsiasi modo? Anche con un’ordinanza?

Lo so benissimo che l’attivismo dei sindaci ogni tanto genera qualche divieto sciocco. Ma meglio un divieto sciocco che l’impressione che tutto sia lecito.

Meglio un divieto in più che in meno

Nell’estate in cui scopriamo (carte alla mano) che a Milano vigeva l’anarchia urbanistica, con i comitati d’affari che trasformavano garage in grattacieli e catapecchie in hotel di lusso senza pagare il dovuto; nell’estate in cui si scopre che il presidente dell’assemblea siciliana usava l’auto blu per andare a comprare il kebab o il candidato alla presidenza delle Marche, quand’era sindaco, appaltava i lavori a società di amici che poi usavano i soldi per le vacanze in montagna; nell’estate in cui riesplode la questione morale, eppure si torna a parlare di immunità parlamentare e alla kermesse di Forza Italia un prete osa dire «basta con la cultura della legalità», ebbene, in un’estate così, forse meglio qualche divieto in più che in meno.

Persino quando è stupido, il divieto a qualcosa serve: a ricordarci che il rispetto delle regole, in un Paese che vuol essere civile, è un valore fondamentale. Anche se non lo insegna più nessuno.

Autore
Panorama

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