Basilicata, nel 2035 meno 50mila persone in età lavorativa

  • Postato il 4 maggio 2025
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Basilicata, nel 2035 meno 50mila persone in età lavorativa

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Per Cgia i lucani sono secondi per perdita di popolazione in fascia produttiva: in Basilicata fra 10 anni ci saranno 50mila persone in meno in età lavorativa


In dieci anni la Basilicata subirà la seconda contrazione di popolazione in età lavorativa d’Italia. Solo la Sardegna avrà uno tsunami demografico peggiore. Secondo le proiezioni dell’Ufficio Studi della CGIA, in appena due lustri la Basilicata vedrà infatti una marcata diminuzione della sua popolazione in fascia di età produttiva (dai 15 ai 64 anni): entro il 2035, il rapporto della Cgia prevede che la Basilicata perderà il 14,8% della propria forza lavoro, il che si traduce in una emorragia di 49.685 lavoratori. Un dato che colloca la regione tra quelle con il più alto tasso di declino demografico a livello nazionale.

Ad oggi i lucani in età lavorativa sono 336.230: la previsione è che nel 2035 ne rimangano 286.545. A livello provinciale, la provincia di Potenza non è da meno: con una flessione prevista del 17,3%, si posiziona – secondo Cgia -tra le prime cinque province con il calo più accentuato in Italia (molto vicina ad Enna, quarta con il -17,5% o Caltanissetta, terza con il -17,6). La provincia di Matera segue con una diminuzione del 10,3%, ed è trentanovesima. L’analisi è stata realizzata dall’Ufficio studi della Cgia che ha elaborato le previsioni demografiche dell’Istat. Più in generale, l’analisi indica che «entro i prossimi dieci anni la popolazione in età lavorativa presente in Italia diminuirà di quasi 3 milioni di unità» (precisamente di 2 milioni 908mila persone ), il 7,8%. All’inizio del 2025 questa fascia demografica contava 37,3 milioni di persone.

L’indicazione di Cgia è che la platea nel 2035 scenderà a 34,4 milioni. Secondo le proiezioni, le contrazioni della popolazione in età lavorativa più importanti riguarderanno, in particolare, il Mezzogiorno. Dei 3 milioni di persone in meno che occuperanno la fascia anagrafica tra i 15 e i 64 anni in Italia, la metà interesserà le regioni del Sud. Lo scenario più critico investirà la Sardegna che entro il prossimo decennio subirà una severa riduzione di questa platea di persone, fotografata nel -15,1 per cento (una emorragia dai settori produttivi della regione di 147.697 persone).

Poi, appunto, c’è la Basilicata con uno scenario abbastanza, simile delineato dal -14,8%. Terza la Puglia con il -12,7 per cento (la riduzione investirà 312.807 lavoratori), quindi la Calabria con il -12,1 per cento (-139.450) e il Molise con il -11,9 per cento (-21.323). Per contro, le regioni meno interessate da questo fenomeno saranno il Trentino Alto Adige con il -3,1 per cento (-21.256) la Lombardia con il -2,9 per cento (-189.708) e, infine, l’Emilia Romagna con il -2,8 per cento (-79.007) In particolare le province emiliane avranno una tenuta più che soddisfacente nell’arco dei prossimi anni. A livello provinciale, infatti, la flessione più importante si verificherà a Nuoro con il -17,9 per cento.

Seguono, secondo le stime di Cgia, la Sud Sardegna con il -17,7, Caltanissetta con il -17,6, Enna con il -17,5 e Potenza con il -17,3. In valore assoluto la provincia che subirà la perdita più importante è Napoli con l’uscita dal tessuto lavorativo di 236.677 persone in età produttiva. Tra le province meno interessate da questa attesa contrazione c’è Bologna con il -1,4%, Prato con il -1,1 e, infine, Parma con il -0,6, che da questo punto di vista registra la migliore performance d’Italia.

«Va sottolineato- scrive l’Istat che tutte le 107 province italiane monitorate in questo studio registreranno entro il prossimo decennio una variazione assoluta negativa, confermando che il fenomeno colpirà indistintamente tutte le aree del Paese». Una situazione che potrebbe portare ad un rallentamento del pil. «Se si considera il declino demografico insieme all’instabilità geopolitica – scrive infatti Cgia – alla transizione energetica e a quella digitale, nei prossimi anni le imprese sono destinate a subire contraccolpi molto preoccupanti. La difficoltà nel reperire giovani lavoratori da inserire nelle aziende artigiane, commerciali o industriali è un problema sentito già oggi, figuriamoci tra un decennio».

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