Bambini terribili: la società che non sopporta più i figli degli altri
- Postato il 7 settembre 2025
- Di Panorama
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In questa estate di tornelli sulla battigia e risse notturne per i funghi, un altro tormentone ha tenuto banco sui social. La scoperta che i bambini, ovviamente quelli degli altri, sono una piaga, un incubo, insomma una rottura insopportabile. Urlano, piangono incessantemente, al ristorante disturbano, in spiaggia poi fanno passare la voglia a chiunque di fare figli. Se si ha la sfortuna di averli accanto in treno o in aereo (peggio ancora seduti dietro con i loro piedini più letali di quelli di Gennaro Gattuso) state pur certi che il viaggio diventerà un inferno. E se solo proverete a dire qualcosa sarete considerati dei mostri. Insomma, è paradossale, ci dicono di fare i figli altrimenti presto ci estingueremo (perché, è un male?), di alzare la natalità mai stata così bassa da almeno due decenni (chiuderemo l’anno con 340.700 nati, una tale riduzione non si era mai vista).
L’esplosione del “child free”
Eppure se all’orizzonte appare una carrozzina parte lo sbuffo cosmico. Ormai il nostro limite di sopportazione è pari allo zero. Addirittura in Francia, dove il fenomeno del moltiplicarsi dei luoghi child free è da mesi argomento di discussione, l’ultima moda sono i matrimoni dove agli invitati è assolutamente vietato portare i pargoli. Se un tempo era guardato male il labrador buttato sotto il tavolo da pranzo, ora a pelosi e padroni fanno ponti d’oro. Mentre i genitori, tapini, vengono squadrati con un astio sottile. Nemmeno tanto sottile a leggere i numerosi post sui social: «I bambini ci sono sempre stati, ma i nostri genitori ci dicevano di non alzare la voce e di non disturbare. Si chiama rispetto», «Cominciano a piangere in spiaggia dalle dieci. Sono stanchi, accaldati, ma li lasciano a bollire sulla sabbia», «Dietro piccoli fastidiosi ci sono genitori inadatti a svolgere il loro ruolo primario».
Educazione e autorità smarrite
È davvero così? Risponde la psichiatra Federica Mormando: «Siamo una società dove il concetto di autorità è svanito. Da una parte sono iper controllati, dall’altra non sopportiamo quelli non educati».
Sembra un controsenso, ma più si scrive sui bambini e meno si ha voglia di averli intorno. Viviamo nel mondo del “senza”, che non è più un concetto filosofico, bensì di marketing, come spiega la filosofa Mazarine M. Pingeot nel saggio Vivre sans (Climats). Senza glutine, senza contatti e ora anche senza bambini. Continua la Mormando, che è appena uscita con il libro Intelligenza Artificiale: una mente a contatto con la nostra (Red! Edizioni): «Per educarli bisogna essere adulti, ma gli adulti non sanno chi sono, non hanno la percezione del loro ruolo, non pensano. Le generazioni precedenti avevano idee chiare e regole. Vedo bambini di due anni cui chiedono cosa vogliono mangiare. Non puoi farli scegliere quando non ne hanno la capacità. Il risultato è avere figli di dieci anni che insultano i genitori, mentre loro stanno zitti e vanno dallo psicologo. Ricorrono continuamente a qualcun altro, educare è un lavoro faticoso».
La “family fatigue”
Secondo un’indagine interna sul fenomeno della “Family Fatigue” condotta da Unobravo, il servizio di psicologia online e società benefit, emerge che l’estate, più che il mese delle vacanze, è la stagione della stanchezza. Il 68 per cento dei terapeuti riferisce che i genitori manifestano un aumento dello stress durante i mesi estivi. Quando le energie diminuiscono e gli aiuti sono pochi, la soglia di tolleranza si riduce.
A essere più esposti, coloro che sono privi di supporti esterni, nonni o tata, seguiti dalle coppie con figli fino a cinque anni. Si sentono soli e sopraffatti. Spiega Valeria Fiorenza Perris, psicoterapeuta e clinical director di Unobravo: «È una società frenetica, che fatica a comprendere e accogliere ciò che non si adatta ai tempi rapidi imposti e si scontra con chi non rispetta gli standard comportamentali ed emotivi della vita adulta. I bambini con i loro bisogni non mediati, i tempi lenti e la naturale esuberanza, spesso risultano “fuori luogo”, generando grande frustrazione soprattutto negli adulti di riferimento che finiscono per ridurre sempre più le occasioni di socialità proprio per evitare la sensazione di essere giudicati invece che accolti. Sentendosi alla fine inadeguati». A soffrirne maggiormente sono le donne, secondo l’85 per cento dei terapeuti.
Il mondo delle no-kids zone
Intanto le no-kids zone aumentano in tutto il mondo. La Corea del Sud è stato il primo Paese a esporre cartelli con il divieto: “No cani, no bambini”. Incommentabile. Mentre l’Opera Park a Copenaghen è un parco disegnato e pensato esclusivamente per grandi: luoghi per la meditazione e per la lettura, ma nessun scivolo né altalene. In Francia, dove le famiglie sono perlopiù numerose, un recente sondaggio ha mostrato come oltre la metà degli intervistati sia favorevole alla creazione di aree urbanistiche dedicate solo agli adulti.
L’analisi di Paola Mastrocola
Paola Mastrocola, celebre scrittrice e insegnante, riflette: «Il figlio negli ultimi anni è diventato il centro dell’universo, eppure anche io ho la sensazione che si faccia fatica a sopportarli. La spiegazione è semplice, quasi banale: non li hanno educati. È difficile, frustrante, non sei simpatico. La libertà innanzitutto è l’ideologia dominante dal Sessantotto in poi. Deve venire fuori quello che è. Questo non implica non dar loro regole, ma bisogna prendersi il carico di avere un’autorità. Ma così tocchiamo una parola tabù, chi la nomina viene tacciato di essere fascista. Non ne usciamo più».
Bambini tra resorts e voli intercontinentali
Portati ovunque come la Madonna Pellegrina, viaggi intercontinentali dove piangono ininterrottamente (virale il post che racconta come il giocatore di football americano Peyton Manning abbia consolato un bambino durante un volo, alzandosi dalla prima classe e andando a cullarlo).
Sempre più numerose le linee aeree con zone child free, come molti resort di lusso sono adults only. Vogliamo vivere in The White Lotus, mica con la pipinara in piscina. E quando i bambini fanno oh, ci infastidiscono. Li vogliamo silenziosi, invisibili, anche con il cellulare in mano, purché fermi e muti.
Tra nostalgia e società dell’impazienza
«I bambini beneducati vanno visti e non sentiti», dice ironica Gaia de Beaumont, raccontando in modo malinconico e crudele quelle infanzie di un tempo piene di solitudine e silenzio (I bambini beneducati, Marsilio). «Ho sempre pensato che i piccoli sono insopportabili, anche quelli svedesi che si comportano benissimo e mangiano i broccoli», confessa. «A tutti piace la propria infanzia, certo non quella degli altri. Quei rumori, quelle urla, quei piedi scaraventati per terra. Siamo la società dell’impazienza. Una volta i bambini erano come la quinta del teatro, non contavano. Facevamo una vita parallela, i genitori si vedevano brevemente. Talvolta ci portavano al luna park. Un regalo, una gioia».
Conclusione amara
Carini e puliti, non si lamentavano mai. Erano un rumore di sottofondo. Continua la scrittrice: «Ho avuto un’educazione severissima: orari prestabiliti, non avevo diritto a dire la mia. I bambini facevano i bambini. Eppure questo mi ha dato una spina dorsale formidabile, la capacità di affrontare qualunque difficoltà. Ora è tutto capovolto, vedo genitori piegati come salici sui figli. Stanchi, confusi, smarriti. È più facile dire di sì, che no. Invece hanno bisogno di ordine. Solo studiando possono salvarsi da questa catastrofe».
Ci fu un tempo quando i più piccoli mangiavano in una stanza a parte la minestrina anche d’estate. I genitori ti davano una carezza e via con la tata (se l’avevi, se no via e basta). Generazioni cresciute a noiosi pomeriggi in campagna, altro che vacanze organizzate tra sport e viaggi. Intanto siamo cresciuti, poi ci siamo spalmati sui divani degli psicologi e inondato le librerie di romanzi autobiografici su quelle fanciullezze solitarie. Oggi almeno non avranno nulla di cui scrivere, è questo è già un bene.