Bach in punta di penna e molte piume

  • Postato il 5 ottobre 2024
  • Di Il Foglio
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Bach in punta di penna e molte piume

Se fino a poco tempo fa il calcio era liquidato dalla moda come “un orrore” e i rapper “noi preferiamo un target più alto”, nella profonda crisi di stimoli, ispirazioni e identità della moda di oggi, snobberie, sofisticazioni ed esclusioni sono state forzatamente accantonate. Tutto, anzi, aiuta la “causa” (le nonne dei rapper avrebbero detto “tutto fa brodo”), come ovvio opportunamente mascherata da evento esclusivo.

È la consueta strategia dell’ultimo periodo, tra il suonarsela e cantarsela e il “mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente”, di morettiana memoria, ma sono soprattutto i sintomi dello sbigottimento dell’intellighenzia fashion che invano spera nel ritorno del passato mentre, senza più riferimenti, si dibatte in cerca di soluzioni in balìa dell’inafferrabile Gen Z che l'ha spinta a convertire, suo malgrado, anche gli sport più popolari e i cantanti delle masse, vituperati e schifati fino all’altro ieri, in potenziali leve di vendita. La situazione ricorda l’arrivo dell’influencer marketing, una decina di anni fa, quando i brand riversarono ciecamente ingenti somme di denaro sul nuovo strumento, certi che, grazie a loro, avrebbero svuotato i negozi, mentre i pochi analisti e critici di moda che provarono a segnalare le evidenti pecche di un sistema che era non solo pubblicitario, ma privo di qualsivoglia controllo, venivano tacciati di disfattismo, invidia, inadeguatezza storica.

Adesso, a fenomeno pressoché esaurito, possiamo dire senza tema di smentita che fu una strategia miope, il cui unico risultato fu di portare qualche, o molti, denari nelle tasche degli influencer stessi, oggi ridicolmente convertiti in “content creator” ma comunque privi di veri controlli, oltre che in genere incapaci di scrivere e di approfondire qualsivoglia argomento, cioè di creare i “contenuti” che vorrebbero piazzare. Dunque, avanti con la nuova tendenza: adesso è il momento del merch musicale deluxe (dove “merch” sta ovviamente per merchandising, cioè spaccio di gadget, l’elisione rende il concetto più accettabile). Pochi giorni fa, alla sfilata di Loewe della Paris Fashion Week estate 2025, il direttore creativo Jonathan Anderson, ormai da qualche stagione il più atteso e celebrato, si è detto molto colpito dalla recente notizia della scoperta di una “Serenata” inedita di Mozart (euh, l’informazione è stata comunicata il 24 di settembre, la sfilata è andata in scena quattro giorni dopo…in quanto tempo si costruiscono le collezioni, ultimamente?) e “pubblicata” come Beyoncé, Drake o Lady Gaga potrebbero pubblicare un nuovo album. Dunque, ed evidentemente nel giro di poche ore, Anderson ha stampato Mozart, Chopin e Bach, su una maglietta di piume bianche, oltre al “Tamburino” di Manet e agli iris di Van Gogh. Potremmo definirla “arte turistica”, come quella che si trova in qualunque museo del mondo, ma non lo è: usa infatti tecniche dell’alta moda, la costruzione in piume, per proporre un capo basico come la t shirt. “Le mie t shirt”, ha detto Anderson, che da ragazzino avrebbe voluto essere alternativamente un musicista o un pittore, “ricordano i cimeli dei concerti rock, esperienze che vuoi continuare a vivere. Portando via tutto il rumore, la melodia e il ritmo rimangono”. Lungo la stessa lunghezza d’onda, con un intento forse più smaccatamente commerciale, di merchandising, si configura l’operazione Mina per Balenciaga: la T-shirt che reca impressa la foto della cover dell’album “Catene vol. 1”, opera di Mauro Balletti, anno 1984, che molti boomer e tutti gli appassionati possiedono in versione originale nella propria personale discoteca in LP, viene venduta a 795 euro. Nel frattempo, si moltiplicano le collaborazioni con i rapper, da Travis Scott, uno zelig che moltiplica le proprie performance e “collab” dalla musica allo sport (svariate con Nike) all’orologeria (Audemars Piguet) alla moda (Dior) alla cucina (McDonald) in un eclettismo “non tutto ma un po’ di tutto” basato sul suo nome. Chi non può permettersi la creatività, mancando di talento, presta invece la propria immagine indossando look griffati in apparizioni pubbliche e concerti, declinazione che i brand preferiscono ben sapendo che le immagini di un certo capo o stile indossato dal cantante del momento sul palco rende più dell’immagine di una modella sulla copertina di un giornale. Uguale discorso vale per gli sportivi, soprattutto uomini.

Oggi il calcio, il suo pubblico e l'indotto economico che genera, al di là degli scandali e delle infiltrazioni mafiose che di recente hanno portato all’arresto di capi ultras del Milan e dell’Inter (contiguità che consiglierebbero una certa cautela, ma ormai s’è capito che il fatturato arriva prima), hanno aperto un dialogo con team più o meno blasonati nel tentativo di intercettare community che però poco hanno a che fare con il lusso. Le cosiddette divise formalwear, quelle dei calciatori fuori dal campo, sono fornite da nomi come Loro Piana (Juventus), Zegna (Real Madrid), Off-White (Milan), Herno (Barcellona), Dior (Paris Saint-Germain), Canali (Inter) ma sono meno sperimentali, rispetto alle maglie da calcio, che ormai sono diventate dei feticci. Non c’è squadra che non collabori con brand di streetwear o menti creative alternative per i kit che poi scendono in campo. A cavallo di questo ultimo decennio, Juventus collaborò con Palace e Pharrell Williams, quattro T-shirt in altrettanti anni, mentre la Spal oggi collabora con Slam Jam, e il cantante Drake ha addirittura salvato il Venezia dal fallimento ed è diventato sponsor tecnico con Nocta, il suo brand nato dalla collaborazione con Nike. Il Napoli si è affidato a Giorgio Armani, con la linea EA7, mentre l'Udinese ha lavorato con il brand emergente e sostenibile Florania della designer Flora Rabitti. già cult la capsule “Definitely City”, nata dalla collaborazione tra Manchester City e gli Oasis per celebrare il trentesimo anniversario dell'album “Definitely Maybe” e la cui maglia sarà utilizzata solo nelle competizioni europee. Se in Europa il calcio è lo sport più diffuso, in USA i tunnel fits sono diventati delle vere e proprie sfilate che hanno reso le stelle dell'NBA i nuovi influencers: nel prepartita le telecamere e i fotografi riprendono tutti i look dei giocatori in arrivo nei vari stadi, i più iconici sono Russell Westbrook e James Harden ovviamente inseguiti da tutti i brand di moda in ricerca di coolness e visibilità.

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Autore
Il Foglio

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