Baby sicari: il modello sudamericano che contagia l’Europa

  • Postato il 26 luglio 2025
  • Di Panorama
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Colombiano, senza precedenti penali, freddo nell’esecuzione. Ma ha solo 15 anni. È lui il baby sicario che ha tentato di uccidere a Bogotá Miguel Uribe Turbay, pre-candidato del centrodestra e favorito alle elezioni presidenziali del 2026. Un colpo alla testa, esploso in pieno giorno, ha mandato il politico in coma. Dopo cinque interventi chirurgici, la sua vita resta appesa a un filo. Il minore, detenuto in un centro educativo sorvegliato 24 ore su 24, è diventato il simbolo di una realtà inquietante: gli adolescenti armati, quando non sono addirittura i bambini, non sono più solo un’eccezione, ma una strategia di sistema per cartelli, gang urbane e mafie.

L’attentato ha scosso un Paese intero, ma non ha sorpreso gli esperti. Già nel 2024, un report dell’Osservatorio ecuadoriano del crimine organizzato segnalava la crescita esponenziale del reclutamento minorile da parte dei narcos. Oggi, a distanza di un anno, il fenomeno non solo si è consolidato in tutta l’America Latina, ma ha contaminato anche l’Europa.

«Osserviamo un abbassamento dell’età della radicalizzazione sia nel terrorismo sia nel crimine organizzato», spiega a Panorama Ruggero Scaturro, senior analyst presso la Global initiative against transnational organized crime (Gi-Toc), un network che riunisce centinaia di esperti sul tema. «I gruppi criminali adottano strutture sempre più flessibili, a celle, meno gerarchiche. In questo schema, i minorenni sono perfetti: meno controllati dalle forze dell’ordine, meno punibili e molto più economici da “gestire” rispetto agli adulti», dice Scaturro, coautore per Gi-Toc del rapporto intitolato I bambini soldato dell’Europa (Child soldiers of Europe).

In Ecuador, Paese strategico per l’export di cocaina verso Europa e Asia, le grandi bande come Los Choneros e Los Lobos arruolano bambini non solo come pusher o “occhi” sul territorio, ma come veri e propri sicari. Il caso più eclatante ha coinvolto due fratelli di 11 e 13 anni arrestati dopo un’esecuzione a sangue freddo di un poliziotto nella città di Esmeraldas, due anni fa.

Anche Haiti, oggi nel caos totale, rappresenta un laboratorio infernale del reclutamento minorile. Le bande armate hanno approfittato del vuoto istituzionale e della fame dilagante per trasformare migliaia di bambini in miliziani. A soli 9 anni, un ragazzino può maneggiare un fucile d’assalto e combattere contro la polizia o bande rivali. La loro paga? Un piatto di riso e l’illusione di far parte di una “famiglia”.

In Venezuela, nel cuore del feudo chavista, le mega-bande come il Tren de Aragua operano indisturbate con eserciti di giovanissimi. Alcuni sono addestrati nei “campi popolari” delle milizie bolivariane, altri vengono rapiti e forzati a uccidere per “dimostrare lealtà”.

Il dato più sorprendente – e allarmante – è che in Europa si sta cominciando a replicare il modello latinoamericano. Secondo il recente studio di Gi-Toc, basato su fonti investigative e giudiziarie in diversi Stati membri dell’Ue, dalla Germania alla Francia, dall’Italia al Regno Unito, cresce il numero di bambini coinvolti in attività criminali violente, compresi omicidi su commissione.

«I minorenni sono usati come pusher, corrieri e in alcuni casi come sicari anche in Europa. A Napoli, a Bruxelles o a Marsiglia si sono verificati episodi che ricordano da vicino quelli sudamericani. Ragazzi giovanissimi, a volte anche di 7 anni, già coinvolti in faide e omicidi», si legge nel rapporto. A peggiorare il quadro ci sono le migrazioni incontrollate. Centinaia di minori non accompagnati provenienti da Africa, Asia e America Latina finiscono nelle mani dei cartelli europei. Vengono sfruttati per traffici di droga, armi o prostituzione. Non hanno documenti, nessuno li reclama, e soprattutto: non hanno alternative.

Secondo Scaturro, «la combinazione tra vulnerabilità migratoria, accesso alle armi leggere e debolezza delle istituzioni crea un cocktail perfetto. Le leggi europee, inoltre, sono frammentate: un minore di 14 anni autore di un omicidio può uscire dal carcere dopo pochi mesi in certi Paesi. I gruppi criminali conoscono bene queste dinamiche, e ne approfittano».

Un aspetto spesso sottovalutato è l’impatto del digitale. Oggi le mafie nel mondo non reclutano più per strada, ma sui social network, nei giochi online, nei gruppi criptati di Telegram. «Le piattaforme digitali sono diventate uno strumento chiave per il reclutamento e la radicalizzazione precoce. I giovani vengono avvicinati attraverso contenuti normalizzati, che esaltano la violenza, il lusso criminale, l’idea che delinquere sia una scorciatoia legittima per uscire dalla miseria», spiega Scaturro.

Anche l’estetica criminale ha un ruolo determinante. Trap, narco-corridos, video su TikTok girati nei quartieri a rischio del pianeta contribuiscono a costruire l’icona del “piccolo boss”, con mitra in mano e catena d’oro al collo. Per un adolescente senza opportunità, tutto questo è irresistibile. Secondo Scaturro, la prima risposta deve essere la prevenzione basata sui dati. «Abbiamo bisogno di sistemi di monitoraggio affidabili, per quantificare e comprendere l’evoluzione del fenomeno. Non possiamo combattere ciò che non sappiamo misurare», afferma.

Serve poi un’armonizzazione legislativa a livello europeo e globale. Per l’esperto «le lacune normative e l’applicazione disomogenea della giustizia minorile generano un effetto impunità che favorisce il reclutamento». Cruciale anche il ruolo delle forze dell’ordine internazionali, che devono cooperare in modo più stretto. «Non bastano operazioni isolate. Serve una strategia comune, task force integrate, scambio di intelligence e le vittime vanno reinserite», suggerisce Scaturro.

La differenza, insomma, tra Bogotá e Berlino, tra Guayaquil e Napoli, si sta assottigliando. E non si tratta più soltanto di importare cocaina o armi dall’America Latina. Si esportano modelli di reclutamento, metodi organizzativi e filosofie del potere criminale in cui il minore è visto come una risorsa usa-e-getta. Secondo fonti interne a Europol, alcune bande nordafricane in Francia e Belgio avrebbero cominciato a utilizzare gli stessi codici comportamentali delle pandillas salvadoregne, come l’affiliazione e i tatuaggi.

Quanto all’Italia, diversi magistrati antimafia hanno segnalato l’aumento esponenziale di minori coinvolti in crimini violenti a Napoli e Reggio Calabria. Il fenomeno è reso ancora più insidioso da una giustizia minorile non pensata per affrontare una tale escalation. Molte legislazioni europee sono nate per tutelare i minori, non per proteggerli da un sistema criminale che li strumentalizza. Il pericolo, avvertono gli esperti, è anche culturale. In molti ambienti emarginati, la criminalità organizzata ha sostituito la scuola, la famiglia, lo Stato. Offre protezione, status, guadagno, un’identità. Un bambino che cresce con la pistola come simbolo di successo è già perduto prima ancora di premere il grilletto. «Per tanti ragazzi» spiega ancora Scaturro «è la via più breve per sentirsi importanti. È la scorciatoia tra invisibilità e potere».

Il rischio è che questo modello dall’America Latina si radichi in modo permanente nelle periferie europee, che le baby gang diventino la nuova normalità e che i minorenni non siano più un’anomalia nel crimine, ma l’avanguardia. L’unico modo per evitare questo scenario, conclude l’esperto, è affrontare il problema con una visione complessa, multilivello e globale. «Questo fenomeno non può essere combattuto in modo isolato. Serve una risposta integrata che combini misure legislative, operative, educative e sociali. Lo scambio di dati, le pratiche innovative di prevenzione e programmi di inclusione sociale rappresentano le chiavi per arginare l’ascesa dei “child soldiers” del crimine. Ma occorre farlo ora, prima che sia troppo tardi». In gioco non c’è solo la sicurezza pubblica, ma la tenuta stessa del patto sociale. Se l’infanzia diventa un bacino di manodopera per le mafie, allora la criminalità avrà già vinto sul campo che conta di più: quello del futuro.

Autore
Panorama

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