Autonomia differenziata, il grande inganno delle Lega continua
- Postato il 21 novembre 2024
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Il Quotidiano del Sud
Autonomia differenziata, il grande inganno delle Lega continua
Dopo la sentenza della Corte Costituzionale sull’autonomia differenziata la Lega e i suoi esponenti di spicco hanno ridimensionato il verdetto ricorrendo ad una sorta di dissonanza cognitiva
Uscita dimezzata dalle ultime elezioni regionali in Umbria e in Emilia-Romagna, la Lega ha sviluppato una forma di dissonanza cognitiva. Una dissociazione mentale tra la realtà e i propri comportamenti. Solo così si spiega la coazione a ripetere la narrazione distorta dei fatti. Fino all’assurdo di mentire a sé stessi sostenendo di aver brindato – a base di prosecco, of course – dopo aver conosciuto il pronunciamento della Consulta sui ricorsi presentati da 4 regioni. Una vertiginosa negazione sconfessata pubblicamente sui social dagli stessi militanti del Carroccio che hanno parlato di disfatta.
In attesa della sentenza che dovrebbe dare il definitivo colpo di grazia alla legge sull’autonomia differenziata, il ministro agli Affari regionali e alle autonomie Roberto Calderoli e il presidente del Veneto Luca Zaia hanno deciso infatti di fare gli “indiani”. Fino al rovesciamento della verità conclamata, un tentativo persino patetico di interpretare in senso opposto l’evidente bocciatura della Corte costituzionale sottolineata dai principali quotidiani e persino dalle rete pubbliche televisive. Non sarebbe grave e passerebbe sotto silenzio se entrambi non rivestissero un ruolo istituzionale. Se il primo non fosse un ministro della Repubblica e il secondo il presidente (quasi uscente) della Regione Veneto.
Sappiamo che la politica talvolta è dissimulazione, provocazione. Ma se rischia di trasformarsi in manipolazione la storia è diversa. Calderoli e Zaia sono personaggi pubblici. Non possono non riconoscere che la Corte costituzionale ha cassato la legge e cancellato con un colpo di spugna l’intero impianto. Ha stravolto il provvedimento, affermato un concetto opposto, un modello di autonomia che non ha nulla a che vedere con il perseguimento degli interessi egoistici delle regioni più ricche: il principio dell’autonomia possibile e solidale, quella prevista dalla nostra Costituzione.
Non è mai successo che una decisione della Corte sia stata ignorata: fare gli gnorri, dire “andiamo avanti lo stesso”, come il ministro e il presidente stanno facendo, è poco meno di uno sgarbo istituzionale. Tutt’e due hanno sicuramente le loro buone ragioni per stigmatizzare, per attenuare gli effetti collaterali dello smantellamento della loro legge. Per sostenere che in definitiva la Consulta pur avendola smontata non l’ha ritenuta incostituzionale.
Ma da qui a dire che quella legge non sia da riscrivere, che non sia stata colpita e affondata, ce ne corre. I loro elettori non vivono su Marte, hanno uno spirito contadino e uno spiccato senso pratico. Sanno distinguere nero su bianco, leggere le prescrizioni indicate dalla Corte, i 7 articoli da cestinare, a partire dai Lep che dovranno essere finanziati, di competenza del Parlamento e non di Palazzo Chigi. Che già questo basterebbe per rinviare alle calende greche l’approvazione di una nuova versione sia pure riveduta e corretta.
I nostri due rifuggono dalla realtà, dichiarano di voler continuare le trattative per le intese. Poco meno di una provocazione. In questi giorni Luca Zaia è impegnato nella presentazione del suo ultimo libro, un pamphlet dedicato all’autonomia (“rivoluzione necessaria”). In passato è stato apprezzato per certe sue coraggiose prese di posizioni, ad esempio le aperture sul fine vita, le unioni civili, la condanna dell’omofobia. Ha sviluppato le sue convinzioni a prescindere dagli schieramenti. Questa volta si era programmato in perfetta scelta di tempo con i festeggiamenti e ora è costretto a fare i salti mortali. Nel suo libro lamenta persino una sua proposta caduta nell’oblio: la difesa dell’autonomia trevigiana – avete letto bene – ovvero il sostegno al progetto di legge di iniziativa popolare per trasformare quella di Treviso in un provincia autonoma. Tipo Trento, per intenderci.
Aver inviato a Palazzo Chigi il primo schema di intesa per la devoluzione della Protezione civile, una delle 9 “materie” che non richiedono in via pregiudiziale la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, cos’è se non una provocazione?
Non bisogna aspettare la sentenza per sapere quello che la Corte ha già chiarito. E cioè che non ci sono intere “materie” da trasferire bensì semplici funzioni e va fatto con cognizione di causa, spiegando il perché e il per come il passaggio dallo Stato alla Regione garantirebbe più efficienza in quella funzione particolare. Nell’ipotesi avanzata dal Veneto si chiede che sia il presidente della Regione ad emettere in caso di calamità naturale le ordinanze in deroga. Si chiede una contabilità speciale per non dover tutte le volte porgere la manina per le risorse statali.
Richieste plausibili. In linea con il concetto di autonomia regionale, una gestione migliore del territori. Si chiede anche la possibilità di assumere direttamente il personale. Che vuol dire stipendi che variano da regione a regione. E qui non ci siamo. Si scopre inoltre che la proposta non contempla la gestione diretta dei vigili del fuoco. E ci si chiede: come mai? Presto detto: i sindacati sono pronti a scendere sul piede di guerra in caso di regionalizzazione. I vigili del fuoco vogliono continuare a spegnere gli incendi ma restando un Corpo nazionale.
Il presidente della Regione in caso di terremoto diventerebbe senza aspettare nessuna nomina commissario alle emergenze; potrebbe gestire direttamente la macchina del volontariato civile ma non i pompieri guidati da una cabina di regia nazionale. Ma se il sisma dovesse colpire, come purtroppo accade quasi sempre, anche le regioni confinanti i suoi poteri sarebbero limitati alle onde sismiche di competenza. Un terremoto a calamità differenziata. E questo che vogliamo?
Il Quotidiano del Sud.
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