Australia, fatta la legge trovato l’inganno: il divieto di uso dei social è stato aggirato dai minori in meno di 5 minuti

  • Postato il 12 dicembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Il 10 dicembre 2025 ha segnato un momento storico per l’Australia: è entrata in vigore la legge che vieta ai minori di 16 anni l’accesso ai principali social media, TikTok, Instagram, YouTube, Snapchat, Facebook e X. La misura, approvata dal Parlamento australiano nel novembre 2024 dopo un braccio di ferro con Big Tech, impone alle piattaforme di verificare l’età degli utenti e bloccare gli account dei minori, con multe fino a 50 milioni di dollari australiani (circa 32 milioni di dollari USA) in caso di violazioni.

Il governo australiano, guidato dal primo ministro Anthony Albanese, ha motivato la decisione con la necessità di proteggere i giovani da contenuti dannosi, algoritmi adattivi e impatti negativi sulla salute mentale, come la perdita di sonno e l’aumento di ansia e depressione. Albanese ha dichiarato che “i social media stanno causando danni ai nostri bambini” e che la legge mira a restituire ai giovani “tempo prezioso per la loro infanzia”. Maggiore flessibilità solo per YouTube, con un’esenzione parziale per i suoi contenuti educativi o l’uso supervisionato, di cui la norma riconosce il valore didattico.

La scorsa settimana è scattato il periodo di transizione di 12 mesi concesso ai social media per conformarsi, ma l’impatto immediato in Australia in questi primi giorni di applicazione è misto.

Molti adolescenti hanno aggirato il divieto rapidamente, utilizzando VPN, cioè sistemi che aggirano la localizzazione dell’utente, o account falsi. Una 13enne ha eluso i blocchi in meno di cinque minuti: è una caso aneddotico, che però mette in evidenza le difficoltà tecniche di implementazione del bando. I social sono stati inondati di post da utenti under-16 che vantavano di essere ancora online: un trend che mette in discussione l’efficacia della misura e, questo il rischio, può spingere i ragazzi a ribellarvisi in massa. Nelle ultime ore due adolescenti australiani hanno avviato una causa contro il governo Albanese. Sostengono l’incostituzionalità di un provvedimento che limiterebbe i loro diritti politici, impedendo il loro attivismo. Altri giovanissimi hanno recepito la legge come una misura paternalistica che interviene direttamente su socializzazione e libertà creativa.

Ma diversi genitori hanno descritto effetti positivi: un sondaggio del Guardian ha rivelato che la legge ha già avuto un “profondo effetto” su alcune famiglie, con bambini che dormono meglio e interagiscono di più offline. Allo stesso tempo, come sottolineato dai critici della misura, il divieto potrebbe isolare ulteriormente bambini vulnerabili, come quelli vittime di violenza domestica, neurodivergenti o con disabilità, che usano i social come unica rete di supporto. In Australia un tema è anche l’isolamento fisico in comunità remote, con un forte impatto sulla socializzazione.

L’approccio innovativo, molto avversato dalle piattaforme, è che la legge non punisce i minori o i loro genitori, ma solo le società di tech. Secondo la rivista di divulgazione scientifica Nature è anche un “esperimento naturale” per studiare gli effetti dell’esposizione ai social media sulla salute mentale dei giovanissimi.

Il bando australiano ha ravvivato il dibattito globale su questo tema.

Nel Regno Unito è stato recepito con enorme interesse, anche grazie all’attivismo organizzato di un movimento di genitori riuniti nella campagna per una Smartphone Free Childhood, che esercitano pressione sul governo per adottare misure simili, raccolgono migliaia di firme, argomentando che le piattaforme causano danni irreparabili ai giovani e intanto lavorano localmente per bandire i telefoni dalle scuole. Molti genitori britannici vedono l’Australia come un modello per contrastare l’epidemia di problemi mentali tra gli adolescenti, che riconducono ai contenuti tossici e alla dipendenza da scrolling riconducibile all’algoritmo.

Malgrado pressioni crescenti la posizione del governo britannico, guidato da Keir Starmer, resta molto cauta. Non ci sono piani immediati per un bando totale sotto i 16 anni, come confermato da un portavoce di Downing Street. La ministra della Cultura Lisa Nandy ha espresso critiche al modello australiano, definendolo potenzialmente “non applicabile” nel Regno Unito. In un’intervista su Good Morning Britain il 10 dicembre 2025, Nandy ha dichiarato: “Non abbiamo piani per copiare il divieto australiano, ma terremo d’occhio il suo successo. Se funziona, lo considereremmo certamente”. Ha enfatizzato che il governo preferisce collaborare con le tech company per migliorare la sicurezza, piuttosto che imporre divieti che potrebbero essere elusi. Nandy ha aggiunto: “Vogliamo dare pace mentale ai genitori, ma attraverso misure proporzionate”.

Il focus è sulla regolamentazione. L’Online Safety Act, entrato in vigore il 25 luglio 2025, obbliga le piattaforme a filtrare contenuti dannosi per i minori e a verificare l’età per materiale pornografico o violento. Ofcom, l’ente regolatore delle comunicazioni, ne supervisiona l’attuazione, ma diversi critici di questo approccio sottolineano la carenza di risorse per eventuali interventi sanzionatori.

Questa cautela riflette anche la strategia del governo britannico di mantenere rapporti collaborativi con le grandi piattaforme tecnologiche statunitensi, privilegiando il dialogo e la cooperazione volontaria rispetto a misure punitive. Il Regno Unito si distingue in questo dall’approccio dell’Unione Europea, che ha adottato una linea più rigida attraverso regolamentazioni come il Digital Services Act (DSA) e il Digital Markets Act (DMA), comminando multe miliardarie a giganti tech per violazioni della privacy, pratiche anticoncorrenziali e mancata conformità alle normative. In un quadro geopolitico di alleanza strettissima fra i Tech Bros e il governo Trump, l’Ue ha sanzionato ripetutamente aziende come Meta, Google e Apple, subendo ritorsioni commerciali, mentre Londra cerca di posizionarsi come un hub tech-friendly post-Brexit, bilanciando protezione e innovazione, e resta aperta agli investimenti delle società di Big Tech.

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