“Attenzione alle cellule zombie nel nostro cervello. Sono poche, ma molto cattive: non muoiono né guariscono, avvelenano il corpo”: parla Valter Longo

  • Postato il 30 giugno 2025
  • Salute
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Un particolare tipo di cellule si aggira nel nostro organismo. Sono cellule che non muoiono ma nemmeno vivono davvero. Smettono di moltiplicarsi a causa di danni o stress, non partecipano alla rigenerazione dei tessuti, ma restano lì: invecchiate, affaticate, e soprattutto con un potere infiammatorio. Gli scienziati le chiamano cellule senescenti, ma nel linguaggio pop sono diventate le “cellule zombie”, e hanno suscitato negli ultimi anni l’interesse della ricerca. Perché contribuiscono ai processi di invecchiamento e all’insorgenza di molte malattie croniche. Si è infatti scoperto che queste cellule senescenti secernono citochine e una serie di molecole che stimolano l’infiammazione; in condizioni di normalità questo processo viene tenuto sotto controllo dal sistema immunitario ma con l’età si innesca l’immunosenescenza, l’organismo diventa meno efficiente e attivo nel rimuovere efficacemente questi “zombie”.

Quante cellule zombie possiamo avere in circolo? “È la domanda che da 30 anni pongo ai colleghi della ricerca – spiega al FattoQuotidiano.it il professor Valter Longo, biologo molecolare, Direttore del l’Istituto di Longevità della University of Southern California-. Una cosa sembra abbastanza certa: non sono tante, ma sono particolarmente ‘cattive’ rispetto alle tradizionali ‘cellule invecchiate’ che sono le più diffuse. Queste ultime – continua l’esperto –sono cellule che hanno subito alterazioni strutturali o funzionali che compromettono il loro normale funzionamento, senza necessariamente diventare cellule tumorali. Possono essere danneggiate da infezioni, infiammazioni, tossine, stress ossidativo, o malattie degenerative. E si possono ancora moltiplicare. A differenza delle cellule tumorali, che si caratterizzano invece per una crescita incontrollata e spesso sfuggono ai normali meccanismi di morte cellulare, le cellule malate possono essere ancora soggette a controllo da parte dell’organismo, oppure andare incontro a morte programmata (apoptosi)”.

Farmaci allo studio
“I ricercatori della Clinica Mayo (Usa) stanno sperimentando su cavie animali la possibilità di ‘spegnere’ l’azione infiammatoria delle cellule senescenti, ma ancora non è chiaro se i risultati positivi finora raggiunti sono da attribuire alla capacità di stimolarne l’attività in modo funzionale all’organismo o perché sono state disattivate nell’azione infiammatoria. In attesa di capirne di più, le attuali soluzioni vincenti restano sempre quelle di seguire una dieta della longevità e programmi di mima digiuno”. Si tratta infatti di strategie ad ampio raggio – testate clinicamente in molti studi clinici ed epidemiologici – che possono ridurre i danni cellulari e i processi di infiammazione e degenerazione cellulare in grado di indebolire l’azione del nostro sistema immunitario.

Dieta per vivere a lungo
“La Dieta della Longevità si basa su un’alimentazione prevalentemente vegetale, con basso ma sufficiente apporto di proteine, integrata con pesce, e periodi di dieta mima-digiuno – continua Longo -. L’obiettivo è promuovere la salute e la longevità attraverso una nutrizione mirata e ciclica, con particolare attenzione alla scelta degli alimenti per promuovere la longevità, ma anche la forza e la funzione”. Tra i cibi che non dovrebbero mancare, ci ricorda il nostro esperto: olio d’oliva, noci, mandorle, legumi (come fonte principale di proteine), verdure e un po’ di frutta; ridurre o eliminare la carne rossa e limitare in ogni caso le proteine animali, gli zuccheri semplici, soprattutto prima dei 65-70 anni. Dopo, una dieta più simile a quella mediterranea può essere potenzialmente meno efficace ma più sicura perché più testata, ma anche utile per contrastar la fragilità degli anziani. Quindi, superata questa soglia di età, può fare bene aumentare il consumo di pesce, pollame, uova, frutta e latticini per prevenire la perdita di massa muscolare.

E la dieta mima digiuno? “Si tratta di un programma da seguire per 5 giorni, almeno due-tre volte all’anno, almeno fino a 70 anni nelle persone di peso normale, sovrappeso o obese, per favorire la rigenerazione cellulare e contrastare l’invecchiamento – chiarisce il biochimico -. Ed è basata su cibi vegetali, con un apporto calorico ridotto e un’attenzione particolare alla composizione nutrizionale che simula gli effetti del digiuno (carboidrati, grassi, proteine). In ogni caso, la dieta va seguita preferibilmente sotto la supervisione di un medico o nutrizionista”.

Camperemo più di 100 anni?
Gli studi sulle cellule zombie rilanciano il sogno di vivere sempre più a lungo, di ottenere l’opportunità per molti di andare oltre i 100 anni, e ancora più. “Nel futuro è probabile che ci saranno due categorie di persone nel mondo. Una, composta dal 10 o forse 20% della popolazione mondiale cui fanno parte le nuove generazioni, sempre più attente alla salute, alla qualità del cibo, a quello che raccomandano i veri esperti. Questi individui potranno probabilmente avere una speranza di vita in media di 15-20 anni superiore a quella attuale e arrivare all’età di 70-75 anni senza soffrire di una patologia – sottolinea Longo –. il resto purtroppo rischia di diventare come è oggi il 75% della popolazione americana: obesa, sovrappeso, sofferente di più malattie croniche e dipendente da cocktail di farmaci”.

A prima vista questa tendenza potrebbe essere legata a un problema di accesso a un cibo migliore per mancanze di risorse economiche. “Le cose non stanno proprio così – continua l’esperto – se insegniamo alle persone a cercare buon cibo nei mercati dove vendono all’ingrosso verdura mista surgelata, nelle vendite dirette dai contadini, dove reperire alimenti anche biologici a prezzi molto contenuti; e ancora, a sapere mangiare con cibo semplice, legumi magari già pronti, i benefici – seppur attraverso un processo non semplicissimo – si possono ottenere anche nelle classi sociali più svantaggiate. Infatti, quasi tutti i centenari che ho incontrato erano contadini o pastori”. È un problema quindi culturale? “Non solo, è legato alla formazione di una classe medica e di nutrizionisti che sappia dare indicazioni dietetiche corrette. Andrebbe quindi fatto un grande investimento in questa direzione – conclude Longo -, oggi abbiamo pochissimi professionisti capaci di sapere orientare le persone dal punto di vista nutrizionale. È un lavoro molto più complesso di quello che sembra ”.

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