Aspettando l’esecuzione in una cella di lusso, con libera passeggiata in giardino
- Postato il 8 ottobre 2025
- Di Il Foglio
- 1 Visualizzazioni

Aspettando l’esecuzione in una cella di lusso, con libera passeggiata in giardino
Serëza, perché sei triste? Stai solo andando a farti ammazzare. Povero Serëza, glielo dicono tutti. Poliziotti, giudici, preti, anziani colleghi. E la moglie. “Datti una calmata”, sbuffa Sveta in faccia allo sconforto del marito. “Prima o poi moriremo tutti. Non fare questa sceneggiata da personaggio della letteratura mondiale”. Sveta se ne sta sempre incollata al portatile. E’ insegnante come lui, professore associato di Arte e Cultura contemporanea all’università di Mosca. Ed è un’invelenita portatrice di corna. “Credevo di aver sposato un Charms, e invece…”. Invece Serëza non ha mostrato alcun talento, se non quello di averla tradita con una minorenne, per questo si è meritato la condanna a morte. Che consiste nell’essere ospitato in una cella a cinque stelle. Con la possibilità di passeggiata mattutina in un ameno giardinetto, per accedere al quale il condannato oltrepassa un corridoio nel quale potrebbe avvenire l’esecuzione, a mezzo mitragliatrice. Quando? Non si sa. Potrebbe accadere in ogni momento. Dopo settimane. Dopo mesi. Dopo anni. Anche subito. Non il primo giorno, come riveleranno a Serëza. Tortura cruentissima.
“Il nostro intero racconto si baserà tutto sull’osservazione di quest’uomo”, scrive Dmitrij Danilov, autore di Ciao, Saša (Voland, 182 pp., 18 euro). “Avrà una cinepresa puntata addosso e noi lo osserveremo”. E dunque osserviamola, per ottantadue scene, quest’anima in pena che la pena non può esternare senza incappare nella sbrigativa sottovalutazione di tutti – e intanto ha puntata una mitragliatrice e la cinepresa dell’autore (tremende entrambe). Ma non sono i sottovalutatori a essere senza cuore, è il mondo che va così, per lo meno in questa Russia che la bandella dell’editore si guarda bene dal definire “distopica”, e gliene siamo grati quanto non si può nemmeno immaginare. Meno ai troppi Cesare Garboli da tastiera, tutti accalcati attorno a una definizione odiosa e qui del tutto inadeguata: non solo perché la Russia è la Russia e chi la conosce sa bene che ogni cosa potrebbe accadere – e infatti è accaduta, per esempio a marzo 2022 abbiamo visto arrestare persone che reggevano cartelli bianchi con su scritto niente o con le parole “due parole” – ma perché l’intenzione del narratore è, da principio e dichiaratamente, realistica.
Certo, trattasi di parodia del realismo in favore di un grottesco antiteticamente accentuato dal tono documentaristico e spesso comicamente spiccio (molte descrizioni vengono saltate con l’asta, al grido di “non staremo qui a descrivere gesto per gesto” o liquidate con “segue una sfilza di parole che potrebbero fondersi in un ammasso scuro”, mentre a volte l’autore si sofferma con dovizia su dettagli apparentemente insignificanti come “slacciarsi le scarpe appena rientrato a casa”) ma è sempre chiarissimo l’obiettivo di trasfigurare ogni accadimento in modo che ogni fatto penzoli sullo strapiombo di un assurdo di cui si riferisce sempre senza increspature, con spersonalizzata imparzialità. Assurdo e spersonalizzato anche chi racconta, dalle cui labbra beffarde i lettori pendono.
Ed è un bel pendere, seppure all’inizio ci voglia un po’ a sintonizzarsi, soprattutto se si hanno impressi nella mente antecedenti cui è inevitabile riferirsi, da Dostoevskij a Šalamov, da Zazubrin a Victor Hugo. Qui invece la scrittura sembra rotolar via con eccessi di disinvoltura, sembra volare senza incagliarsi – come invece il lettore vorrebbe – in un’analisi più approfondita degli stati d’animo. Poi però, pagina dopo pagina, si capisce che questo è il modo migliore per raccontare altro: la “sparizione”, il dileguamento dell’umano. Per fare un passo ulteriore rispetto ai predecessori letterari e illuminare il paradosso tragico di un Paese canaglia coi propri cittadini, mostruoso da sempre, fosco e spaventoso, che ha finito col rendere ciniche anche le vittime, ossia tutti coloro che in galera non ci sono finiti – che non ci sono finiti ancora. Qui nessuno esiste. Fino a notizia di reato.