Artisti prima di noi: nuove prove dalle grotte dei Neanderthal

  • Postato il 5 dicembre 2024
  • Di Il Foglio
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Artisti prima di noi: nuove prove dalle grotte dei Neanderthal

E se i Neanderthal fossero stati i primi artisti dell'umanità? Da tempo, questa ipotesi è stata sollevata sulla base della nuova tecnica di datazione di pitture rupestri basata sulla datazione mediante uranio e torio (U-Th), che indica come le mani e i disegni astratti raffigurati sulle pareti di tre grotte potrebbero risalire a 65.000 anni fa, cioè 25.000 anni prima dell'arrivo del primo Homo sapiens nella penisola iberica. Una certa quantità di dati aggiuntivi supporta l'ipotesi che i Neanderthal possano aver avuto capacità artistiche. Ad esempio, tracce di pigmenti in una conchiglia sono state datate a 115.000 anni fa, mentre disegni di impronte di mani nella Grotte des Merveilles, Rocamadour (Francia sud-occidentale) si ritiene abbiano tra 50.000 e 70.000 anni - un'età compatibile con la presenza dei Neanderthal. 

 

Ebbene, sono state appena pubblicate nuove prove indipendenti che rinforzano la presenza di artisti fra i Neanderthal. In un nuovo studio, la Cueva de Maltravieso, situata in Estremadura, Spagna, emerge come uno dei luoghi chiave per esplorare questa possibilità. Con oltre sessanta stencil di mani, la grotta è uno dei più ricchi repertori di motivi paleolitici in Europa, e recenti analisi condotte mediante datazione U-Th hanno rivelato età minime dei pigmenti che si spingono fino a 66.7 mila anni fa. Questo risultato implica di nuovo che almeno alcune di queste opere siano state realizzate ben prima dell’arrivo di Homo sapiens nella regione, lasciando ai Neanderthal un ruolo esclusivo nella loro creazione. Il dogma secondo cui solo Homo sapiens potesse essere artefice di un’espressione simbolica complessa viene quindi nuovamente messo in discussione da dati oggettivi, non senza implicazioni profonde.

  

Se i Neanderthal furono gli autori di questi motivi, come suggeriscono i dati, dobbiamo ridefinire la loro posizione nella nostra storia evolutiva. Almeno alcuni componenti di quella specie erano evidentemente individui capaci di introspezione, creatività e forse di pensiero simbolico. Gli stencil delle mani, spesso creati soffiando pigmenti sulla superficie della roccia, possono sembrare semplici nella loro esecuzione tecnica, ma la loro collocazione e distribuzione raccontano una storia più complessa. Molte di queste opere si trovano infatti in profondità nelle grotte, in luoghi difficilmente accessibili e lontani dalla luce naturale. Questo suggerisce una motivazione rituale o simbolica, piuttosto che un semplice gesto decorativo. La presenza di motivi artistici in luoghi nascosti all’interno della grotta indica una comprensione spaziale e una volontà deliberata di collocare queste opere in punti non immediatamente visibili. Questo tipo di scelta artistica solleva domande sul ruolo delle grotte nella vita dei Neanderthal: erano semplici rifugi, o piuttosto spazi sacri, dove si svolgevano attività culturali, simboliche o addirittura spirituali? Le similitudini con altre evidenze archeologiche, come la struttura di stalagmiti nella grotta di Bruniquel in Francia, suggeriscono che i Neanderthal non solo frequentassero regolarmente ambienti sotterranei, ma attribuissero loro un significato che andava oltre la pura sopravvivenza.

 

Le analisi dei pigmenti aggiungono ulteriori dettagli a questo quadro. Mentre alcuni stencil presentano pigmenti di ematite pura, altri utilizzano combinazioni più complesse di minerali come magnetite e manganese, suggerendo una sequenza temporale di applicazioni. Questa stratificazione artistica potrebbe indicare che le grotte come Maltravieso furono utilizzate come spazi creativi e culturali per periodi molto lunghi, attraversando potenzialmente diverse generazioni di Neanderthal e, forse, successivamente di Homo sapiens.

 

Riflettere sull'origine dell'arte ci conduce anche a esplorare il significato del gesto artistico stesso. Gli stencil di mani sono un ponte simbolico tra figurativo e non figurativo, un confine che i Neanderthal sembrano aver attraversato. Da una parte, la mano rappresenta un oggetto reale, immediatamente riconoscibile; dall’altra, l’atto di proiettare un’immagine della propria mano sulla roccia introduce un elemento di astrazione e intenzionalità. Questo gesto, sebbene semplice nella sua esecuzione, racchiude una complessità concettuale straordinaria: non solo vedere, ma rappresentare, comunicare, lasciare una traccia tangibile di sé. È quindi ugualmente possibile che queste mani rappresentassero una firma individuale, un segno di appartenenza a un gruppo, o fossero parte di un rituale il cui significato ci sfugge, e non fossero solo elementi decorativi; potrebbe anche darsi che tutti questi ruoli fossero svolti in sovrapposizione.

 

Per troppo tempo, i Neanderthal sono stati descritti come privi della capacità di astrazione e simbolismo, attributi considerati esclusivi di Homo sapiens. Ma se accettiamo che queste opere siano loro, dobbiamo riconoscere che anche i Neanderthal erano partecipanti attivi nella creazione di una cultura visiva, che si avvaleva dello stesso tipo di rappresentazioni della nostra specie, e che dunque la linea che separa il "noi" da "loro" è molto più sfumata di quanto si pensasse. 

 

Quella linea, in particolare, sarebbe continuata indisturbata e in parallelo in almeno due specie – la loro e la nostra – proseguendo anche oltre l’estinzione dei Neanderthal: stencil di mani e rappresentazioni di mani nelle grotte a opera della nostra specie sono note in ogni angolo di mondo, fino a tempi relativamente recenti.

 

Questi risultati ci invitano a ripensare il concetto stesso di umanità, non più legato esclusivamente alla nostra specie, ma a un insieme di capacità condivise e distribuite lungo il nostro albero evolutivo. L’arte, in questo senso, diventa non solo un prodotto di Homo sapiens, ma un linguaggio ampiamente diffuso e persino, in certe sue manifestazioni, condiviso fra specie che affondano le loro radici molto più indietro di quanto si pensasse.

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Autore
Il Foglio

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