Armel Bella-Kotchap non è solo un difensore da muscoli e distintivo
- Postato il 3 novembre 2025
- Di Il Foglio
- 2 Visualizzazioni
Armel Bella-Kotchap non è solo un difensore da muscoli e distintivo
In estate, la categoria rocciosi difensori centrali della Serie A, aveva annoverato l’ingresso di Armel Bella-Kotchap, marcantonio tedesco da 190 centimetri e quasi 90 chili di muscoli acquistato in prestito con l’immancabile diritto di riscatto dall’Hellas Verona alla ricerca disperata di qualcuno che potesse sostituire i partenti, e assai ben pagati, Diego Coppola e Daniele Ghilardi.
Come quasi sempre accade a Verona, in pochi erano a conoscenza di chi fosse il nuovo arrivato, quasi nessuno l’aveva visto giocare, anche perché nelle precedenti due stagioni il tedesco nato a Parigi aveva giocato ben poco: 355 minuti tra Premier League e coppe con il Southampton nell’annata 2024-2025, 457 minuti tra Eredivisie, coppa nazionale e Champions League l’anno precedente con il Psv.
Sean Sogliano, il direttore sportivo dell’Hellas Verona, però è uomo che non ha bisogno di decine di ore di gioco per capire il valore di un giocatore e ha deciso di puntare su quel ragazzone che prometteva assai bene – due presenze in Nazionale a ventun anni – ma che si era ritrovato a sedersi tra panchina e tribuna un po’ troppo spesso.
In Inghilterra lo avevano descritto un po’ fragile emotivamente, fisicamente e non del tutto dedito alla vita da atleta. Per questo non giocava mai.
Verona sembra fargli bene. E anche se l’Hellas vivacchia in zona retrocessione, non ha ancora vinto una partita e ha la peggior difesa del campionato, Armel Bella-Kotchap ha, da quando è stato inserito nella formazione titolare da Paolo Zanetti, fatto dannare Gianluca Gaetano, Zito Luvumbu, Assane Diao e, soprattutto, Lautaro Martínez che nonostante i 118 gol alle spalle in Serie A, a un certo punto della partita contro i gialloblù ha iniziato a fare di tutto pur di stargli lontano.
Perché pur rientrando nella categoria rocciosi difensori centrali, Armel Bella-Kotchap ha fatto capire di non essere solo un difensore da muscoli e distintivo, bensì calciatore assai mobile, per niente macchinoso, senz’altro non velocissimo, ma capace di sopperire ai difetti di accelerazione con la capacità di stare in campo. E soprattutto ha dimostrato di avere la sempre più rara abilità di non fare altro che quello che serve fare: ossia pensare a difendere e farlo nel migliore dei modi. Perché se al Southampton prima Russell Martin e poi Ivan Jurić chiedevano a un centrale difensivo di fare il regista e agli altri due di fare i laterali interni (a dire di Russell Martin), Paolo Zanetti gli chiede soltanto di fare il difensore. E lui difendere è quello che sa fare e ha sempre fatto.
Così è tornato in campo a cercare di rendere la vita difficile, a volte impossibile, a chi si trova nelle sue zone, utilizzando il fisico come repellente per gli attaccanti. Il resto è un gioco di attenzione per ridurre al minimo la possibilità di errore. Il modo migliore per riportare in auge il vecchio principio di Helmut Schön, il commissario tecnico che guidò la Nazionale dell’Ovest alla vittoria dell’Europeo del 1972 e del Mondiale del 1974, del “i difensori giochino facile, che se si mettono a giocar difficile iniziano i guai”.
Anche quest'anno c'è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all'aperitivo. Qui potete leggere tutti gli altri ritratti.
Continua a leggere...