Anarcocrazia

  • Postato il 9 ottobre 2024
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  • Di Il Vostro Giornale
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Generico ottobre 2024

“Il governo dell’uomo da parte dell’uomo, sotto qualsivoglia nome si mascheri, è oppressione; la più alta perfezione della società si trova nell’unione dell’ordine e dell’anarchia” afferma Pierre-Joseph Proudhon noto pensatore libertario vissuto in Francia nel XIX secolo. Un secolo dopo ribadisce in altra forma questo concetto lo scrittore ambientalista statunitense Edward Abbey: “L’anarchia è fondata sull’osservazione che dato che pochi uomini sono saggi abbastanza da governare se stessi ancor meno uomini sono saggi abbastanza da governare gli altri.” Al di là del malcelato pessimismo che abita le parole di Abbey, è chiaro che si presenta un problema: è possibile allora dare vita a una qualsivoglia utile e positiva forma di governo? Mi tornano alla mente le parole di Papa Francesco, che comunque riecheggiano un tormentone ricorrente nella vulgata popolare, non ci resta che affidarci al “menopeggio”. Questa resa alla mediocrità e alla decadenza inevitabile di ogni struttura di gestione del “sistema umanità” non è, però, cifra appartenente alla cultura anarchica più alta che, fondandosi sulla centralità dell’individuo e sulla fede nelle qualità solidali e intellettive della specie, conserva una profonda fiducia e una ostinata speranza in un futuro nel quale sarà possibile una libera e pacifica convivenza delle differenze. In altre parole: “l’unione dell’ordine e dell’anarchia”. Il concetto espresso da Proudhon richiede un approfondimento relativamente al controverso territorio che funge da cerniera ideologica tra l’idea convenzionale di ordine e quella, spesso confusa, di anarchia. La cerniera che avvicina e rende reciprocamente funzionale ambiti apparentemente contrapposti va riscoperta e tutelata all’interno delle singolarità di individui liberati, uomini e donne che si riconoscono e si rispettano come tali a prescindere da ruoli, condizioni economiche, etnie e fedi: utopia? Forse, ma la storia procede solo grazie a chi crede in ciò che, al momento, appare come utopia, altrimenti è sclerotizzazione del pensiero e morte dell’intelligenza.

Provi l’attento lettore a immaginare cosa avrebbero affermato le “sagge maggioranze” a chi, alla metà del 700, avesse teorizzato l’eliminazione della monarchia assoluta e la nascita di uno stato democratico: utopia! Con tutti i limiti e le contraddizioni della rivoluzione americana e francese, una simile utopia è divenuta “normalità” anche se non ha risolto completamente il problema accennato in apertura al quale subito torniamo. Credo sia evidente a tutti che sostenere la tesi di un potere anarchico possa apparire una sorta di ossimoro concettuale, ma, proprio nel solco di un pensiero libero, pertanto profondamente anarchico, vorrei provare anche se molto brevemente a tratteggiarlo. Se per potere non intendiamo la violenta prevaricazione di qualcuno su un suo simile ma la forza interiore e il diritto naturale che caratterizza ogni “animale che pensa”, ecco che il mostro malevolo si trasforma nello sguardo dell’uomo consapevole di sé. Il potere viene così rivisitato come “possibilità e capacità di” e come diritto di esplicitare tale potenzialità. Quella che Proudhon definisce organizzazione diviene così la reciproca garanzia del rispetto delle peculiarità proprie e dell’altro sancite da una “cultura dell’individuo” che non è espressione del sistema ma del “diritto naturale del singolo” che non deve essere inculcato nell’uomo dallo stato ma, al contrario, deve essere cifra fondativa dello stato come servitore dell’individuo. Si tratta di rimettere il cammino della storia con i piedi per terra e la testa sulle spalle, che è l’unica vera, assoluta e pacifica rivoluzione anarchica che ben poco ha a che vedere con le tristi esibizioni di violenza espresse da persone che nulla hanno a che fare con il più libero e profondo pensiero anarchico.

Il concetto di “anarchia come assenza di potere” non è corretto se non chiarito: si nega il concetto convenzionale di potere per riscoprirlo nella sua natura più libera, cioè espressione di un sé che non vuole aggredire chi riconosce come depositario dei medesimi diritti. Lo so, di certo c’è chi sorridendo si chiede: “Ma se l’altro non mi rispetta e vuole imporre il suo potere?”, ne sono consapevole, vivo in questa realtà, ma l’altrettanto ovvia interrogazione speculare sarà: “La mia violenza ed eventuale imposizione della mia volontà potrebbe risolvere la questione?” In questa logica si rientrerebbe nello schema di ogni dittatura che, da Robespierre a Stalin, solo per citare due esempi apparentemente distanti, ha sostenuto più o meno consapevolmente la teoria marxiana espressa nella pur illuminata Critica del programma di Gotha e che non possiamo sviscerare in questa sede ma che, sinteticamente, trova risposta nelle parole di Errico Malatesta:” Fare il comunismo prima dell’anarchia, cioè prima di avere conquistata la completa libertà politica ed economica, significherebbe (come è significato in Russia) stabilire la più esosa tirannia, tale da far rimpiangere il regime borghese, e ritornare poi (come purtroppo si ritornerà in Russia) al regime capitalistico”. Quanta lungimiranza nel pensiero di Malatesta, le sue osservazioni hanno tristemente avuto riscontro un secolo dopo la loro formulazione! Ma infine, com’è possibile quello che si può indicare come anarcocrazia? Sarà imprescindibile che ogni individuo sia in grado di governare se stesso così da non aver bisogno di un potere che lo controlli e lo prevarichi ma solo di un sistema organizzato che gli sia utile, funzionale ad agevolarne la soddisfazione di bisogni che il singolo faticherebbe a realizzare se non grazie alla collettività solidale.

Lo so, da un lato sembra un’utopia, dall’altro una rivisitazione dell’imposizione dittatoriale che, una volta condizionato l’individuo al pensiero unico, può restituirgli il pensiero individuale in quanto oramai omogenizzato e asservito allo stato, ma non è di questo che si tratta. Mi riferisco a un’azione di transvalutazione di tutti i valori, come affermerebbe Nietzsche, che sia espressione di quella libera volontà di potenza che affonda le radici nel pensiero di Spinoza, Schopenhauer, Emerson e nell’oltreuomo di Nietzsche, appunto. L’uomo liberato, non per azione dell’autorità, ma attraverso la cultura e l’espressione di un sé che non è quello falso consentito nel “ sistema dei bisogni e del potere”, non si riconosce nelle gerarchie, solo convenzionali e strumentali, ma nell’auto-crescita creativa, liberata dal compenso, al servizio della felicità individuale e collettiva, sollevata sopra all’asfittica logica dell’egoismo e dell’auto celebrazione come prevaricazione sull’altro e, di conseguenza, sul sé più vero. Il potere, davanti al quale tutte le ideologie si inginocchiano fino a divinizzarlo nello stato hegeliano, ritorna così in ogni individuo che non ha più urgenza di sapersi attraverso un ruolo di “potere” che si trasformerebbe in un “servizio”. L’arrampicarsi di scimmie malevoli sul “trono del potere appoggiato sul fango”, non può riguardare l’uomo liberato che potrà osservare, seduto sulla collina erbosa in compagnia di esseri umani, il trono stesso essere inghiottito dalla palude della storia del potere e con esso tutte le scimmie che lottano per raggiungerne lo scranno. Il problema non sarebbe più la legittimazione, in una qualsiasi forma, del potere assegnato o conquistato da qualcuno per poi esercitarlo sugli altri, ma la capacità di annichilire un simile orrore da parte di oltreuomini che sapranno svuotarlo di valore proprio perché non lo ambiscono. Il potere esiste come mostro vorace poiché milioni di mediocri lo desiderano per poter sapersi qualcosa, ma esseri umani liberati e risolti lo svuoteranno da dentro transvalutandolo da padrone a servo dell’uomo. Credo sia chiaro, infine, che anarcocrazia non sia un riappropriarsi del potere fuori di noi, nelle sue ingannevoli forme istituzionalizzate, poiché ogni conquista diverrebbe riconoscimento dello stesso e sconfitta dell’uomo, ma un luminoso peana celebrativo dell’uomo nuovo.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì.
Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli.

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