Altro che Ucraina: sul piatto del summit tra Starmer e Trump ci sarebbero anche gli accordi su Tech e Intelligenza artificiale

  • Postato il 28 febbraio 2025
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L’attesissima visita ufficiale di Keir Starmer a Donald Trump è commentata dagli analisti come un notevole successo del primo ministro britannico: ha ottenuto non scontate attestazioni di stima e promesse di collaborazione unendo una preparazione maniacale a un approccio morbidissimo.

You catch more flies with honey than with vinegar, dice il proverbio: con ego come quello di Donald Trump, si ottiene di più blandendone la vanità. Il re Carlo è evidentemente d’accordo: la presentazione in pubblico, all’inizio della visita nello Studio Ovale, dell’invito a una seconda visita ufficiale a Palazzo reale, e perfino nel contesto più privato del castello di Balmoral, ha raggiunto lo scopo. È un onore senza precedenti, e una astutissima mossa diplomatica: la vanità di Trump ne è stata palesemente deliziata.

Ma al netto del bromance, cosa ha ottenuto Starmer di concreto? Su Ucraina e Nato, niente di nuovo, se non le stesse promesse in un pacchetto infiocchettato. L’unica vera notizia uscita dall’incontro di ieri riguarda un accordo Usa/Uk su Tech e Intelligenza Artificiale. Ed è una grossa notizia, su cui soffermarsi, perché riflette la determinazione di Starmer di posizionare il suo Paese, lo scrive Bloomberg, come hub europeo per i centri dati dello società americane di tech. Al di fuori dei ‘limiti”, anche dette garanzie democratiche, della regolamentazione dell’Ue contro cui, non a caso, ieri in conferenza stampa Trump ha tuonato, e che pare essere uno dei moventi della minaccia trumpiana di imporre dazi al 25% sulle importazioni europee. Un gioco al massacro da cui Starmer cerca di tirarsi fuori.

Il Regno Unito, o meglio Londra e pochi centri universitari e di ricerca, sono fra le avanguardie europee per ricerca e innovazione grazie alla capacità di attrarre talenti e risorse. Una capacità superiore a quella di altri Paesi, grazie a un mix di lingua passepartout, semplificazione burocratica, pragmatismo, velocità di attuazione, internazionalismo. Questa tradizione è stata portata avanti da diversi governi, e sull’intelligenza artificiale l’accelerazione è stata data dall’ex primo ministro conservatore Rishi Sunak, che nell’ottobre 2023 ha organizzato un po’ di corsa il primo AI Safety Summit, occasione per creare rapporto con i proprietari delle principali aziende di IA Usa, da Sam Altman di Open AI a Dario Amodei di Anthropic a Elon Musk. Con l’occasione Sunak lanciò una AI task force nel cuore di Whitehall, affidata al talentuoso Mark Clifford.

È lo stesso Clifford che, come abbiamo raccontato, settimane fa ha lanciato l’AI Opportunities Action Plan, basato sulla creazione di centri dati in collaborazione con l’industria privata: il primo ministro Keir Starmer condivide con il suo predecessore Rishi Sunak la convinzione che l’intelligenza artificiale vada sfruttata come volano di crescita, anche perché fermarla o contenerla sarebbe ormai illusorio.

Ma la penetrazione di società di tech USA, sia nella pubblica amministrazione che in settori ampi dell’industria culturale britannica, è già un fatto.

L’esempio più clamoroso, e il più contestato, è il maxi contratto da 480 milioni fra l’NHS e la società di Peter Thiel Palantir, colosso della difesa e della sorveglianza, per gestire il coordinamento dell’immensa mole di dati del sistema sanitario. Appalto del 2023, agli sgoccioli dell’era conservatrice, contro il quale si è attivata una campagna di boicottaggio ampiamente condivisa dalla società civile ma che non ha fermato il contratto.

Ma c’è un altro settore altrettanto vitale per la società britannica e sotto attacco proprio in questi giorni, sotto la supervisione del governo laburista: quello delle industrie creative, dai musicisti agli artisti ai giornalisti, ovvero tutte le categorie il cui lavoro è protetto dalla ferrea legge britannica sul copyright. Cosa mette sul piatto il governo Starmer, per ammorbidire l’ingombrante alleato americano ora che nel sancta sanctorum di Trump sono entrati i giganti tech? La proposta di una deroga alla legge sul copyright che consentirebbe alle società di AI di utilizzare gratis e senza vincoli tutto il patrimonio creativo made in UK, dagli articoli giornalistici alla musica alle arti, per addestrare i propri modelli linguistici, cioè il fondamento dell’intelligenza artificiale offerta al pubblico. Quella mole di sapere che consente a ChatGPT, Grok o simili di creare articoli o immagini finora create da umani.

Unica via di uscita: una opzione di opt out considerata irrealistica dai detrattori, che protestano evidenziando come l’approvazione della deroga sarebbe un passo fatale per la comunità dei creativi, già per la grande maggioranza messi ai margini da dinamiche di sfruttamento. Anche su questo c’è una mobilitazione in corso: la campagna Make it fAIr, che giorni fa ha comprato le prime pagine dei principali quotidiani denunciando il rischio per un comparto da 120 miliardi l’anno. La domanda: “L’intelligenza artificiale sfrutta la creatività umana?”. Non è il momento che i creativi abbiano la loro parte?

Fra i firmatari, i maggiori gruppi e associazioni editoriali, musicali e artistici: giorni fa la campagna a cui partecipano fra gli altri di Kate Bush, Annie Lennox, Damon Albarn e Paul McCartney, ha rilasciato un album ‘muto’, intitolato Is it what we want? (È quello che vogliamo?) di registrazioni di studi vuoti, silenzi, palchi deserti: la musica senza musica. La battaglia è anche in Parlamento, con l’eroica resistenza della Baronessa Kidron che accusa apertamente il governo di favorire Big Tech contro gli interessi dell’industria culturale Brit.

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Il Fatto Quotidiano

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