Altro che Siria amica, la Turchia scopre che il nuovo governo crea più grattacapi del regime di Assad

  • Postato il 12 settembre 2025
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Quando il dittatore siriano Bashar al-Assad fu rovesciato alla fine dello scorso anno, grazie soprattutto alla confinante Turchia, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan pensó di aver risolto molti dei problemi che per oltre un decennio lo avevano assillato: milioni di rifugiati siriani che avevano messo a dura prova la politica interna, milizie curde sostenute dagli Stati Uniti e da Israele lungo il confine e un campo di battaglia dominato dall’influenza russa e iraniana che lasciava Ankara esposta ai capricci di Mosca e Teheran. La caduta di Assad sembrava promettere sollievo su tutti i fronti, e non poteva arrivare in un momento migliore. Erdogan e i suoi alleati ultranazionalisti avevano appena riaperto il dialogo con il leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) Abdullah Öcalan per assicurarsi il sostegno del partito filo-curdo in parlamento, una manovra volta a spianare la strada alla rielezione di Erdogan nel 2028. Indebolire l’ala siriana del PKK avrebbe aumentato le probabilità di una svolta nel dialogo con Öcalan.

Il calcolo di Ankara era che, con un governo amico a Damasco, la Turchia avrebbe potuto rimodellare la Siria a proprio piacimento. Otto mesi dopo, tuttavia, il panorama post-Assad ha prodotto l’effetto opposto: una Siria che sta creando ad Ankara grattacapi ben più gravi di quelli che Assad stesso avesse mai creato. Israele è rapidamente emerso come la più grande sfida per Ankara nella Siria post-Assad. Diffidente nei confronti del presidente ad interim Ahmed al-Sharaa a causa del suo passato jihadista, Israele non ha perso tempo a espandere la propria presenza dopo il crollo del vecchio regime.

Meno di un giorno dopo la caduta di Assad, le forze israeliane si sono spinte oltre le alture del Golan, territorio conquistato durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967, prendendo il controllo delle fortificazioni abbandonate dell’esercito siriano. Nel giro di 10 giorni, l’aviazione israeliana ha bombardato centinaia di obiettivi in tutta la Siria. Sul terreno, le sue forze armate si sono insinuate per almeno 12 chilometri (7,5 miglia) nel territorio siriano, creando nove avamposti, asfaltando strade e posizionando campi minati. Israele definisce queste mosse come difensive, necessarie per prevenire le minacce jihadiste e proteggere le minoranze vulnerabili, leggasi i drusi suoi alleati. Ankara vede qualcos’altro: un’avanzata israeliana che destabilizza la fragile nuova Siria e mina il processo di pace avviato da Erdogan con il PKK.

Il disagio della Turchia per le azioni di Israele in Siria riflette una più profonda preoccupazione per l’emergere di Israele come potenza militare egemone nella regione. Dagli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, Israele ha ampliato il suo raggio d’azione, attaccando l’Iran e i suoi alleati, consolidando la sua presenza negli stati confinanti e, più recentemente, colpendo l’alleato regionale della Turchia, il Qatar. Per Ankara, tuttavia, l’indebolimento di Teheran è uno sviluppo positivo, ma la posizione sempre più sfrenata di Israele non lo è. Ora, con alcuni commentatori israeliani che avvertono che la Turchia è “il nuovo Iran” e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che promette di impedire la rinascita dell’Impero Ottomano, la minaccia ha iniziato a farsi sentire più concretamente.

La preoccupazione turca affonda le sue radici anche in un cambiamento strutturale: a differenza degli anni ’90, Israele non ha più bisogno della Turchia. All’epoca, i due paesi avevano stretto un partenariato strategico contro nemici comuni – Iran e Siria – culminato nello storico accordo di cooperazione militare del 1996. Israele aveva modernizzato la flotta aerea turca, trasferito tecnologia missilistica avanzata e condiviso informazioni di intelligence, mentre la Turchia aveva conferito a Israele una rara legittimità in un’area musulmana storicamente ostile, la copertura della NATO e un ponte verso l’Europa.

Ma oggi Israele ha costantemente ridotto la propria dipendenza da Ankara, sia in ambito difensivo che diplomatico ed energetico. Israele ha sostituito la Turchia con Cipro e Grecia, stringendo stretti legami militari e diplomatici. All’interno dell’Unione Europea, entrambi questi stati membri ( Cipro è entrato nella Ue nel 2004, esclusa la zona settentrionale chiamata Repubblica di Cipro del Nord nata in seguito al golpe sostenuto dalla Turchia negli anni ‘70 e non riconosciuta dall’Onu come entità statuale) ora fungono da portavoce di Israele nei momenti di tensione, soprattutto sulla questione palestinese. Militarmente, esercitazioni navali e aeree congiunte con Nicosia e Atene hanno colmato il vuoto lasciato dal crollo della cooperazione di difesa tra Israele e Turchia.

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Il Fatto Quotidiano

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