Alleanze di ferro, interessi economici e opportunismo: a Pechino Xi Jinping ha presentato il blocco alternativo all’Occidente
- Postato il 4 settembre 2025
- Mondo
- Di Il Fatto Quotidiano
- 3 Visualizzazioni
.png)
Ad assistere al lento ma inesorabile sfilare della potenza militare cinese durante la parata che, a Pechino, ha commemorato gli 80 anni dalla vittoria sul Giappone e la fine della Seconda Guerra Mondiale, c’erano i leader di numerosi Paesi. Accorsi in Piazza Tienanmen per entrare nelle fotografie che, stando alla retorica del Partito Comunista Cinese, hanno sancito la nascita di un fronte alternativo a quello occidentale guidato con mano tutt’altro che ferma dal presidente statunitense Donald Trump. L’evento oltretutto può anche essere letto come la versione militare dell’intesa politica sancita durante il summit della Shanghai Cooperation Organization (SCO), tenutosi poche ore prima nella città di Tianjin, snodo logistico di vitale importanza a circa cento chilometri dalla capitale cinese.
Uno sguardo più accurato alle presenze di Pechino permette di delineare meglio i contorni diplomatici della presa della Repubblica Popolare. Ovviamente non poteva mancare il presidente russo Vladimir Putin, che gongola per la legittimazione politica ottenuta e per essere riuscito a sbloccare l’accordo con Xi Jinping per la realizzazione del gasdotto Power of Siberia 2, che consentirà a Mosca di aumentare le esportazioni di gas naturale verso il gigante asiatico. Altrettanto scontata era la presenza del leader nord-coreano Kim Jong-Un, che deve la sopravvivenza del suo regime al sostegno cinese e che è molto vicino al Cremlino, grazie anche all’aver inviato più di 10mila soldati sul fronte ucraino. La sua sopravvivenza fisica la deve invece ai suoi meticolosissimi assistenti che sono stati visti ripulire con grande cura ogni superficie che ha toccato per evitare l’eventuale utilizzo del suo materiale genetico da parte di servizi segreti nemici.
I presidenti delle cinque repubbliche centroasiatiche si sono trattenuti in Cina dopo l’incontro della SCO e non poteva essere altrimenti. La loro intesa politica con Xi Jinping è infatti totale e la cooperazione tocca numerosi comparti strategici, tra cui quelli minerario, logistico e tecnologico. Non manca, va detto, un certo grado di opportunismo. Prova ne è ad esempio il tour che non più tardi della settimana scorsa ha compiuto in Kazakistan e Uzbekistan il ministro degli Esteri del Giappone, non certo un Paese allineato alla posizione cinese. Lo stesso ragionamento a base di opportunismo si può fare per il Pakistan. Il primo ministro Shebhaz Sharif sta conducendo il proprio Paese attraverso una situazione politica ed economica sempre più tesa. Negli ultimi mesi Islamabad si è avvicinata molto agli Stati Uniti ma il supporto della Cina è fondamentale soprattutto sul fronte finanziario e militare. Lo dimostra l’utilizzo da parte delle forze armate pachistane dell’equipaggiamento fornito da Pechino durante il recente round di scontri con l’India. A proposito di Nuova Delhi, presente al summit della SCO il primo ministro indiano Narendra Modi non era invece tra gli spettatori della parata, anche per la collaborazione militare che lega Cina e Pakistan. Un piccolo smacco per Xi Jinping e la sua retorica di un fronte antioccidentale basato sull’armonia e la pace: avere Modi avrebbe alimentato questa narrativa, non averlo fa vedere in controluce quanti siano i tavoli su cui le divisioni sono nette.
In questo senso rema invece nella direzione voluta dalla propaganda cinese la presenza del presidente azero Ilham Aliyev e del primo ministro armeno Nikol Pashinyan. Non è però una novità vederli vicini, ci era già riuscito Trump a inizio agosto mediando un accordo di pace siglato alla Casa Bianca tra i due Paesi storicamente rivali. Tra le altre figure la cui presenza era quasi scontata a Pechino vi sono il presidente iraniano Masoud Pezeshkian e quello bielorusso Alexander Lukashenko, così come i presidenti di Paesi in cui la Cina non ha fatto mancare investimenti negli ultimi anni, come la Repubblica del Congo, lo Zimbabwe, l’Indonesia e il Vietnam.
Boicottata in toto dall’Unione europea, la parata ha però visto la presenza del primo ministro slovacco Robert Fico – da sempre vicino alla Russia e portatore di una politica estera non allineata a quella di Bruxelles – e del presidente serbo Aleksandar Vucic. Quest’ultimo è l’uomo forte di Belgrado e, nonostante la Serbia sia candidata all’ingresso nell’Ue, il suo allineamento politico con la Russia e la Cina è cosa nota. Un esempio: durante la sua visita in Europa nel maggio 2024, Xi Jinping visitò solo tre Paesi, la Francia, l’Ungheria e proprio la Serbia.
Durante l’evento di Pechino, il leader cinese ha parlato della necessità che il mondo scelga tra “pace e guerra”. Alcuni rappresentanti del composito gruppo di Paesi di cui si sta ponendo alla guida sembra però l’incarnazione della seconda alternativa, a volte anche confrontandosi direttamente l’uno con l’altro: siano essi la Russia che invade l’Ucraina, l’India e il Pakistan che risolvono le dispute territoriali a suon di missili, l’Azerbaigian e l’Armenia che fanno altrettanto o la Serbia che reprime con forza le proteste interne. Non proprio il migliore dei presupposti.
L'articolo Alleanze di ferro, interessi economici e opportunismo: a Pechino Xi Jinping ha presentato il blocco alternativo all’Occidente proviene da Il Fatto Quotidiano.