Allarme dossieraggio, Meloni e la procura: “Democrazia a rischio”

  • Postato il 29 ottobre 2024
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Allarme dossieraggio, Meloni e la procura: “Democrazia a rischio”

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“Democrazia a rischio” secondo Meloni e la procura dopo l’allarme dossieraggio. I sedici indagati per associazione a delinquere dovranno spiegare perché hanno raccolto milioni di dati privati e riservati sulle più alte cariche dello Stato su aziende, politici e privati


Pur animati da massimo garantismo, non si capisce perché la banda degli spioni non sia già in carcere o agli arresti domiciliari. La procura aveva chiesto la misura restrittiva vista la gravità del quadro accusatorio che i magistrati hanno ricostruito e documentato, vista anche l’arroganza e la sicurezza con cui i protagonisti della banda si sono mossi in questi anni ai massimi livelli istituzionali e relazionali grazie ai rispettivi ruoli nella società milanese. Il gip ha considerato esagerata la richiesta (su 16 posizioni, solo quattro misure di domiciliari e due interdittive) ma ieri la procura – il numero 1 Marcello Viola e il sostituto Francesco De Tommasi – hanno reiterato la richiesta per 13 custodie cautelari in carcere per Enrico Pazzali (domiciliari), patron di Milano Fiera, e Gabriele Pegoraro, l’ingegnere hacker titolare di un’agenzia per la sicurezza informatica che poi avrebbe derubato informazioni e notizie riservate agli stessi clienti.

Accesso abusivo a banche dati, corruzione, estorsione: 16 indagati

E’ possibile che di fronte ad una nuova richiesta che si basa sugli stessi indizi ma è accompagnata da un evidente allarme di sicurezza nazionale, il gip cambi la sua posizione. Oppure no. Vedremo. Di sicuro solo i sedici indagati per associazione a delinquere finalizzata ad accesso abusivo a banche dati, corruzione, estorsione e una scia di altri reati sono in grado oggi di spiegare perchè hanno raccolto milioni di dati privati e riservati sulle più alte cariche dello Stato.
E non solo: anche su aziende, politici e privati. E, soprattutto, dovranno spiegare quale uso volevano farne.
Solo la collaborazione dei sedici indagati può spiegare il progetto criminale che la stessa procura definisce «un rischio per la democrazia», la premier Meloni «a un passo dall’eversione» e il ministro della Difesa «una seria minaccia per la democrazia».

Crosetto ha un ruolo importante in questa stagione di spionaggio senza limiti e senza confini: fu il titolare della Difesa che nella primavera 2023 denunciò in procura a Roma la pubblicazione sui giornali di dati riservati e disponibili solo in banche dati delle forze di sicurezza.
Un anno dopo, sulla base di quella denuncia che non prevedeva risposte vaghe, è esploso prima (marzo 2024) il “verminaio” della Procura nazionale antimafia dove sono indagati il finanziere Pasquale Striano e l’ex procuratore Laudati (su entrambi pende una richiesta di arresto già negata in prima battuta dal gip).
A settembre è uscito il caso del dirigente di Banca Intesa che dal suo ufficio in Puglia aveva scaricato centinaia di informazioni di vip e politici.
Sabato la procura di Milano, in collaborazione con la Procura nazionale antimafia, ha spiegato l’inchiesta Equalize che sembra, a oggi, la più invasiva, ramificata e quindi pericolosa.

LE SOCIETÀ COINVOLTE

Il quadro, e quindi la gravità del caso, si complica col passare delle ore e ben oltre le 516 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare. Da ieri è infatti indagato anche Pierfrancesco Baretta, oggi vicepresidente di Sea e all’epoca dei fatti consigliere di Leonardo.
Anche per questo manager, come già per Enrico Pazzali, presidente della Fondazione Fiera Milano e proprietario del 95% della società di investigazioni Equalize, l’accusa è accesso abusivo alle banche dati.
Baretta avrebbe fatto due richieste di informazioni, quando era in forza a Leonardo, con l’uso del trojan, il virus che utilizzano le forze dell’ordine nelle indagini per mafia, terrorismo e corruzione e che viene lanciato via mail nei device dei vari target, i soggetti da “seguire” e su cui “lavorare”. Sono 145 i capi di imputazione.

Ci sono vari aspetti di questa inchiesta che autorizzano a pensare addirittura all’eversione. E, comunque, a lanciare l’allarme per la tenuta della democrazia. Sono sei le società coinvolte, 53 le persone indagate (destinate ad aumentare).
Il sistema è chiaro: la società Equalize srl, e con lei anche Mercury advisor e DAG srl, mettevano a disposizione uomini e mezzi, know how e contatti per indagini commissionate da privati. Normali agenzie di investigazione privata? No. La maggior parte di queste indagini veniva condotta con metodi illegittimi, hackerando pc e cellulari e lanciando i trojan.

Violate le banche dati più importanti del Paese

Le banche dati violate sono le più importanti e strategiche del sistema Paese: lo Sdi archivia i carichi pendenti e i precedenti di ciascuno di noi; Serpico è il sistema informatico dell’Agenzia delle entrate e archivia tutte le dichiarazioni dei redditi; la Siva è il sistema informatico valutario e da qui passano tutte le segnalazioni di operazioni sospette.
Violate anche le banche dati dell’Inps e dell’anagrafe nazionale (Anpr). Con questi dati a disposizione si può ricostruire la vita delle persone, violandone la privacy e i percorsi di vita. Si spia la vita degli altri, che diventano in questo modo ricattabili e vulnerabili.
Tra i personaggi chiave dell’inchiesta ci sono Pazzali, il boss e anche il richiedente; il superpoliziotto antimafia Carmine Gallo, ad di Equalize; Samuele Calamucci, un ingegnere hacker così come lo è Gabriele Pegoraro; Giuliano Schiano, un maresciallo della Guardia di finanza in forza alla Dia di Lecce.

NUMERO MOSTRUOSO DI DATI RACCOLTI

In due anni di indagine sono stati documentati migliaia di accessi abusivi che hanno garantito a Equalize «un patrimonio di informazioni e dati che ci consente di campare almeno quattro anni» come dice Nunzio Samuele Calamucci che, intercettato, parla di «hard disk con ottocentomila Sdi (dati presi in quella banca dati, ndr)» e di «poter sputtanare tutta Italia con i report che abbiamo in mano». In un’altra intercettazione (che risale a novembre 2023) si dice «preoccupato perchè deve mettere da parte, trasferire dati di sei, sette milioni di chiavette che c’ho io».

I pm scrivono di una mole di dati pari a 15 terabyte. In molti dialoghi intercettati si dice di «far sparire tutto» perchè non si sa mai. Il pm De Tommasi scrive che il gruppo ha «una struttura a grappolo»: ogni componente e collaboratore «ha a sua volta contatti nelle forze dell’ordine e nelle varie ramificazione della pubblica amministrazione con cui reperire illecitamente dati».
È sempre Calamucci che spiega: «Abbiamo la fortuna di avere clienti top in tutta Italia, contatti con i servizi segreti deviati e con quelli seri».
Dall’altro lato, sempre secondo il pm, il superpoliziotto Gallo avrebbe contatti con la criminalità organizzata: «Intrattiene rapporti con diverse personalità di rilievo anche pregiudicati, è una persona spregiudicata e senza scrupoli».

“A rischio la democrazia di questo Paese”

Ecco perché il pm De Tommasi scrive nell’ordinanza: «Non è esagerato affermare che si tratta di soggetti che rappresentano un pericolo per la democrazia di questo Paese».
Grazie «all’attività di dossieraggio abusivo e alla creazione di banche dati abusive e parallele con informazioni sensibili, riservate e segrete sono in grado di tenere in pugno cittadini e istituzioni» e «condizionare» dinamiche «imprenditoriali e procedure pubbliche, anche giudiziarie», processi e anche indagini.
La cifra monstrum di dati scaricati e copiati sembra fare a cazzotti con i profitti della Equalize srl: due milioni e 300 mila euro. Il dato, però, non è definito: il server della società è all’estero e così pure potrebbero essere all’estero alcuni conti correnti. La procura sta preparando rogatorie per verificare.
A riprova della pericolosità del gruppo, ci sono anche i 128 accessi abusivi all’archivio dell’Aisi (il servizio segreto interno). Il gruppo si vanta di «essere dentro il Viminale» e di aver «clonato un account mail della Presidenza della Repubblica». Dopo aver commissionato dossier sulla seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa, e sui figli.

L’ALLARME EVERSIONE

«Al limite dell’eversione» dice la premier Giorgia Meloni. Ma a chi andavano tutti questi dati? Perché archiviare così tanto materiale?
La procura ipotizza che «molti dati potrebbero essere merce di altissima qualità per il mercato straniero». Come quello russo, per esempio: tra gli attenzionati ci sono anche due oligarchi che sono molto vicini a Putin e con affari in Italia. Quale l’utilità di quei dati? E chi li aveva commissionati? Per conto di chi?
Ci sono troppe domande ancora senza risposta in questa inchiesta. L’unica certezza è la vulnerabilità delle banche dati che custodiscono l’anima, i nervi e il sangue del Paese. L’allarme risuona da mesi. È una sirena continua. Il governo dice di voler correre ai ripari. Meloni ha convocato un vertice a Palazzo Chigi. Oggi ci sarà un vertice di maggioranza al ministero della Giustizia.
La medicina deve però curare non solamente un pezzo, ma tutta la catena della cybersicurezza, dall’hacker al cittadino e tutto quello che ci sta in mezzo. La cronaca ci insegna che non è mai colpa di uno solo.

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