Alla ricerca del Sud sparito: l’infanzia perduta di un mondo tra memoria, nostalgia e fotografie
- Postato il 31 maggio 2025
- Di Panorama
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C’era una volta il Sud racconta, come nelle fiabe, un’epoca che non è più la nostra: il sud della civiltà contadina e delle famiglie numerose, il sud devoto e superstizioso, arcaico e «fatigatore», il Sud delle processioni, dei matrimoni infiniti, dei funerali accorati, del lutto prolungato, della vita di campagna, della vita ai bordi del mare, dei circoli, delle sale da barba o dello struscio di paese. Il Sud comunitario, animato e taciturno, dei lunghi silenzi e delle larghe conversazioni. Mondi spariti, o in via di scomparsa, di cui cerchiamo di mettere in salvo la memoria e le sue ultime tracce, prima che cali il silenzio, la notte o l’oblio.
Il movente di quest’opera è duplice: capire quanta vita c’è dentro una fotografia, in quella gente, in quel tempo, in quelle facce che non ci sono più e capire cosa avviene dentro di noi quando vediamo, rivediamo e salviamo una foto del passato; quali effetti e affetti suscita un’immagine.
Una foto è anche un segno di riconoscimento e di riconoscenza verso il passato. Il Sud è il mondo di ieri per eccellenza, l’infanzia del mondo, la provincia dell’universo; è la nostra antichità, che a volte purtroppo è solo arretratezza se non età primitiva, breve è il passaggio dall’antico all’antiquato; l’album fotografico è la terra dei sentimenti, il luogo d’ombre e di luce della nostalgia, la casa dei miti stavolta nella loro riduzione domestica e familiare. Nella fotografia ritroviamo la geografia poetica del meridione.
Il viaggio fotografico che abbiamo compiuto è in bianco e nero, e questo magari stride col solare e colorito Meridione, che esprime luce e vivace policromia. In compenso il bianco e nero ritrae volti che sembrano anime, caratteri, biografie, forme interiori temprate dalla vita. Il bianco e nero sembra quasi una radiografia profonda, anche delle sue superfici. E dona distanza magica al tempo perduto. Il bianco e nero ha una potenza evocativa della luce e della notte di cui la foto a colori è solo una pallida, banale rappresentazione.
Il «c’era una volta» vale anche per la fotografia a cui dedico alcune riflessioni in conclusione del libro: che ne è della foto nell’epoca del digitale, del selfie, della moltiplicazione all’infinito di immagini? Tutti fotografi, nessun fotografo. Troppe immagini nessun ricordo.
In questo viaggio non ci sono facce famose ed eventi storici. È la storia impersonale e corale di un’epoca attraverso i suoi anonimi abitanti, la vita della gente comune, la quotidianità di un mondo. L’intento è mettere in salvo i volti di persone care o ignote, preservare il ricordo di come erano. «Quando saremo lontani da questo piccolo paese in cui siamo nati e viviamo, quando finalmente ci sentiremo nascere dentro amore e nostalgia per le cose che oggi ci circondano e mortalmente ci annoiano (…) quello sarà veramente il nostro paese: perché la lontananza darà dolci cadenze alla noia di oggi e all’angustia; e diventerà un po’ amore quel che ora è insofferenza e reazione» Così scrive Leonardo Sciascia in Fuoco nel mare. È l’amore retroattivo, nostalgico, postumo, di chi ama ormai solo a distanza e riconosce da lontano quel che non riconosceva da dentro e da vicino. Riflessione che combacia alla perfezione seppure in direzione inversa con quella più nota di Pavese: «Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti». (La luna e i falò).
Hai bisogno di un luogo di partenza, per abbandonarlo e poi ricordarlo come la tua origine, il punto fermo da cui ti sei allontanato. Sciascia e Pavese, uno scrittore del Sud, uno scrittore del Nord, ma legati da un doppio filo: la provincia, col suo mondo piccolo, e la campagna, il legame carnale con la terra, quasi una parte del proprio corpo. In entrambi la lontananza mitizza, la distanza accresce la magia di un legame, altrimenti vissuto sul posto con una certa insofferenza e tanta voglia di partire.
Il bambino che cresceva nel paese, almeno fino al boom economico, che al Sud arrivò in ritardo, anzi in differita, abitava in realtà tre mondi reali: conosceva il paese – la piazza, il corso, le case, i negozi, i paesani – ma conosceva pure la campagna, gli animali, la civiltà contadina, fino a pochi decenni fa prevalente e contigua al paese e interattiva con il borgo; e infine, nei paesi rivieraschi, conosceva il mare a due passi da casa, l’universo marino, i pesci, i ricci, le cozze, i polpi, le nasse, le reti, i bagni nel mare, le nuotate. E la stessa cosa vale per chi aveva le montagne a due passi da casa. Ma non solo.
Il paesano conosceva più mondi per la semplice ragione che le numerose famiglie – allargate, allungate, aperte ad amici, compari e conoscenti – ti mettevano in confronto permanente con mondi diversi dal tuo: i vecchi, gli adulti, i bambini. C’era una connessione verticale tra generazioni che oggi è molto più difficile, stentata. Poi l’esperienza del paese era multisensoriale. Non c’era solo la parola e la vista, c’era anche l’olfatto, tra odori e puzze, il gusto forte dei sapori veraci; il tatto, ovvero il contatto di prossimità, il toccarsi oltre al parlarsi, molto in uso tra le genti del Sud, il fiatarsi addosso. Le case in paese erano centri fiorenti di vita; la gente entrava e usciva di continuo, si chiamavano dai balconi, dalle finestre e dalle strade, bussavano all’improvviso, venivano a trovarti senza preannunciarsi e senza appuntamenti, non programmavi né prenotavi le visite. Famiglie numerose comportavano sciami generazionali in transito continuo nelle proprie case. Società aperte, altro che chiuse.
Insomma il mondo del paese era più ricco, vario e movimentato di quello telematico e internettaro di oggi. C’era più umanità e calore di vita. Anzi la vita nella sua semplicità sembrava nascere, crescere e finire spontanea; e c’era la vita gratis, che vuol dire per grazia, dove i beni primari sono accessibili a portata di mano, senza comprare, vendere, andare in negozio. Nessuna voglia di tornare indietro, in quel mondo c’era pure miseria, durezza, asprezza, disagi e vera povertà; comunque non sarebbe possibile e noi non saremmo più capaci di viverci. Però lasciateci il gusto dolceamaro di ricordarcene, con un velo innocuo di nostalgia.